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La moltiplicazione dei clan camorristici

di Orazio Abbamonte
L’evidente escalation che si sta registrando nella lotta tra le bande che si contendono il territorio dell’area napoletana ha costituito da richiamo per un’attenzione da tempo abbassatasi sul fenomeno camorristico. E la tensione ormai altissima tra le forze dell’ordine dopo che un loro componente è stato ridotto in fin di vita con modalità efferate prova, ancora una volta, quanto irresponsabilmente della criminalità organizzata ci si sia occupati ormai da decenni. Secondo un rapporto della Direzione investigativa antimafia riferito alla seconda metà dello scorso anno, a contendersi il territorio napoletano sarebbero ben cinquantuno clan mentre per l’intera regione opererebbero un centinaio d’organizzazioni criminali. È evidente che numeri così alti dimostrano una frammentazione se non proprio una polverizzazione delle articolazioni camorristiche, il che a sua volta è indice di debolezza ed assenza di gruppi egemoni, nocive per qualsiasi sistema di potere. Il potere, quello criminale come quello legittimo, quando è tale tende ad accentrarsi ed i gruppi più forti via via aggregano intorno a sé, sottomettendoli, quelli più deboli, che ad essi s’avvicinano in cerca di protezione ed in vista dei vantaggi che loro derivano dall’appartenere alle forze dominanti. Questa abnorme moltiplicazione dei nuclei camorristici, è probabilmente la principale causa della loro attuale visibilità. Le battaglie per la prevalenza su singole strade, piazze ed aree d’influenza provoca le sparatorie cui assistono sempre più spesso direttamente comuni cittadini; sono esse il segnale dell’imbarbarimento d’una lotta criminale che ha perso in riferimenti e controllo. Il problema non è però quello odierno; il problema è che nessuna azione appropriata di contrasto alla criminalità organizzata è stata posta in atto da tempo, probabilmente da sempre. E ciò ha fatto sì che la città cadesse in mano ad una criminalità infiltrata per ogni dove e resa arrogante dalla certezza della sua sostanziale invulnerabilità. Cinquantuno clan minori ed una diecina di famiglie più costituite, tradotto in altri termini vuol dire che non c’è zona di Napoli priva della sua rete criminale. Una simile situazione, evidentemente non avrebbe dovuto affrontarsi con strumenti investigativi e soprattutto preventivi e sanzionatori di natura giudiziaria. Sia quando la fenomenologia camorristica è visibile sia quando, grazie ad una più rigorosa organizzazione, riesce meglio a mascherarsi, lo Stato non può pensare di governarla con il mezzo giudiziario, le sue copiose garanzie e la lentezza dei procedimenti che ne deriva. Non c’è il tempo e ogni azione che faticosamente si realizza, vede vanificati i suoi effetti perché le organizzazioni del crimine hanno tutto l’agio di ricostituirsi e perpetuarsi. Lo sfatto tessuto sociale favorisce un processo di continua rigenerazione della delinquenza, sostenuta da mille reti ed interessi che i mezzi ordinari non sono in grado di contrastare. La miglior prova di ciò, è che dopo circa un quarto di secolo di Direzione investigativa antimafia e di Procure distrettuali e nazionali, il risultato ottenuto è quello presente: addirittura paradossale, perché “efficaci” azioni di contrasto, scardinando assetti costituiti senza poter battere realmente la criminalità né sostituire ad essa ordine legale, comportano scompiglio tra le famiglie camorristiche e dunque più efferata ed incontrollata violenza. A me pare evidente che non c’è altro modo d’affrontare un problema di tanta portata che attraverso eccezionali misure di polizia. Misure cioè che sospendano ordinarie garanzie giuridiche per i reati propri delle organizzazioni e consentano alle forze dell’ordine d’agire come si deve in simili congiunture. Gli strumenti sono noti ed è inutile qui elencarli. Bisogna prendere atto che la realtà è assai più dura di quanto ci piacerebbe che fosse e che da molto è finito il tempo per eleganti discussioni sul Mezzogiorno, le radici storiche dei suoi mali, l’esigenza di svolte culturali. Certo, indagare sulle cause serve ad intervenire sugli effetti. Ma qui il problema è di ordine pubblico, di capillarità delle infiltrazioni, di un tessuto sociale in gran parte perduto. Ed in questi casi c’è solo una cosa che davvero si teme: la forza. Quella dello Stato dovrebbe sostituirsi a quella della camorra. Mentre invece ho l’impressione che si stia semplicemente attendendo che due o tre nuove più costituite famiglie riprendano il controllo della situazione, vale a dire si riapproprino monopolisticamente del potere sulla città.

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