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La morte di Renata e le contraddizioni del testimone oculare

ISCHIA. È ancora molto presto per giungere a conclusioni precise sulle reali cause, e le relative responsabilità, della morte di Renata Czesniak. L’autopsia, eseguita giovedì scorso, potrà fornire alcuni elementi decisivi, ma occorreranno alcune settimane al collegio peritale per inviare alla Procura la relazione dell’esame.  In ogni caso, oltre ai risultati dell’autopsia, un altro elemento fondamentale attorno a cui ruotano le indagini è costituito dalle dichiarazioni dell’unico testimone oculare della tragica vicenda: un amico di Raffaele. Dichiarazioni che tuttavia sono in stridente contrasto tra loro: la persona è stata infatti ascoltata almeno tre volte dagli inquirenti nelle ventiquattr’ore successive alla tragedia. La prima volta alle 4.30 circa del mattino, cioè poche ore dopo l’arrivo del 118 e dei Carabinieri: è in questo frangente che il testimone riferì che, dopo alcune accese discussioni acuite anche dall’abnorme consumo di alcol e originate dalla gelosia del Napolitano per le frequentazioni con altri uomini da parte della compagna, quest’ultima “si è alzata di scatto e barcollando vistosamente a causa dello stato di ebbrezza è caduta supina sul pavimento in stato di incoscienza”. L’amico dell’indagato aveva poi raccontato che la donna fu adagiata sul letto, mentre il Napolitano avrebbe telefonato al suo avvocato di fiducia, e che solo verso l’una e mezzo della notte fu allertato il 118.

Tale ricostruzione venne messa in dubbio perché contrastante con quella di Napolitano, il quale aveva spiegato che dopo la caduta della donna aveva cercato subito di rianimarla con dell’aceto, aiutato dall’amico e dal fratello, ma, visto che la compagna non si riprendeva, avevano chiamato il 118.

Nella mattinata di domenica venne dunque nuovamente ascoltato il testimone che si presume essere stato l’unico ad aver assistito alla scena. Questi, dopo aver riferito che dopo cena Raffaele e Renata avevano litigato perché la donna voleva recarsi da un suo amico, spiegò che la 43enne era caduta a terra appena uscita di casa per poi essere ricondotta nell’abitazione dal Napolitano, dove i due continuavano a litigare. Il testimone ha poi spiegato che mentre si trovava sull’uscio della porta d’ingresso dove aveva fumato una sigaretta, nel rientrare aveva visto entrambi “seduti su due sedie l’uno a fianco all’altra. Di scatto Napolitano si è alzato e ha scagliato il bicchiere a terra in un momento di ira. Immediatamente Czesniak Renata forse spaventata dal gesto del compagno, si è alzata in piedi e in questa circostanza Napolitano l’ha spinta con una mano facendola scivolare sul pavimento. Dopo di che la donna ha perso i sensi”. Il testimone confermò che secondo lui la donna respirava ancora, al punto che il 118 fu chiamato circa un’ora dopo.

Queste dichiarazioni fecero scattare l’arresto per Napolitano, il quale spontaneamente dichiarò che, nel corso di un litigio con Renata, dopo aver lanciato il bicchiere in terra, aveva cercato di uscire dall’appartamento, ma la donna tentò di impedirglielo: nella confusione l’uomo la spintonò al lato sinistro del petto. La donna sarebbe quindi caduta a terra in seguito alla spinta.

Poche ore dopo, per la terza volta, venne ascoltato nuovamente il testimone amico del Napolitano. Nel tardo pomeriggio di domenica, l’uomo rilasciò dichiarazioni  ancora differenti, in quanto stavolta precisò che, in merito alla telefonata di Napolitano al proprio avvocato, “certamente quando effettuò la chiamata, Renata non era ancora caduta in cucina”, e raccontando anch’egli di una spinta di Raffaele a Renata che ne provocò la caduta a terra.

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A questo punto, Raffaele Napolitano venne sottoposto a interrogatorio, stavolta alla presenza del proprio avvocato. L’indagato, confermando di aver avuto contatto telematici col legale la sera del dramma, e di aver litigato con Renata, ritrattò la dichiarazione spontanea, smentendo di averla spinta, sostenendo invece di averla solo sfiorata.

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La difesa dell’indagato, come si ricorderà, ha prodotto indagini difensive comprendenti anche una nuova testimonianza dell’amico presente quella sera nell’appartamento, il quale, a differenza della precedente deposizione, spiegò che mentre la donna si stava dirigendo in camera da letto, Raffaele «l’ha toccata giusto giusto con la mano per dire “Che stai facendo? Che fai?”, e toccandola lei è caduta a faccia a terra», ma senza alcuna intenzione lesiva né aggressiva.

Se il lettore è riuscito a mantenere il filo nell’impegnativo dipanarsi della vicenda, avrà già constatato la contraddittorietà delle dichiarazioni che hanno contribuito alla decisione del Gip, il quale in assenza dei risultati autoptici ha ritenuto insufficienti gli elementi per trattenere in carcere l’indagato.

Infatti, come già abbiamo anticipato alcuni giorni fa su queste colonne, la difesa ha conseguito un significativo successo: il giudice per le indagini preliminari ha deciso la scarcerazione del 39enne convivente della donna, applicando la misura degli arresti domiciliari, accogliendo così la richiesta degli avvocati Francesco Pero e Daniele Trofa. Misura che era già stata applicata fino al novembre scorso al Napolitano nell’ambito di un procedimento che lo vedeva accusato di maltrattamenti in famiglia proprio nei confronti della 43enne di origine polacca spirata nella notte tra il 12 e il 13 gennaio. Adesso la difesa punterà proprio a eliminare tale misura dopo che nell’udienza di mercoledì i legali di fiducia dell’indagato avevano messo a segno un duplice colpo: oltre alla scarcerazione dalla casa circondariale di Poggioreale, sono riusciti a ottenere anche la mancata convalida dell’arresto. L’ipotesi di omicidio preterintenzionale aggravato secondo il gip si stempera di fronte alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza, che invece secondo il magistrato sussistono per l’altro reato contestato, i maltrattamenti familiari. Tuttavia la scomparsa di Renata, secondo la difesa, fa venir meno le esigenze cautelari per gli arresti domiciliari, dal momento che è impossibile reiterare il reato. Probabile dunque che sarà questa la linea della strategia difensiva per il ricorso al Tribunale del Riesame, che viene dato  per certo.

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