ARCHIVIOARCHIVIO 3ARCHIVIO 5

L’anatema di Don Carlo: «Abbiamo bisogno di uomini nuovi, ora basta col clientelismo»

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA.  Si è chiusa un’altra edizione della festa di San Giovan Giuseppe della Croce: quest’anno gli animi sono stati più sereni dopo le polemiche degli anni scorsi legate al dibattito sui “fuochi sì, fuochi no”?

«Sì, gli animi si sono certamente rasserenati rispetto ad allora. I fuochi d’artificio sono stati allestiti in misura sensibilmente ridotta. In sei anni siamo arrivati ad abbattere i costi del 50% circa, quindi in misura davvero considerevole. Parallelamente, è risaputo che portiamo avanti diversi progetti caritatevoli e missionari. Uno su tutti è quello che ci lega al caro Padre Crescenzo Mazzella, frate camilliano di Ischia che da anni frequenta Haiti, uno dei luoghi più poveri del pianeta oltre che vittima pochi anni or sono di un terremoto disastroso. I camilliani gestivano l’unico ospedale presente ad Haiti per i portatori di handicap, e la comunità ischitana lo ha sostenuto per anni. Quindi stiano tranquilli i fedeli isolani che elargiscono donazioni per i festeggiamenti del Santo Patrono. Va anzi sottolineato che le offerte del popolo ischitano non sono mai diminuite, ma sono aumentate, segno che i fedeli credono in questo progetto e lo sostengono. Attraverso “Il Golfo” sento il bisogno di ringraziare il popolo di Ischia, che ci permette di onorare degnamente San Giovan Giuseppe, e allo stesso tempo di aiutare gli ultimi attraverso opere caritatevoli. Quest’anno, ovviamente, abbiamo rivolto un’attenzione particolare per le vittime del terremoto nell’Italia centrale».

Qual è lo “stato di salute” della chiesa isolana?

«Lo stato di salute lo rilevo dall’esperienza dei predicatori di altre località che giungono sull’isola. Grazie al loro punto di vista, “esterno” rispetto a noi che viviamo costantemente la realtà isolana, possiamo avere un valido riscontro. Uno degli ultimi predicatori, un gesuita, era rimasto colpito dal fatto che durante le funzioni religiose sull’isola le chiese erano sempre piene di fedeli. C’è quindi una partecipazione molto alta, che ovviamente però non è necessariamente indice di uno stato di salute spirituale. Quest’ultimo spesso soffre di una discrasia tra “altare e strada”,  tra la partecipazione ai riti religiosi e l’effettiva incidenza sul tessuto sociale della nostra realtà. Anche Papa Francesco sta invitando la Chiesa “ad uscire”. Il nostro vescovo Pietro Lagnese sta intensamente operando in questa direzione. Anche la prossima missione diocesana, dal 4 al 13 novembre, non sarà molto “tradizionale”: vedrà infatti un’alta partecipazione di coppie e di giovani, oltre a religiosi e religiose francescani della provincia umbra, che si occuperanno soprattutto del mondo degli adolescenti e delle famiglie».

Ads

Sull’isola certi problemi legati soprattutto al mondo giovanile continuano a esacerbarsi: il consumo di alcol, di droghe, una deriva non facile. Nell’ordine, cosa dovrebbero fare le famiglie, la politica e anche la Chiesa?

Ads

«Ritengo che stiamo prendendo troppo sottogamba tali problemi. Le statistiche dicono che l’80% dei nostri adolescenti e pre-adolescenti fanno già uso di cannabis. Un dato allarmante, perché molti esperti indicano tale pratica come anticamera per dipendenze più pericolose. E sappiamo che a livello fisico tutte le dipendenze inficiano i neurotrasmettitori, alterando quindi la percezione della realtà. Non soltanto la dipendenza dagli stupefacenti, ma anche quella dall’alcol, dal gioco d’azzardo, dall’uso di pc e smartphone. I danni di tali molteplici dipendenze si ripercuotono maggiormente su quella fase fondamentale che è l’adolescenza, l’importantissimo passaggio tra infanzia e età adulta, dove si è più vulnerabili e con minori difese. Quello che manca è un vero e proprio tavolo di concertazione tra tutte le agenzie educative presenti sul territorio. C’è troppa autoreferenzialità. Scuola, politica e Chiesa devono sottoscrivere quello che io definisco un “Patto Educativo”, altrimenti rimarremo soltanto ad osservare il nostro fallimento. Molti genitori allevano i figli, ma non li educano, che è ben altro. Il benessere che abbiamo goduto per anni non è andato di pari passo con un’adeguata crescita culturale, intesa come giusto atteggiamento verso la realtà e i rapporti personali. Una discrepanza che si spiega anche con l’evoluzione tecnologica, che ha di fatto “esteso” il nostro corpo, i nostri sensi, che però non è stata accompagnata dalla crescita della nostra anima, del nostro spirito. Molti ragazzi di oggi sono come dei “termos”, forti all’esterno, ma fragili e vuoti all’interno, o come dei “bonsai”, belli a vedersi ma mai davvero cresciuti».

La nostra continua a essere un’isola dove la sacca di povertà è notevole, si dice che la Caritas distribuisca alimenti in quantità decisamente superiore al passato.  Quanto c’è da preoccuparsi?

«Purtroppo il panorama è veritiero. La mia Caritas parrocchiale distribuisce mensilmente oltre venti quintali di generi alimentari, senza parlare di buoni spesa e di bollette pagate. E durante l’anno provvediamo ai bisogni collegati alle cerimonie delle prime comunioni e cresime. La realtà è molto più dura di quella che appare. Io lo denunciai già vent’anni fa quando ero a capo dell’ufficio per i problemi sociali: a Ischia, allora come oggi, non abbiamo tanto il problema della disoccupazione quanto piuttosto quello della mala-occupazione. Significa che i giovani non sono affatto contenti del loro lavoro, ma soprattutto che sono sfruttati e sottopagati. Ho esperienza diretta di tantissimi ragazzi costretti a lavorare anche quattordici ore al giorno per uno stipendio misero. A Ischia la tratta degli schiavi è ancora presente. Gli hotel sono tuttora pieni, in bassa stagione, e allora credo che l’appellarsi alla crisi sia soltanto un mero alibi dei datori di lavoro per diminuire il personale, aumentare le ore di lavoro e sottopagare i lavoratori. È lo specchio del fallimento della politica e dei sindacati».

Solidarietà e generosità sono valori che a Suo avviso appartengono ancora alla nostra comunità oppure siamo diventati troppo “aridi”?

«Anche qui c’è un’ambivalenza: la generosità c’è ancora, soprattutto da parte della gente semplice, che è davvero sconfinata. Gesù non condanna la ricchezza, ma l’attaccamento ad essa. Qui a Ischia, la generosità e la solidarietà diminuiscono quanto più si sale nella scala della ricchezza individuale».

Qualche anno fa fece scalpore una Sua frase in cui ti rivolgevi alla classe politica in termini tutt’altro che lusinghieri: è ancora di quell’idea?

«Alcuni la presero come un attacco specifico alla politica, ma in realtà io parlavo di una “cultura mafiosa”. Rita Borsellino, sorella del giudice ucciso dalla mafia, e don Luigi Ciotti, portavano avanti la “carovana anti-mafie”, al plurale, perché la mafia non è solo quella siciliana, bensì è una cultura diffusa, presente anche a Ischia, e lo è a vari livelli. Si parla di mafia anche quando si approfitta illecitamente di un potere. Le lobby esistono in ogni ambito, associativo, scolastico, politico. Quell’accusa resta quindi tuttora sostanzialmente valida, perché non ho visto un miglioramento significativo sulla nostra isola: nemmeno nella politica. Abbiamo ancora bisogno di una nuova classe politica, e per nuova non intendo nuovi volti, ma nel coraggio delle scelte. Ischia soffre diversi problemi, uno dei più gravi attualmente è la sanità pubblica. Essa per me costituisce la base di tutto: se manca il diritto alla salute, manca tutto il resto».

Se domani dovesse salire su un pulpito e dire qualcosa ai fedeli, qualcosa che magari non ha mai detto, quale messaggio rivolgerebbe loro?

«Vorrei che tutti pensassero ad essere innanzitutto persone libere: un obiettivo per cui ho lottato molto nella mia vita. Se fossi “ammanettato”, non potrei salire sull’altare. Quindi bisogna cercare di essere liberi da certi poteri, certe lobby, da un modo di gestire la ricchezza e i ruoli di potere che poi diventano catene per sé e gli altri. La libertà d’altronde costa. I sacerdoti non sono chiamati ad annunciare le proprie parole, ma la parola di Dio, che è dura innanzitutto per me stesso, e poi per gli altri. Ho cercato di non usare mai stratagemmi per “ammorbidirla”, affinché divenga pungolo e sprone per fare in modo che l’isola e gli isolani cambiassero in meglio. Io resto un grande “pierre”, un grande promotore di Ischia nel mondo, la amo tantissimo e ho sempre sofferto per i suoi mali, ma oggi proclamo la parola di Dio non solo e non tanto per cambiare gli isolani, ma anche e forse soprattutto affinché essi non cambino me».

L’anno prossimo ci saranno le elezioni a Ischia, si corre il rischio di assistere a una nuova caccia al voto, magari anche con sistemi clientelari, favori di bassa lega… Un quadro che sarebbe senza dubbio sconfortante: cosa si sente di dire ad attori e spettatori prima che la giostra si metta in moto?

«Il sistema che Lei ha delineato purtroppo credo che si ripeterà anche stavolta. I cambiamenti culturali richiedono svariati anni. Lo stesso giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia e di cui è in corso la causa di beatificazione, diceva che la questione non è l’essere credenti, bensì essere credibili. Qualcosa cambierà se ci sarà qualcuno che saprà essere credibile. L’invito che farei ai fratelli ischitani è di guardare alle persone credibili. Una volta a Firenze un oppositore politico apostrofò il grande sindaco Giorgio La Pira, dicendo: “Voi cattolici fate solo fumo”, e lui rispose: “Non è vero, sappiamo fare anche l’arrosto”. Ecco, ora dico agli ischitani, scegliete chi sa fare anche l’arrosto, non chi vende solo fumo. La politica è “l’amore degli amori”: chi fa politica deve infatti occuparsi delle famiglie, della scuola, della sanità. Prima parlavo dell’essere liberi: solo chi è libero può fare la scelta giusta per eleggere gli uomini adatti a guidare il paese. Purtroppo, su questo, siamo in ritardo di decenni. Non abbiamo tanto bisogno di infrastrutture nuove, bensì di uomini nuovi con una cultura nuova».

Ischia è un isola a vocazione turistica: è giusto dire che il turismo legato al culto è un fenomeno che sfruttiamo ancora poco? E cosa si può fare per migliorarlo se non addirittura istituzionalizzarlo?

«Questo è un aspetto molto interessante. Da quando sono parroco a Ischia Ponte, durante l’anno ricevo molte chiamate da turisti che vogliono conoscere la data esatta delle manifestazioni e delle feste religiose per poter ottenere le ferie proprio in quel periodo. Visitatori che provengono non solo dall’Italia settentrionale, ma anche dall’Europa del Nord. Tuttavia le grandissime potenzialità di questo turismo legato al culto non sono ancora adeguatamente recepite dagli stessi operatori del settore, albergatori compresi. E dire che a Ischia viviamo in una miniera, basterebbe così poco per ottenere risultati straordinari».

Chiudiamo con un appello alla comunità isolana:

«Il mio desiderio è che  Ischia cresca nell’integrazione tra le varie realtà che la compongono, e ce ne sono di bellissime. Vorrei maggiore condivisione e meno auterefenzialità, per compiere un cammino in comune di cui tutti gli isolani godano i benefici. Purtroppo abbiamo ancora una mentalità da isolani e isolati, oltre che provinciali. Ma qualche segnale positivo c’è, e lo si è visto nella manifestazione di strada per l’emergenza-sanità».

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex