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Gli studenti del ‘C. Mennella” alla scoperta dell’umanesimo napoletano

Di Gianluca Castagna | Forio – Tantum ferendo fortunam superare posset. Si può vincere la fortuna solo sopportandola. E Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo, ne ebbe, di occasioni, per dimostrare di saper fronteggiare gli imprevedibili colpi della fortuna. Una guerra di 20 anni, l’odio del Papa (cordialmente ricambiato), una prigionia, che per altri avrebbe significato la fine, ribaltata in vittoria con astuzia e determinazione. Il 12 Giugno 1442, dopo anni di combattimento, Alfonso d’Aragona riuscì a sottrarre il Regno di Napoli agli Angioini e a impossessarsi della città, dando vita al sessantennio aragonese, periodo di eccezionale fervore culturale durante il quale si svilupparono gran parte delle istanze del nuovo linguaggio rinascimentale. Re sapiente ed eletto, avveduto e illuminato, ambizioso e conquistatore, trasformò la città in capitale fastosa ed efficiente. Ricostruì il Maschio Angioino innalzando nel centro un grandioso arco trionfale disegnato da Luciano Laurana. Ampliò il molo, restaurò l’arsenale, bonificò i bassi. Amava la cultura, comprendendone in pieno anche l’aspetto propagandistico, e protesse letterati, poeti, filosofi e artisti. Un’elite di intellettuali tra i quali vanno ricordati Lorenzo Valla, il Panormita, Bartolomeo Facio e più tardi Giovanni Pontano, senza il quale non ci sarebbe stato “Il Principe” di Machiavelli, né tutta la speculazione sulla res publica di epoca illuminista.


Foto principaleLa figura del sovrano aragonese è stata al centro di una lezione tenuta dalla professoressa Antonietta Iacono, docente di letteratura latina medievale e umanistica presso l’Università “Federico II” di Napoli, agli allievi del terzo anno dell’ITT “Cristofaro Mennella”. Una giornata di studio che si iscrive in un articolato programma di iniziative culturali, progettate dai docenti dell’istituto “Mennella”, tese a far crescere negli allievi una coscienza critica e una piena consapevolezza delle proprie radici storiche e culturali. L’occasione di questo incontro è nata dal percorso di studi che quest’anno gli allievi delle terze stanno affrontando, incentrato sulle origini delle lingue e delle letterature europee e, soprattutto, sulla conservazione delle opere del mondo classico, ricopiate dagli amanuensi nei monasteri medievali. Gli alunni coinvolti nell’iniziativa si sono preparati con serietà ad affrontare questa giornata di studio, avvicinandosi alla conoscenza della paleografia e dunque delle antiche scritture dell’Alto e Basso Medievo, documentandosi sulla lavorazione della pergamena, sulle varie fasi di elaborazione dei codici miniati e sulle vicende della Napoli angioina e aragonese.
«Le scuole italiane – ha dichiarato il neo dirigente dell’Istituto, la professoressa Giuseppina Di Guida – hanno una particolarità: riescono a trasmettere ancora l’amore per la cultura e le nostre tradizioni. Questi incontri dimostrano che solo unendo il presente al passato si può avere un futuro denso di prospettive. Solo dalla nostra tradizione può venire qualcosa di nuovo. La lezione della professoressa Iacono ha messo in evidenza che unendo mente e cuore si possono dischiudere nuovi orizzonti di conoscenza e libertà. Spero di poter ripetere presto ulteriori incontri con altri esponenti del mondo accademico».

Foto terza-2I codici miniati di Alfonso, la ricchezza espressiva e poetica dei testi, l’amore per la classicità. La potenza del pensiero di Giovanni Pontano, che arrivò alla corte del Magnanimo appena 17enne, amò e frequento Ischia di cui racconta nel celebre De bello Neapolitano. E ancora la paleografia, scienza che studia la storia della scrittura a mano, non solo come disciplina storica, ma anche pratica: bisogna infatti saper leggere e decifrare le fonti antiche o medievali che si presentano come oggetti di studio. Con passione e chiarezza, Antonietta Iacono ha portato con sé gli alunni del “Mennella” in un mondo di passaggio, tra Medioevo e Rinascimento, forse poco conosciuto, eppure decisivo per lo sviluppo del sapere e la nascita del mondo moderno.
«L’incontro di oggi – ha spiegato la professoressa Giovanna Tessitore, docente di Lettere al “C. Mennella” – si colloca all’interno di un percorso sperimentale che abbiamo avviato con queste classi già da due anni. Un percorso di coerenza e continuità alla ricerca delle radici che nascono da una cultura del Mediterraneo, attraversato da popoli diversi e da diverse civiltà. La Magna Grecia, la cultura latina, le radici cristiane affrontate non da un punto di vista religioso ma valutandone l’indubbia importanza all’interno della società, della cultura e dell’economia nell’Europa Medievale. Senza le biblioteche, i monasteri, gli amanuensi, non ci sarebbe stata la trasmissione della cultura classica. Abbiamo studiato come e dove nasce un manoscritto, cosa è contenuto in questi codici, come viene adornato graficamente, chi sono i miniatori, come lavorano e tutte le scritture che sono nate nel Basso e nell’Alto Medioevo, trasformate in epoca umanistica per dare vita a tanti modi di scrivere».

DSCN1423Non solo teoria, come è accaduto per i precedenti percorsi di studio. «Su suggerimento della professoressa Iacono – continua la Tessitore – pensiamo di portare gli studenti a visitare la sezione manoscritti e rari della Biblioteca Nazionale di Napoli, dove sono conservati codici che rappresentano veri e propri tesori. In primavera, poi, stiamo studiando la possibilità di visitare l’Abbazia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni, nella cui biblioteca sono conservati oltre 50.000 volumi tra incunaboli, preziosi codici e manoscritti. Progettiamo infine un laboratorio teatrale, alla fine del quale vorremmo mettere in scena l’‘Antigone’. Gli studi umanistici, come è evidente, non sono appannaggio solo di certe scuole. La cultura è un unicum e come tale non conosce preclusioni. Nella scuola regia dove Alfonso il Magnanimo formava i suoi dirigenti, voleva che questi conoscessero la classicità, patrimonio di sensibilità anche umana che ci guida nella vita. Perché dietro ogni decisione, c’è sempre l’uomo. Un insegnamento valido ancora oggi, una grande lezione che vorrei i miei alunni assorbissero».

William Mattera (per box)«Sono molto contento di questo incontro – ha commentato lo studente William Mattera –  che mi ha sorpreso soprattutto per la disponibilità della docente. Solitamente si pensa al mondo accademico come qualcosa di molto rigido, invece è stata una lezione molto interessante. Devo dire che all’inizio il Medioevo mi incuriosiva molto perché sembrava un’età misteriosa, buia, tetra. Invece accadevano cose molto importanti. Ci siamo preparati studiando alcune figure di quel tempo, da Federico II ad Alfonso V il Magnanimo. Il fatto che ci fossero così tanti tipi di scrittura rispecchiava la complessità di quella società: la scrittura mercantesca nei libri di commercio, l’umanista per le classi più nobili, la minuscola corsiva, la minuscola carolina utilizzata specialmente nei monasteri, la beneventana tipica del Meridione d’Italia. Un mondo molto variegato si è aperto davanti a noi dopo la caduta drammatica dell’Impero Romano. Non credevo ci fossero figure così influenti come quelle di Alfonso d’Aragona, che ha lasciato tracce così forti a Napoli e nel Meridione. Il mio personaggio preferito? Cristoforo Colombo, ma con la sua vicenda e tutte le ripercussioni che avrà la scoperta dell’America siamo già oltre il Medioevo».
DSCN1462«Il nostro percorso di studi – ha aggiunto Antonia Laura Esposito – ci ha portato al Medioevo dopo la civiltà greca e lo splendore dell’Impero Romano. Non immaginavo che anche in un periodo così controverso, ci fosse un’attenzione così forte per le lettere, la scrittura, la trasmissione del sapere. Penso al ruolo dei copisti nei monasteri, allo studio e allo sforzo che facevano per imparare lo stile della scrittura. All’epoca, proprio come oggi, accadevano guerre, conquiste, crociate, l’idea che mi sono fatta è che la storia si ripete, l’uomo non impara dai suoi errori e con la scusa delle religioni, si portano avanti solo strategie economiche e politiche, mettendo in secondo piano i veri valori dell’uomo. A me piace la storia, l’arte, le lingue, la possibilità di comunicare. Vorrei in futuro esercitare una professione che abbracciasse tutte queste mie passioni. Se dovessi spiegare a una mia coetanea che vive dall’altra parte del mondo, o anche in Medio Oriente, qual è la bellezza della mia terra, le parlerei della nostra cultura, le mostrerei la ricchezza delle arti. Napoli, come tutta l’Italia, è un museo a cielo aperto, qualcosa di maestoso che troppo spesso sottovalutiamo, dimenticando che fa parte della storia dell’uomo».

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Antonietta Iacono è una delle eccellenze isolane che hanno speso la vita per la cultura. Originaria di Casamicciola, studi classici, poi l’incontro, fortuito o forse no, con il pensiero e le opere di Giovanni Pontano. Un colpo di fulmine. Oggi è docente di letteratura latina medievale e umanistica presso l’Università “Federico II” di Napoli.
Come si è appassionata a questi studi? Cosa c’è che l’ha colpita nelle opere di Giovanni Pontano?
«La prima molla è stato il legame di Pontano con Ischia. In famiglia abbiamo una biblioteca monografica su Ischia, in particolare sul terremoto di Casamicciola, quindi già ero pronta, come formazione, a recepire l’importanza del contatto che un autore ha con il territorio. L’identità fondante le radici. Il fatto che un umanista, un intellettuale così lontano da me, parlasse dell’isola e ne parlasse in poesia con una serie di invenzioni mitologiche straordinarie, mi coinvolse moltissimo. Da Pontano sono poi passata a tutta la letteratura umanistica, compiendo un viaggio a ritroso e appropriandomi anche di una letteratura immensa, come quella latina medievale, interessante e suggestiva, dove ho potuto leggere cose che finora non ho letto altrove. Penso all’opera di Duoda, giovane moglie di un ribelle dell’età carolingia,che nel Liber Manualis dice da madre, con la letteratura, tutto quello che non può dire al figlio che le è stato tolto».
Qual è la prima cosa che fa uno studioso quando entra in contatto con un manoscritto, magari inedito?
«Lo legge. La lettura equivale alla scoperta di un mondo».
Perché una lezione sui codici napoletani del periodo aragonese? Cos’hanno di speciale?
«Sono la traccia di una stagione straordinaria e irripetibile che ha vissuto una città come Napoli, grandissima capitale di cultura che può esserlo ancora. C’è bisogno di luce, fare una lezione significa illuminare un aspetto della nostra storia, che è anche storia di oggi».
Nel linguaggio comune, quando vogliamo indicare qualcosa di arretrato, irrazionale, retrogrado, usiamo il termine “medioevo”. Fu davvero un periodo così oscuro o gode solo di pessima fama?
«Il Medioevo non fu oscuro. I nostri pregiudizi sono un retaggio di quello che gli umanisti pensavano di un periodo, anche molto lungo, che sta in mezzo e li divideva dall’età classica di Cesare, di Virgilio, di Cicerone. Ereditiamo un sogno, quello degli umanisti, di riappropriarsi di un latino cristallizzato, ma morente. Il latino del Medioevo, invece, non ha briglie e può essere bellissimo come quello antico. L’operazione degli umanisti non riguardò solo lo stile, l’eleganza, l’aspetto della lingua, ma anche la sua forza ideologica. Il Pontano, ad esempio, adotta tutti i generi letterari: poesia, prosa, storica e trattatistica. Il grande Pontano ideologo sta nei trattati, è vero, ma è il Pontano della poesia ad essere davvero straordinario anche da un punto di vista espressivo. Penso, ad esempio, alle liriche dedicate alla moglie, ai figli, alla sua nuova compagna. Versi ricchi di sentimento e sensualità».
Dove sono conservati oggi questi manoscritti?
«I manoscritti della Biblioteca Aragonese subirono una dispersione, alcuni sono a Napoli, molti sono approdati nella Biblioteca Vaticana, altri li ritroviamo a Firenze. La storia e le sorti della biblioteca dei re d’Aragona sono stati raccolti da Tammaro De Marinis in un’opera di grande valore documentario. Un grande forziere di tesori umanistici è poi la Biblioteca Nazionale di Napoli, in particolare la Sala Quattrocentina, dove ho passato forse i momenti più belli della mia vita con i miei maestri. Sempre a Napoli, la Biblioteca dei Girolamini, oggi chiusa, oggetto di ruberie e ladrocini. Una perdita di identità inestimabile, perché la biblioteca non appartiene ai Girolamini, a Dell’Utri o a chi l’ha derubata e saccheggiata in questi anni. Appartiene alla gente di Napoli e agli italiani».

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