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Ischia e l’accoglienza migranti: «Vi racconto il loro percorso di integrazione»

Sono arrivati dall’Africa dopo aver attraversato un lungo viaggio in mare a bordo di un barcone. Approdati prima a Giugliano e poi, dopo svariati mesi, sulla nostra isola. Una lunga odissea quella vissuta dal gruppo di migranti che dal Gennaio 2016 è ospite del centro di prima accoglienza Giovanni Paolo II, ubicato nel Comune di Forio. Tutto ciò possibile grazie alla Diocesi di Ischia che ha aperto loro le porte, inaugurando così sull’isola, con questi giovani poco più che ventenni, con storie diverse, ma spinti dal desiderio comune di costruirsi un futuro lontano dalla guerra e della povertà della propria terra madre, un’esperienza di prima accoglienza. Dai primi passi di questa iniziativa è ormai passato un anno e noi de “Il Golfo” ne abbiamo parlato con Luisa Pilato, responsabile dell’Ufficio Migranti della Caritas di Ischia e operatrice presso la cooperativa Archè Onlus.

Luisa, raccontaci, come è cominciato tutto?

«Era il Giugno del 2015 quando questi ragazzi sono arrivati in Italia attraverso la prefettura di Napoli. All’inizio furono ospitati presso un centro di accoglienza a Giugliano che però è stato chiuso dopo alcuni mesi. Furono così indirizzati sull’isola grazie alla Diocesi che ha accolto l’invito del Cardinale Sepe  di migliorare le condizioni di socializzazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico».

Quanti sono i ragazzi stranieri che attualmente risiedono al centro e da dove vengono? 

«Inizialmente erano sei poi sono diventati cinque perché uno si è trasferito a Milano.  Di questi che sono rimasti, tre vengono dal Mali e due dalla Costa D’Avorio. Hanno tutti un età compresa tra i venti e i venticinque anni».

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Come sono andati i loro primi mesi sul nostro territorio e come sono stati supportati nel processo di integrazione?

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«I ragazzi si sono integrati subito con il resto dell’utenza del centro Giovanni Paolo II e sono stati molto collaborativi, diventando un punto cardine. Parlavano tutti francese quindi non è stato estremamente difficile per loro apprendere l’italiano. Inizialmente sono stati aiutati da alcuni insegnanti che si sono offerti di insegnare loro la lingua gratuitamente. Lo scorso anno li abbiamo poi aiutati ad iscriversi al corso di primo livello di Italiano presso il centro territoriale permanente di Ischia. Oggi frequentano le lezioni per prendere la licenzia media. Hanno tutti voglia di imparare velocemente e stiamo cercando di inserirli nel mondo lavorativo. Si impegnano e studiano con profitto tant’è che alcuni di loro, pur lavorando già, nello spacco tra un turno ed un altro cercano di non  saltare le lezioni perchè sperano, il prossimo anno, di potersi iscrivere eventualmente anche a corsi di studio per conseguire un titolo professionale».

Mi è parso di capire che sono anche impegnati in diverse attività sociali…

«Si, la loro voglia di interazione ed integrazione fa sì che ogni volta ci sia un’attività di volontariato, siano sempre molto disponibili a prendervi parte. Di recente sono stati invitati anche al Centro Giuseppe Natale dove hanno insegnato a noi e ai ragazzi diversamente abili che frequentano la struttura qualche rudimento musicale  dal momento che sono molto bravi con le percussioni. É stato un momento di pura gioia per tutti, ma soprattutto per loro perché hanno sentito di potersi mettere a disposizione per gli altri. Inoltre questo inverno, quando la Caritas ha organizzato un unità di strada per aiutare persone senza fissa dimora anche qui sul territorio isolano, hanno subito manifestato la volontà di aiutarci a distribuire coperte e bibite calde.  Questo dimostra che hanno una gran voglia non solo di inserirsi dal punto di vista lavorativo, ma anche di essere d’aiuto per le persone della società che ruota loro intorno».

Fino a quando resteranno qui?

«I tempi tecnici non li conosciamo ancora bene perché dipende anche da se e quando riceveranno asilo politico. Tutti comunque esprimono il desiderio di restare in Italia».

Raccontano mai le loro storie di vita?

«Inizialmente non è stato semplice farli aprire. Ci sono molti ricordi per loro difficili da raccontare. Soprattutto i momenti precedenti all’imbarco. Hanno dovuto lavorare tanto nei campi  e sopportare tante brutte vicende prima di potersi guadagnare la possibilità di lasciare il loro paese. Oggi fortunatamente raccontano la propria esperienza  con molta più facilità».

Arriveranno altri  migranti sull’isola?

«L’esperienza accoglienza del territorio di Ischia non si esaurisce attraverso questi cinque ragazzi provenienti dall’Africa. Come ormai è noto di recente abbiamo ospitato anche la famiglia siriana Kababji, attraverso i Corridoi Umanitari e la comunità di Sant’Egidio. Ora i Kababaji sono andati in Svezia dove li aspettava un loro congiunto che stava già li da tempo. Si vedrà se torneranno in Italia o meno, ma comunque anche questa è stata una bella esperienza. Nonostante i Kababji parlassero arabo e in parte inglese questo non ha ostacolato la comunicazione e la loro accettazione da parte della comunità isolana. Adesso abbiamo un’altra famiglia siriana ospite presso la parrocchia di Barano, guidata da Don Pasquale Trani. Abbiamo voluto ripetere questa esperienza con i corridoi umanitari perché ci è piaciuto molto supportare, nel loro percorso di integrazione, queste persone in difficoltà.  Averli  aiutati a realizzare, seppure in piccolo, i loro desideri di una vita migliore ci ha reso felici».

Nei mesi scorsi sull’isola ci sono state diverse polemiche relative all’accoglienza migranti. Quale è la sua opinione in merito?

«Tante volte immaginiamo che l’immigrato sia quella persona che ci invade e ci toglie delle possibilità di lavoro o ricchezza.  Fermo restando che da noi il numero di migranti è esiguo, sono convinta che  quando c’è  un territorio che in modo propositivo favorisce l’integrazione con numeri gestibili, questa diventi un’esperienza positiva.  É ovvio, invece, che quando le decisioni sono calate dall’alto e non sono ben  concertate rispetto alle reali possibilità di accoglienza dei singoli territori, allora il processo di integrazione diventa molto più complicato».

L’esperienza isolana come è stata, quindi, sotto questo punto di vista?

«È stato un esperienza soddisfacente e positiva. Sono rimasta piacevolmente sorpresa dal profondo rispetto  che questi ragazzi  hanno manifestato fin da subito verso di noi e la gente del posto. Pensa,  nonostante fossero  tutti di religione musulmana,  questo non ha impedito momenti di preghiera condivisa.  Ecco, questo è sicuramente uno dei cardini per un’esperienza di  accoglienza ed un percorso positivo di integrazione: il rispetto delle reciproche diversità».

SARA MATTERA

 

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