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«Caffè Scorretto,Lo sconforto di fallire e di non riuscire ad ammetterlo»

Chissà se i sindaci – già, loro soprattutto – presenti all’incontro con Paolo Crepet a Ischia, hanno compreso l’essenziale importanza di certe sue affermazioni, brutali in un certo senso, rivolte alla collettività fatta di sei comuni che corre, ognuno per se, dietro alla superficialità delle migliori dichiarazioni e di chi le dice. Ovviamente resta ferma l’incapacità di ascoltarle e realizzarle. Mi auguro che almeno quelle dello scrittore, sociologo e psicologo non finiscano nella raccolta differenziata. Quella fatta a parole perché, in fondo, sono tanti a farsi condurre da convinzioni proprie, come la domanda «a che serve farla se non abbiamo servizi adeguati e le amministrazioni dopo averne fatto un solo cumulo lo trasportano in terraferma?» o l’altra che in questo stato di cose stiamo bene. No, non stiamo bene e sarebbe il caso di “farci guardare” da uno bravo. Crepet magari fa al caso nostro. Va detto che io all’incontro con il professionista non sono potuto andare, in compenso ho letto il virgolettato. «Bisogna reagire in modo compatto e forte, avere il coraggio di esternare la propria indignazione e cambiare. Perché la forza di tanti non è da sottovalutare. Cambiare significa andare avanti, esigere che le cose vengano fatte per bene e con criterio, coinvolgendo veri esperti e figure meritevoli». Già qui si potrebbe iniziare un romanzo tutto isolano su ciò che (non) accade, sia in termini di attenzione nei confronti degli obbrobri amministrativi sia di cambiamento. O sulla distrazione in luogo dell’esigenza che le cose siano fatte bene e con criterio. Appare chiaro che invece di andare avanti torniamo indietro, spinti dall’illusione di procedere incontro al futuro nascosti dalla mistica di un finto e consolidato perbenismo. Non parlate poi di «capacità di reagire» rispetto a ciò che non va che qua «c’è chi tiene famiglia». Prosegue Crepet: «Ognuno può essere una goccia che, insieme agli altri, risolve i problemi. La nostra bellezza e la nostra responsabilità è questa: metterci assieme e lavorare per risolvere un problema. Si ha un obbligo verso la bellezza che rappresentate, siete una perla straordinaria che milioni di persone visitano. Una responsabilità nei confronti dell’umanità». Anche qui, un passaggio essenziale, no? Si parla di «solidarietà» e «lavorare assieme per risolvere un problema», anche di responsabilità e bellezza. Ciò che normalmente certi non considerano per risolvere una complicazione, figurarsi se uniti e insieme: non avendola mai utilizzata se non in forma limitata – la responsabilità, per esempio- non saprebbero come usarla. Il terremoto è solo una delle questioni e se ne potrebbero aggiungere altre. Pare sia accaduto in sud America mentre i danni li viviamo ogni giorno non appena usciamo da casa, per chi ne ha ancora una ovviamente e ha modo di rifletterci. E infine «Riscoprire la propria identità di popolo e di comunità, essere da supporto l’un l’altro e non abbandonare, affatto, i luoghi segnati dalla tragedia. Perché la ricostruzione delle persone passa inevitabilmente per la ricostruzione dei luoghi, bisogna rimuovere le macerie in strada per rimuoverle anche dentro se stessi». Questa, trovo che sia la parte più importante con «identità» e «popolo» a fare da colonne portanti oltre al significato che i luoghi non si fanno da se ma con le persone. Fa riferimento a concetti che in tanti ritengono inutili e «astratti», pure se qualche sindaco talvolta ne accenna nei discorsi sotto suggerimento di qualcuno. Sì, ha detto tutto questo Paolo Crepet, forse è poco ancorché ovvio. Tuttavia alla fine di questa che appare preghiera e augurio andrebbe aggiunto l’ormai famoso «amen». Presumo abbia aggiunto altro con la sua faccia tosta e capace. Quella che usa per dire le cose senza peli sulla lingua e col rischio di essere accusato di sfrontatezza e pretestuosa superbia. La comunità isolana, invece, ahimè per lui e per noi, è altro. Pronta a sviluppare anticorpi con lo scopo di sbattere fuori a calci in culo qualsiasi cosa tenti di lacerarne il velo di conformismo. Avviluppata nel suo per niente atipico moto di ripulsa nei confronti del cambiamento, per esempio quando si parla di unione dei servizi, o del numero spropositato di auto e modo per ridurre al minimo l’impatto ambientale etc. Per questo le parole di Paolo Crepet cadranno nel vuoto e ce le saremo scordate tra una settimana. Sia per chi ci governa e sia per chi è amministrato, escludendo chi quel conformismo e la tendenza all’uguaglianza al ribasso li combattono nel loro piccolo mondo e aspirano all’apertura della società. Sbocco, via, che non significa solo “saper accogliere” stranieri o turisti ma è, in specie, mentale. Eppure cambierà poco. Non vedrete amministrazioni o altra forma di “Istituzione” mettersi al lavoro da subito, tranne forse la scuola o un numero limitato di professionisti dell’educazione che tentano ogni cosa per deviare positivamente un futuro triste. Non saprete di nessuno che concretamente, né dal giorno successivo all’incontro né in un prossimo futuro, sarà stato in grado di manifestare la voglia di tradurre la «preghiera» – o «dichiarazione» o «affermazione», chiamatela come vi pare – di Crepet in atti e fatti tangibili. Non vedrete tavoli di concertazione permanenti, organizzati per aggredire eventi accaduti – il terremoto – o la più banale quotidianità. Colleghi più illustri continuano a presentare da anni le stesse cose dette da Paolo Crepet ma restano completamente inascoltati dall’inerzia di governanti e, fatta eccezione per qualcuno, dalla diffusa sindrome da first lady. Tra poco arriverà Pasqua e dopo l’estate. E ce ne potremmo andare tranquillamente al mare.

Facebook Graziano Petrucci

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