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Edilizia, dal Tar stop alla demolizione “ad horas”

Il Tribunale amministrativo della Regione Campania ha appena pubblicato una significativa ordinanza nell’ambito della variegata casistica edilizia. Nei casi in cui un presunto abuso non possa essere classificato di recentissima realizzazione, il Comune non può emanare l’ordinanza di demolizione “ad horas”, prima di aver accertato la datazione degli abusi stessi.  La decisione del Tar riguarda un caso che nella quotidianità si verifica spesso: capita infatti che il Comune si accorga di un mutamento dello stato dei luoghi a partire dai motivi più disparati, come può essere la notifica di un atto ufficiale, oppure la denuncia di un vicino rimasto silente per vari anni. In questi casi, è invalsa l’inveterata prassi da parte degli uffici comunali di emettere un’ordinanza di demolizione  “ad horas”, cioè con l’obbligo della immediata esecuzione per ripristinare lo stato dei luoghi, senza fare alcuna distinzione tra gli abusi di recentissima realizzazione e quelli invece  realizzati già da anni o anche da vari decenni. Casi del genere sono frequenti anche sulla nostra isola, e proprio uno di essi ha  generato il ricorso al Tar da parte di una cittadina del Comune di Serrara Fontana, difesa dall’avvocato Michelangelo Morgera, che si era vista recapitare dall’ente un’ordinanza di demolizione appunto “ad horas” per due fabbricati, presuntivamente realizzati in assenza dei prescritti titoli abilitativi.

La difesa, nell’inoltrare ricorso presso il Tribunale amministrativo contro il Comune di Serrara Fontana per ottenere l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza comunale, ha articolato le proprie argomentazioni su tre ordini di motivi, l’ultimo dei quali costituisce il punto focale: esso riguarda la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 27 del D.P.R. 380 del 2001”, il cosiddetto Testo unico per l’edilizia, il quale al secondo comma dispone che “il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate [..] a vincolo d’inedificabilità [..] provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi”. Tuttavia, come ha affermato la difesa, nonostante il fatto che non sia codificato e previsto un termine di decadenza entro il quale il Comune debba adottare i provvedimenti sanzionatori, è indubbio che una volta decorso un lungo periodo si verifica uno stato di acquiescenza, per cui la pubblica amministrazione, in assenza di prevalenti ragioni di interesse pubblico, non può imporre l’immediata demolizione della costruzione.

L’articolazione difensiva messa in atto dal penalista foriano ha fatto riferimento a due sentenze della magistratura amministrativa. La prima, emessa nel 2012 dal Tar Veneto, precisa che “è illegittima l’ordinanza con la quale è stata ingiunta la demolizione di un manufatto abusivamente costruito emessa a distanza di lungo tempo dalla realizzazione dell’abuso, che sia priva di una specifica motivazione in ordine ai motivi di pubblico interesse sottesi al provvedimento repressivo: infatti, se normalmente l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione della accertata abusività dell’opera, una giustificazione specifica può essere tuttavia richiesta nel caso in cui, per il protrarsi ed il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa in cui è ravvisabile un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”. Tale orientamento è stato confermato anche da una recentissima sentenza del Consiglio di Stato del 2015, che ribadisce  l’onere in capo all’amministrazione di motivare adeguatamente l’ordine di abbattimento dal momento che la sua stessa inerzia ha legittimato l’affidamento del privato, e dunque il pubblico interesse in questione deve essere evidentemente diverso dal ripristino della legalità, se per tanti anni l’amministrazione è stata quiescente.

Fra l’altro nel caso in questione, grazie alla relazione tecnica redatta dall’ingegner Capuano, è stato dimostrato che gli immobili erano il risultato di un ammodernamento di vecchi edifici preesistenti al 1967, e soltanto in epoca successiva sono state emanate leggi che prescrivevano il conseguimento di autorizzazioni amministrative per edificare. Il collegio della Sesta Sezione del Tar della Campania, composto dal Presidente Passoni e dai consiglieri Buonauro e Palmarini, ha accolto l’istanza di sospensione avanzata dall’avvocato Morgera, rinviando al giudizio di merito il necessario e maggiore approfondimento delle questioni relative alla datazione degli abusi. La decisione del Tar costituisce dunque un cambiamento significativo che influirà sulle consuetudini degli uffici tecnici comunali anche in quei territori, come l’isola d’Ischia, sottoposti a molteplici vincoli.

L’AVVOCATO MORGERA: «A DISTANZA DI ANNI PREVALE L’AFFIDAMENTO DEL PRIVATO». «Ho sempre sostenuto che i Comuni non potessero sanzionare gli abusi edilizi perpetrati sul territorio avvalendosi della procedura prevista dall’art. 27 comma 2 del Testo unico sull’edilizia, laddove l’abuso non sia  in fase di realizzazione o comunque non sia stato realizzato poco tempo prima dell’accertamento. Quando è ormai passato molto tempo tra l’abuso e l’accertamento ritengo che il dirigente comunale non possa procedere alla demolizione cosiddetta “ad horas”, prevista dall’articolo prima citato.  Il consolidarsi della situazione, infatti, rende anacronistico il provvedimento ad horas perché non vi è più la necessità urgente di rimediare ad atti che hanno alterato il regolare assetto urbanistico del territorio o deturpato le bellezze paesaggistiche. La norma è votata al ripristino dello stato dei luoghi quando l’abuso accertato è stato appena compiuto o comunque a brevissima distanza temporale, mentre tale urgenza è del tutto assente quando le opere contestate risalgono a diversi anni, se non decenni, prima dell’accertamento. A quel punto si è ormai consolidata la posizione di affidamento del privato, che non ha mai ricevuto sanzioni dalla pubblica amministrazione, fino a un rovesciamento delle posizioni tra gli interessi in gioco, in quanto l’interesse privato col tempo è diventato prevalente rispetto a quello pubblico, la cui tutela non è mai stata rivendicata dall’amministrazione per un lungo arco temporale. È evidente che in questi casi viene a cadere ogni esigenza di esecuzione “ad horas”. Altri Tribunali Amministrativi, oltre al Consiglio di Stato, già da qualche anno avevano sposato questa interpretazione normativa. Adesso per la prima volta anche il Tar della Campania l’ha accolta. Per questo importante risultato  devo ringraziare anche l’ingegner Capuano per la sua preziosissima collaborazione come consulente di parte, che  ha permesso di accertare a livello documentale e fotografico come l’esistenza degli immobili contestati alla mia assistita risalga a ben oltre trent’anni fa».

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Francesco Ferrandino

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