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Con ‘Libera’ l’isola d’Ischia dice no alle mafie

Gianluca Castagna | Ischia «La lotta alla mafia dev’essere in primo luogo un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà», affermava il magistrato Paolo Borsellino.
Tra pochi giorni, martedì 21 marzo, si terrà la XXII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Organizzata da Libera, coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole e realtà territorialmente impegnate a diffondere la cultura della legalità, la Giornata avrà per tema “Luoghi di speranza, testimoni di bellezza”. Un messaggio propositivo di risposta alla morsa delle criminalità organizzate che strangolano la nostra vita quotidiana insinuandosi nel tessuto sociale, culturale, politico ed economico dei nostri territori.
È necessario restituire speranza alle persone e la speranza è rappresentata dalle iniziative concrete e quotidiane che cambiano il segno dei luoghi in cui viviamo. Testimoni di bellezza possono essere anche i familiari delle vittime innocenti che hanno trasformato il loro dolore in impegno e memoria. O i tanti cittadini che ogni giorno si impegnano e non abbassano la testa di fronte alla violenza che mina le relazioni e il tessuto sociale di ogni comunità.
A scendere in piazza martedì, nella manifestazione che si terrà a Ponticelli, anche una delegazione isolana guidata dal presidio di Libera Ischia e Procida, oltre a una rappresentanza di giovani studenti dell’IPS “V. Telese” di Ischia che in queste settimane, sotto la guida della prof.ssa Lucia Marotta, hanno partecipato al progetto Scuola Viva “Cosa sono, cosa posso e cosa non posso”. Un progetto che ha permesso a tanti giovani ischitani di capire che la sconfitta delle mafie passa anche per la riappropriazione di luoghi che, sottratti al controllo della criminalità, oggi offrono spazi sociali e relazionali agli abitanti, giovani o meno giovani, di quella comunità.
E proprio al “Telese” di Ischia si è tenuto ieri un incontro preparatorio alla giornata di martedì nel ricordo delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie. Storie che meritano di essere raccontate e condivise perché solo attraverso un impegno collettivo è possibile sconfiggere quel mostro camaleontico che può nascondersi anche nella vita quotidiana di tutti noi. Il bullismo fuori e dentro la scuola, il mancato rispetto di regole fondamentali per la società civile, l’incuria e lo sfregio all’ambiente, lavarsene le mani e non denunciare. Sono tutti comportamenti che possono condurre a qualcosa di più grave, a un “sistema mafioso” fatto una radiografia fatto di nomi, regole, complicità, misteri, intrecci, connivenze.
«Non c’è bene individuale senza bene comune» hanno ricordato Egidio Ferrante e Filomena Sogliuzzo, referenti di Libera Ischia e Procida. «I luoghi di speranza sono i cuori dei familiari delle vittime che hanno saputo trasformare il dolore in responsabilità. I giovani sono antenne che devono vigilare sulla nostra terra e creare assieme una rete di responsabilità civile».
«Nessuno vi chiede di essere eroi» ha aggiunto il comandante dei carabinieri di Ischia Tenente Andrea Centrella, rivolgendosi ai ragazzi dell’Istituto di Via Fondo Bosso. «Per migliorare la società non serve sacrificarsi, basterebbe solo fare il proprio dovere, comportarsi cioè da bravi cittadini. Non aver paura di denunciare l’illegalità, perché i problemi si risolvono insieme: da un lato, le forze dell’ordine con il loro impegno e la loro dedizione; dall’altra, i cittadini disposti a prendersi quel minimo di responsabilità quando sono testimoni di atti contrari alla legge. Qualche volta non riusciamo ad accertare un reato proprio per l’omertà di chi punta il dito e poi nasconde la mano».
Il giudice Albino Ambrosio ha illustrato i dati Eurispes sulla criminalità e la sua formidabile capacità di penetrazione nel territorio e nelle istituzioni. «51 comuni su 92 – ha ricordato Ambrosio – sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose o interessati da provvedimenti giudiziari gravi». Le mafie sono ormai un sistema di potere che negli anni si è integrato con alcuni segmenti del circuito economico e finanziario delle pubbliche amministrazioni. La lotta si gioca su questi terreni, e ciò che conta, più che l’inasprimento delle pene, è la repressione delle cause che favoriscono la malavita. «Alla criminalità va opposta la cultura della società civile, una cultura di impegno che non avvalori tutto ciò che è malavitoso e si ispiri ai principi della nostra Costituzione».
Sono tante le storie di uomini e donne che, vittime di una spietata logica criminale, col tempo hanno saputo diventare esempi di giustizia sociale e di impegno collettivo speso a favore della comunità.
Luciana Di Mauro è la vedova di Gaetano Montanino, guardia giurata morta a 45 anni, vittima innocente della camorra. Il 4 agosto del 2009 suo marito viene ucciso da otto colpi di pistola sparati da due minorenni vicini al clan Contini di Napoli che volevano sottrarre le armi a lui e al suo collega 25enne. Al processo per la morte di Gaetano Montanino, i due killer sono stati condannati a vent’anni di carcere. Oggi Luciana è una delle attiviste più convinte di Libera, una delle testimoni più straordinarie di come lo smarrimento e il dolore sappiano instradarsi in un cammino di riconciliazione e recupero degli stessi criminali che le uccisero l’uomo che le viveva accanto da 26 anni. Francesco Clemente, figlio di Silvia Ruotolo, ha raccontato agli studenti del “Telese” quando un colpo di pistola spazzò via, davanti ai suoi occhi, la vita della giovane madre. Francesco aveva solo 5 anni, tornava con lei dall’asilo e quell’11 giugno 1997 ha distrutto e ha segnato per sempre la sua vita, quella di sua sorella Alessandra, e di papà Lorenzo.
Nico Sarnataro, presidente dell’Associazione sportiva “Squadra per la legalità” di Quarto, ha solo 19 anni, e ha ricordato quando un anno fa, dopo ripetute minacce, è stato avvicinato da due delinquenti col volto nascosto da caschi integrali e pestato gravemente con una mazza da baseball. La sua è diventata una lotta di inclusione per la legalità, di sport come occasione di riscatto per le tante “teste calde” che agitano i territori di frontiera, di conoscenza come strumento di emancipazione dal giogo delle mafie imposto a chi, senza cultura, non ha futuro. «Studiate – ha ripetuto più volte rivolgendosi ai tanti studenti intervenuti – la mafia ha paura dei ragazzi che studiano, che sanno distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è».

Giuliano Ciano è nato a Napoli nel 1978. Perito Agrario, è socio e presidente della cooperativa sociale “Un fiore per la vita” che gestisce la fattoria sociale “Fuori di Zucca” in un’ala dell’ex manicomio psichiatrico di Aversa in cui si effettuano percorsi di inserimento lavorativo ed educazione al lavoro per persone in difficoltà. «I nostri prodotti dimostrano che è possibile farcela: costruiamo economia sociale come modello antagonista all’economia mafiosa e speculativa. Abbiamo ricostruito la “normalità” in un’area, l’agro aversano in provincia di Caserta, che aveva fatto dell’emergenza straordinaria la sua misura».
Dal 2012 Giuliano è Presidente del consorzio di cooperative sociali “Nuova Cooperazione Organizzata”, dove tutte le consorziate sono legate dall’impegno della gestione di beni e terreni confiscati alla camorra. E’ anche da qui che parte il riscatto delle Terre di Don Peppe Diana con l’iniziativa “Facciamo un pacco alla camorra”. Un’esperienza che gli studenti del “Telese” coinvolti nel progetto Scuola Viva hanno toccato da vicino grazie a una visita nella fattoria sociale di Aversa.
Un segnale importante di come anche il cibo, la filiera agroalimentare e la conoscenza del mondo agricolo possono trasferire senso di responsabilità e concretezza nella lotta che ci impegna contro tutti i fenomeni mafiosi.

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