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Corruzione funebre, confermate le assoluzioni in Corte d’Appello

Dopo l’assoluzione in primo grado presso il Tribunale di Napoli, pronunciata dal Presidente della IV sezione Marcello Rescigno, è giunta anche la conferma dalla Corte di Appello per il caso di presunta corruzione che ha visto imputati ingiustamente Giuseppe Mattera ed Enrico Mattera, titolari dell’impresa di pompe funebri “L’Epomea” con sede nel comune di Serrara Fontana. Padre e figlio, rappresentati dall’avv. Vincenzo Salomone, sono stati chiamati a rispondere in tribunale, poiché accusati dai parenti di una donna deceduta proprio nel comune ischitano, di concussione ai danni di un’altra impresa che avrebbe dovuto esercitare  l’attività irregolarmente.
Bocciato dunque il ricorso presentato dal pubblico ministero Sergio Ferrigno e della parte civile costituita, non ritenendo sussistenti le “lamentele” sulla motivazione di primo grado, che di fatto aveva già chiarito l’assenza di qualsiasi condotta illecita attribuita  immotivatamente a Giuseppe ed Enrico Mattera.
Per il tribunale di Napoli non sussisteva l’ipotesi originaria di tentata concussione, né quella rimodulata dal pubblico ministero di corruzione per induzione. Nella motivazione si sosteneva – accogliendo quanto dimostrato dall’avv. Vincenzo Salomone – che ciò che si era sviluppato nella trattativa tra le due imprese non rappresentava in alcun modo una violazione del codice penale.
Dal processo è emerso che la ditta “L’Epomea”, accusata dai parenti dell’estinta di una sorte di monopolio nella gestione dei funerali, è risultata essere in realtà l’unica ditta autorizzata all’espletamento di trasporto funebre nel comune di Serrara Fontana, in virtù delle disposizioni previste dal Regolamento comunale dei servizi funebri e cimiteriali, vigente per effetto della delibera dello stesso ente n.6 del 15.2.2006.
I giudici della II sezione della Corte di Appello hanno così confermato in toto il giudizio di primo grado, non accettando ciò che è stato richiesto dal procuratore generale che aveva fatta propria l’impugnazione del collega della pubblica accusa presso il tribunale, chiedendo per Giuseppe ed Enrico Mattera la pena di due anni e sei mesi di reclusione. Analoga richiesta era stata presentata dalla parte civile, che dopo l’assoluzione di primo grado aveva spinto affinché quella decisione venisse ribaltata, senza ottenere anche in questo caso nessun risultato.

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