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Don Pietro Monti, il sacerdote archeologo che scoprì (e conservò) l’Ischia Medievale

Gianluca Castagna | Lacco Ameno – In certe occasioni la retorica unanimistica gode di totale porto franco. Collaboratori, allievi, studiosi, fedeli, parenti, cronisti. Si vorrebbe frenare il motore dei ricordi, arginare il rimpianto di non averlo più tra noi. Si vorrebbe: ma chissà chi ne è capace.
Nel decimo anniversario della scomparsa di Don Pietro Monti, figura che ha segnato la vita sociale e culturale del nostro territorio, conviene rievocarlo così: con un occhio puntato verso il cielo, attraverso una lunga vita di servizio sacerdotale (ordinato nel 1942, cinque anni più tardi già Rettore della Basilica di Santa Restituta, dove rimase fino alla fine), e l’altro diretto alla terra, alla ricerca di tracce del nostro passato e della nostra storia. Sempre immerso tra i suoi “cocci”, animato dalla passione (quasi) totalizzante per l’archeologia, esigenza (oggi diremmo) “fisiologica” di esplorare, rischiare, illuminare, anche con solennità ma senza pedanteria, tutti gli aspetti ancora oscuri delle nostre antichissime radici.

Nel 1951 si accende la miccia: nella rimozione di un pavimento del ‘700, nella chiesetta della basilica, emerge un altro pavimento a piastrelle maiolicate del 1470. Più giù, ancora altro. Da allora, Don Pietro non si è più fermato: anni di studio, applicazione, ricerca, scavi, ricognizioni in molteplici aree dell’isola, affannoso reperimento delle risorse e poi – naturalmente – la conservazione, la tutela, l’interpretazione, la fruizione in spazi adeguati, le pubblicazioni. L’archeologia come strumento per comprendere il mondo moderno, non solo quello antico. Con slancio e spirito intuitivo, senza perdere di grinta, d’agilità, di meticolosità nell’alternanza dei ruoli e nel trascorrere degli anni.
Una realtà, quella che il sacerdote-archeologo ha riportato alla luce attraverso i suoi scavi, i suoi studi e le sue pubblicazioni, che non si esaurisce nella pur luminosissima esperienza degli insediamenti greco-ellenistici e romani sull’isola d’Ischia, ma che si spinge nel Tardo Antico e nell’Alto Medioevo grazie a una mole di reperti che permettono la lettura di un intero capitolo della nostra Storia. Un dato quantitativo sorprendente, quello raccolto, che contribuisce in maniera significativa a ricostruire un panorama storico e non solo, con ampiezza di dettagli che in altri luoghi non è stato possibile raggiungere. Anche in questo Don Pietro Monti è stato un pioniere.
Proprio come fa riferimento il titolo del convegno a lui dedicato, organizzato dal Comune di Lacco Ameno, dalla Diocesi di Ischia, dall’Associazione culturale “Le Ripe” e tenutosi nella Sala consiliare del Municipio in occasione del decennale della sua scomparsa: “Don Pietro Monti, un pioniere dell’archeologia Medievale fra Ischia e Bisanzio”. E’ il prof. Federico Marazzi, docente di Archeologia cristiana e medievale all’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli (e giovanissimo collaboratore di Don Pietro nei primi anni ’80), ad aprire uno squarcio su un mondo ancora poco esplorato e a ribadire le intuizioni davvero pionieristiche di un archeologo militante, com’è stato Don Pietro, nel ricostruire uno scenario storico indispensabile per l’intelaiatura complessiva del nostro passato.

Alla fine del IV sec. d.C. Roma imbocca la sua parabola discendente, ma è ancora il luogo di custodia dell’Antichità e della memoria. Il Mediterraneo resta invece il centro politico del mondo, arena incandescente di una circolazione costante di uomini, oggetti e merci. Un flusso di beni, anche marginali, anche prosaici, che però, dal IV all’VIII sec. d. C, ci restituiscono un contesto soprattutto commerciale e culturale, ancora romano, ancora bizantino e nel quale Ischia, pur oscurata da altri, grandi centri di produzione ceramica assai più raffinata (di provenienza mediorientale soprattutto), non aveva certo esaurito il suo contributo. Centro minore, d’accordo. Ma – complice la sua posizione strategica nello scacchiere dei traffici marittimo/commerciali e la sua straordinaria, lunga tradizione artigianale – centro ancora presente, vitale, dialettico. Eloquente nel ricostruire gli scambi commerciali e la storia economica dell’isola d’Ischia per quasi 400 anni. Come il lavoro e le intuizioni di Don Pietro Monti hanno pienamente dimostrato.
L’arrivo dei Longobardi e le invasioni germaniche – ha illustrato bene il prof. Marazzi – non avevano disarticolato un Mediterraneo dominato dai Bizantini e che le conquiste di Giustiniano avevano in qualche modo rivitalizzato. Saranno gli Arabi, più tardi, a cambiare completamente le carte in tavola. Il Mediterraneo tardo antico conosce il suo crepuscolo, il mondo bizantino si ritira in una piccola entità territoriale, il commercio sui nostri mari diventa esiguo, Ischia perde (forse definitivamente) l’identità di luogo di convergenza e smistamento di beni. L’area di Santa Restituta e l’insediamento che Don Pietro aveva ricostruito (con lo studio dei giacimenti, ma anche attraverso scoperte casuali) nel suo segmento residenziale, nella dimensione funeraria, nello scalo portuale e nelle sue officine, in altri termini nella sua topografia complessiva, moriranno.
«Per tre secoli – chiosa Marazzi – non si troverà più nulla, mentre affioreranno reperti nella geografia degli insediamenti interni. E’ il risultato, intuito puntualmente da Don Pietro, di una ridislocazione degli isolani su posizioni meno esposte rispetto a una costa e a un mare non più portatori di ricchezza, ma di pericoli».

Il convegno è stata anche l’occasione per interrogarci sulle sorti dell’eredità archeologica e culturale di Don Pietro Monti. Sul suo valore e sulle potenzialità che è ancora in grado di esprimere. Lo ha ricordato il Vescovo della Diocesi di Ischia Mons. Pietro Lagnese («La sua figura di archeologo ci spinge a non disperdere il patrimonio che lui ci ha consegnato, per promuoverlo e valorizzarlo») e lo ha confermato la dott. Teresa Elena Cinquantaquattro, a capo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Napoli, quando nella sua agenda ha previsto la messa in rete di tutto il patrimonio archeologico dell’isola d’Ischia anche attraverso un sistema di percorsi tematici che riguarda l’intera area. Certo, la creatura forse più amata da Don Pietro Monti, il Museo Diocesano e Scavi di Santa Restituta, è chiuso da quattro anni per interventi di consolidamento, peraltro necessari. Un centro culturale muto. Non sono muti invece i materiali in esso custoditi, se è vero che una piccola ma significativa selezione del patrimonio espositivo bizantino, ha fatto parte di una grande mostra di respiro internazionale come “I Longobardi, un popolo che cambia la Storia”, prima a Pavia, poi al MANN di Napoli (oltre 150.000 presenze) e dal 3 maggio al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo in Russia. Per questa eredità che continua a illuminare il nostro passato (quindi il nostro presente), a costruire ponti e convergenze con altre culture, linguaggi e territori, è venuto il momento di prevedere un nuovo progetto di tutela, fruizione e valorizzazione.

Un patrimonio che ha bisogno di competenze integrate per essere governato, di un nuovo allestimento (e pannellistica), di un racconto museologico che gli restituisca finalmente l’importanza che merita. Interventi non più differibili dal solito avvicendarsi dei protagonisti, dalla cronica insufficienza delle risorse (pubbliche), dalle paludi stagne della burocrazia, dalle consorterie feudali che pure resistono all’interno delle Soprintendenze. Prima buona notizia: un protocollo d’intesa in via di sottoscrizione tra Comune di Lacco Ameno, Diocesi, Soprintendenza, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Università. Seconda buona notizia (a comunicarla è l’avv. Cecilia Prota, Assessore alla Cultura): l’istituzione di una borsa di studio intitolata alla memoria di Don Pietro Monti, riservata a giovani studiosi di Archeologia e mondo antico.
Piccoli mattoni per rinsaldare il rapporto simbiotico tra un patrimonio archeologico, di ordine e valore assoluti, e il suo territorio. Come Don Pietro Monti voleva e per lungo tempo è riuscito ad assicurare.

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Prof. Sebastiano Monti: «Riaprite il Museo, è il modo migliore per ricordarlo»
«Per valorizzare l’opera di Don Pietro, per ricordarlo come si deve, è necessario riaprire gli Scavi di Santa Restituta». E’ l’appello, accorato ma fermo, del Prof. Sebastiano Monti, nipote di Don Pietro e suo stretto collaboratore.
«L’istituzione e il conferimento di una borsa di studio a suo nome è certamente iniziativa lodevole, ma va affiancata da fatti concreti che portino alla riapertura degli spazi museali. Non vorrei che tra dieci anni, nel commemorare il ventennale dalla scomparsa, gli Scavi fossero ancora chiusi».
Il Prof. Monti ha poi ricordato la stima, anche internazionale, raccolta dalle le ricerche di Don Pietro Monti. «Trent’anni fa andai con mia moglie, di origini tedesche, a Berlino Est per visitare il Pergamon, uno dei più importanti musei archeologici del mondo. All’ingresso trovammo un poster con il suo viso. Mia moglie esclamò: è zio Pietro. Ci rimborsarono i biglietti e fummo trattati con grande gentilezza. Per dire quanto riesce a fare un autodidatta con la passione e il coinvolgimento emotivo che Don Pietro Monti ha profuso nel suo lavoro. Ci sono tornato pochi anni fa, il Direttore mi chiese: come è possibile che gli Scavi di Don Pietro siano chiusi? Non ho saputo rispondere».
Altra scheggia di memoria. Sul febbrile, concitato periodo che precede la pubblicazione di “Ischia, archeologia e storia”, caposaldo di Don Pietro Monti. «Mi convocò da Torre del Greco, dove allora abitavo, per passare qualche giorno da lui. Quando arrivai, trovai il pavimento della sua stanza occupata da 452 diapositive con relativi commenti. Mi disse: devo pubblicare questo libro. Quale libro? Dov’è? Con il senno di poi sarebbe stata una novità editoriale assoluta fare come avrebbe voluto. Per due giorni e due notti di lavoro infaticabile, senza sosta, riuscimmo a mettere insieme buona parte del testo. Mi salutò con la solita, storica frase: Vai, capa. Era scarno, non affettuosissimo, non amava moine o intimità. Con quel saluto, però, mi lasciava andare. Ero libero, potevo tornare a casa».

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Il recupero della stipe: quando Don Pietro ‘salvò’ i cavalli di Pithecusae
E’ lo stesso professor Giorgio Buchner, altro grandissimo protagonista della storia dell’archeologia isolana (e quindi internazionale), a ricordare l’episodio nella prefazione di “Atti e memorie della Società Magna Grecia”.
«Agli inizi di maggio del 1966 – scrive lo studioso – tra gli operai impegnati nello scavo della necropoli di San Montano a Lacco Ameno correva la voce che fossero state rinvenute “antiche statue di cavalli”, ma nessuno sapeva, o meglio voleva precisare il posto della poco credibile scoperta. Passarono altri giorni prima che venissi a sapere che si trattava di una località poco lontana, detta Pastòla, ai piedi della località Mazzola, sotto le pendici settentrionali della collina di Mezzavia». «Si seppe inoltre – continua Buchner – che ciascuno degli operai si era portato a casa qualche “statua di cavallo” più o meno intera, appartenente a quello che chiamavano “la stipe dei cavalli”…Grazie all’intervento di Don Pietro Monti e di S. Restituta furono recuperate le statue di cavalli: era ormai vicina la festa della Santa (17 maggio) e il benemerito sacerdote appassionato di archeologia potè convincere i tre o quattro operai detentori di offrirle quale dono votivo alla divina protettrice del paese».
Oltre l’amicizia, la stima reciproca, la passione comune per l’archeologia, un esempio di quanto le potenzialità e le capacità individuali, riunite in un rapporto “sinergico”, abbiano riportato alla luce (e preservato) un patrimonio artistico che tutto il mondo ci invidia.

 

 

 

 

 

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