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I tesori di Pithecusae nella mostra sulla “Roma dei Re”

Gianluca Castagna | Lacco Ameno – Il prossimo 17 aprile ricorreranno i 20 anni dall’apertura del Museo archeologico Pithecusae a Villa Arbusto. Un anniversario importante che, se da un lato ci spinge a interrogarci sul cammino accidentato, mai pienamente espresso, di un presidio culturale dalle potenzialità infinite per l’incremento dell’offerta turistica isolana (e Campana), dall’altro conferma il valore dei suoi reperti e il potere evocativo in grado di generare soprattutto altrove. Pithecusae, primo avamposto greco in Occidente, non smette di rivelare la sua storia, le sue influenze, la sua ricchezza, le sue trasformazioni. Malgrado tutto (e dentro quel “tutto”, c’è davvero di tutto e di più).

La gittata di Pithecusae nel tempo e nelle geografie non conosce confini, i suoi gioielli ancora una volta diventano strumenti per la conoscenza di altri mondi. Come quello dell’antica Roma, in mostra nelle sale espositive dei Musei Capitolini per un viaggio affascinante a ritroso al VI al X secolo avanti Cristo, quando la fase più antica dell’urbe era segnata da nomi imparati (e mai dimenticati) sui banchi di scuola: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo.
Restano ancora pochi giorni (si chiude il 27 gennaio) per ammirare, nella mostra “La Roma dei Re”, oggetti e testimonianze di rarissima concretezza che consentono al  visitatore di recuperare, attraverso le stratificazioni archeologiche, i valori fondativi di una città-mondo che, nonostante il passare dei millenni, incide ancora nella vita di tanti cittadini: lo sviluppo della società, la gestione del territorio, l’interazione con le altre comunità, culture, ideologie. Come quella greca e quindi pithecusana.
Nel percorso espositivo della mostra, e in particolare nella Sezione “Scambi e commerci tra l’Età del Bronzo e l’Età Orientalizzante” infatti, ci si trova davanti a una piccola, ma significativa vetrina con oggetti provenienti proprio dal Museo di Villa Arbusto.
Due oinochoai, un lekythos, kotylai e aryballoi, insieme a pesi per le reti e ami. Reperti del corredo funerario rinvenuti alla necropoli di San Montano nella tomba n. 1187, nota agli archeologi come la Tomba del Pescatore. Importante perché documenta una tradizione marinara antichissima (la pesca al tramaglio, sopravvissuta sulle nostre coste fino agli anni ’50), ma soprattutto perché presenta un repertorio ceramico legato alla produzione corinzia. Motivi iconografici (pesci, in particolari), cari alla produzione media protocorinzia, che si sviluppa in Grecia e che gli eccellenti artigiani pithecusani ripropongono ai locali e alle popolazioni italiche. Comprese le comunità che vivevano quando Roma, secondo le fonti storiche, era governata da re.

Fin dalle sue origini, Roma intrattiene relazioni non solo con il territorio circostante, ma anche con il mondo greco. Gran parte dei reperti esposti testimoniano questi contatti. Accanto agli oggetti di provenienza tipicamente romana ci sono ceramiche greche. Pithecusae, non dimentichiamolo, è stato il primo insediamento greco in Occidente. Il primo, insieme a Cuma, a veicolare la cultura greca verso queste genti. Malgrado la Roma del tempo fosse caratterizzata da nuclei sparsi, esistevano delle aristocrazie, delle èlite che sceglievano ceramiche di influenza greca per denotare il proprio status sociale. Oggetti più raffinati che li rappresentassero. Ecco la straordinarietà della presenza di Pithecusae e dei suoi tesori all’interno di questa mostra.
Una delle curatrici di questo evento che nell’arco di sei mesi ha registrato un numero importante di visitatori e un’attenzione assai significativa dei media, ossia l’archeologa Isabella Damiani, conosce molto bene il nostro territorio. Studiosa dell’Età del Bronzo, ha lavorato a Vivara con Massimiliano Marazzi dell’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa ed è stata certamente fondamentale, insieme alle disponibilità del Comune di Lacco Ameno e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, nel favorire concretamente l’esposizione del corredo funerario pitheusano all’interno di questo viaggio immaginario nell’antica Roma, tra le maglie di una rete fecondissima di scambi e commerci tra Età del Bronzo ed Età Orientalizzante.

Certo, spiace che di questo prestito, di queste forme di collaborazione tra musei, o di questa inesauribile eloquenza del patrimonio archeologico isolano nell’illuminare aspetti poco noti di culture e mondi diversi, venga fatta così scarsa promozione. Ogni testimonianza storica, archeologica, culturale lanciata al pubblico di tutto mondo in spazi espositivi che da sempre sono formidabili attrattori, rappresentano irrinunciabili opportunità per rafforzare quel dialogo, fecondo e costruttivo, che aiuti Paese e cittadini (isolani compresi) ad acquisire una consapevolezza più matura del proprio patrimonio, del suo valore e della sua bellezza, e della necessità di tutelarlo, renderlo fruibile e promuoverlo come si deve sull’intero scenario globale.

 

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