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Housing sociale a Casamicciola, i dettagli della sentenza

Di Francesco Ferrandino

CASAMICCIOLA TERME. Una sentenza che a buon diritto si può definire storica, oltre che rivoluzionaria, quella pronunciata lo scorso 2 marzo dalla Sesta Sezione del Tribunale Amministrativo della Campania. Il collegio dei giudici ha infatti accolto la tesi dell’avvocato Bruno Molinaro, sancendo così un principio di fondamentale importanza: l’applicabilità per la prima volta anche sull’isola d’Ischia del cosiddetto “housing sociale”. Il comune di Casamicciola è stato infatti condannato ad applicare, senza altri indugi, la norma sull’edilizia residenziale sociale, approvando il regolamento di cui alla legge regionale n. 5/2013. Tale disposizione finora era stata spesso colpevolmente ignorata dagli amministratori locali, a lungo gravemente inadempienti perché, nonostante il tempo trascorso dall’entrata in vigore della normativa regionale, hanno pesantemente tardato ad approvare il regolamento relativo alla fissazione dei criteri dell’ “housing sociale” in base ai quali le case abusive acquisite al patrimonio comunale potranno essere assegnate a coloro i quali le occupavano al tempo dell’acquisizione. La sentenza è importantissima in quanto, a differenza di altre pronunziate per casi riguardanti la terraferma, è sorretta da una motivazione molto articolata e richiama anche una sentenza del Consiglio di Stato che lo stesso avv. Molinaro aveva citato nel ricorso e che aveva interessato il comune di Giugliano: «È una svolta importante sul versante delle demolizioni giudiziali – afferma l’esperto professionista –  perché, una volta che il comune ha dichiarato con delibera di consiglio comunale la prevalenza dell’interesse pubblico a conservare l’immobile abusivo ed accertato, altresì, l’assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, viene a materializzarsi una causa ostativa alla esecuzione dell’ordine di abbattimento del giudice penale». La sentenza, che vede nei panni di beneficiata la signora Adele Ferrandino, obbliga i Comuni, con o senza vincolo, a dotarsi del regolamento che supplisce alla mancanza, nel nostro piano paesistico, di previsioni programmatorie in materia di edilizia economico-popolare. Prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 5/2013, si riteneva infatti che in zona vincolata all’acquisizione dovesse pur sempre far seguito la demolizione. Oggi non è più così perché, essendo stato codificato il principio dell’housing sociale, laddove il Comune decida, ovviamente previa approvazione del citato regolamento, la dismissione o la locazione del bene, questo può essere assegnato anche a colui che, al tempo della acquisizione, lo occupava con il proprio nucleo familiare. La demolizione giudiziale in tal caso va sospesa e successivamente revocata, come è stato anche riconosciuto dalla recentissima sentenza del TAR (causa Elena Leopardi contro il Comune di Cardito), altro caso dove l’avv. Molinaro ha visto accolte le proprie istanze difensive, ma anche da due ordinanze emesse rispettivamente dalla Corte di Appello Penale di Napoli e del Tribunale Penale di Salerno. In questi ultimi due casi, i comuni di Giugliano e di Cava dei Tirreni avevano approvato il regolamento ed hanno ottenuto di conseguenza anche il “nulla osta” dell’autorità giudiziaria. Tornando al caso della signora Ferrandino, va ricordato che ella era stata inserita nella recente “lista di proscrizione”, cioè quella dei destinatari di un ordine di demolizione, per i quali il Comune aveva già attivato la procedura di finanziamento. L’avvocato Molinaro aveva inoltrato lo scorso 2 novembre un atto di diffida proprio per ottenere da parte del Comune una “delibera consiliare che stabilisca, in concreto, i criteri di assegnazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 1, comma 65 della legge regionale Campania n. 5/2013, riconoscendo precedenza a coloro che, come le intimanti, anche nel tempo dell’eventuale acquisizione, occupavano il cespite”. Nell’istanza veniva ripercorsa la cronologia dei fatti riguardanti le opere realizzate in assenza di titolo, verso le quali il Tribunale nel 2007 emanò un ordine di demolizione. Due anni dopo, la Procura della Repubblica aveva concesso un termine di 45 giorni per procedere all’abbattimento delle opere in questione, in relazione alle quali erano tuttavia già state emesse due ordinanze di demolizione da parte del dirigente comunale, nel 2002 e nel 2004, entrambe rimaste ineseguite. Proprio la mancata esecuzione dei citati provvedimenti, alla luce della legge regionale n.5/2013, rendeva fondata per tali opere la materializzazione dell’acquisizione al patrimonio comunale. Alla persistente inerzia dell’ente di Palazzo Bellavista ha quindi fatto seguito il ricorso al TAR, allo scopo di ottenere la dichiarazione d’illegittimità della condotta omissiva tenuta dall’amministrazione comunale. Un ricorso che il collegio giudicante, costituito dai magistrati Umberto Maiello, Renata Ianigro e Paola Palmarini, ha pienamente accolto. Nella sentenza si cita l’art. 1, comma 65 della l.r. n. 5/2013 che, per favorire il raggiungimento degli obiettivi di rilancio economico, riqualificazione del patrimonio esistente, prevenzione del rischio sismico e la semplificazione amministrativa, stabilisce che “gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22 ottobre 1971, n. 865, nonché dei programmi di valorizzazione immobiliare anche con l’ assegnazione in locazione degli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, o a programmi di dismissione immobiliare. In tal caso il prezzo di vendita di detti immobili, stimato in euro per metro quadrato, non può essere inferiore al doppio del prezzo fissato per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. In particolare, e questo è il punto focale, “i comuni stabiliscono, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e nel rispetto delle norme vigenti in materia di housing sociale di edilizia pubblica riguardanti i criteri di assegnazione degli alloggi, i criteri di assegnazione degli immobili in questione, riconoscendo precedenza a coloro che, al tempo dell’ acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non dispongono di altra idonea soluzione abitativa, nonché procedure di un piano di dismissione degli stessi”. Lo stesso ente comunale, tra l’altro, aveva avvertito la ricorrente che se le due ordinanze di demolizione non fossero state eseguite, l’immobile sarebbe stato acquisito di diritto al patrimonio comunale. Il Tribunale ha quindi ritenuto ininfluente la difesa addotta dal legale del Comune, che aveva ricordato l’esistenza di un ulteriore ordine di demolizione da parte del giudice penale (quello risalente al 2007). Quest’ultima circostanza, scrivono i giudici, secondo la costante giurisprudenza penale e amministrativa non priva affatto l’amministrazione comunale del potere di disporre l’acquisizione della costruzione abusiva al patrimonio dell’ente per raggiungere scopi di pubblico interesse. Vi è piena compatibilità e autonomia, infatti, tra l’ordine di demolizione emesso dal giudice penale insieme alla sentenza di condanna, e l’eventuale provvedimento di acquisizione adottato dal Comune: per il TAR, l’esecuzione della demolizione “si arresta solo di fronte alla deliberazione del Consiglio Comunale che stabilisce la sussistenza di prevalenti esigenze di pubblico interesse che sconsiglino la rimozione dell’abuso”. La sentenza si concentra poi sull’accertato venir meno del Comune di Casamicciola circa il puntuale obbligo di provvedere stabilito dalle disposizioni regionali (l’adozione dei criteri di assegnazione entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge): facendo leva su una recente pronuncia del Consiglio di Stato (la n.273/2015), il tribunale amministrativo ha riconosciuto non soltanto tale obbligo, ma anche l’illegittimità del silenzio tenuto dall’amministrazione casamicciolese sulla diffida inoltrata lo scorso novembre. Il Tar ha così ordinato al Comune di concludere il procedimento con l’adozione dei criteri in questione nel termine di novanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza e, nel caso di inadempienza, il tribunale ha già nominato il Prefetto di Napoli come commissario ad acta. Una decisione che apre nuove prospettive su un tema da sempre incandescente, che coinvolge migliaia di cittadini.

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