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PENSAVO FOSSE AMORE, INVECE ERA IL PD

Ricordate il film del 1991 “Pensavo fosse amore, invece era un calesse” del grande Massimo Troisi? E vi siete mai chiesti perché mai l’alternativa all’amore fosse un calesse? Che significato ha il calesse? Lo spiegò ,in un’intervista, lo stesso Troisi: “Calesse sta per un oggetto qualsiasi, poteva essere una sedia o un tavolo o un’altra cosa. L’importante era sottolineare che poteva essere tutto fuorché amore”. Ebbene, molti elettori di sinistra si erano illusoriamente innamorati del Partito Democratico (figlio di una fusione a freddo tra ex DC ed ex PCI) nella speranza che potesse incarnare i sogni di affermazione dei valori della solidarietà, giustizia sociale, libertà, sviluppo sostenibile, difesa dei più deboli. Tutto svanito, evaporato, come una bolla di sapone che per un attimo sale al cielo, bella e colorata, per poi esplodere in un semplice “puff”! Nel film citato, il protagonista Tommaso (Massimo Troisi) prima s’innamora di Cecilia (Francesca Neri) poi, tra alterne vicende, alla fine non si presenta all’altare, per un matrimonio che non ritiene possibile. Uguale per gli italiani che, vista la pochezza del PD, dopo l’infatuazione, diserteranno l’altare delle prossime elezioni. Non trovo parole più adatte, per descrivere il declino politico del PD, di quelle che ha scritto su Repubblica, qualche giorno fa, la professoressa Nadia Urbinati della Columbia University, col titolo “La sinistra senza partito”: “La visione del mondo, a destra come a sinistra, è uno specchio di questo mondo senza visione; che cosa rende il Partito Democratico diverso? Nessuno lo saprebbe dire, salvo cercare di imitare un poco la Lega (sulla politica dell’immigrazione) e un poco i 5 Stelle ( nelle proposte di aiuto ai giovani o alle famiglie) . Dove sta la differenza non si capisce, perché dal suo Dna è stata da anni espunta la progettualità della difesa dei più deboli per consentire dignità di cittadinanza (art. 3 della Costituzione)”. Poi Urbinati critica l’attenzione puntata dal PD esclusivamente sulla “distribuzione” di sussidi, certo utili in una fase emergenziale, ma che non costituiscono una risposta politica all’economia post industriale. Non è progetto di difesa della democrazia sociale. Non è nulla di specifico. Per dirla con Troisi, è un calesse qualsiasi. Quello degli italiani non era dunque amore per il PD, ma una semplice infatuazione per un leader giovane che, grazie ad una vivacità comunicativa oltre che per uno spirito da spazzacamino che dichiarava di voler togliere tutta la fuliggine di storici errori accumulati da vecchi leader, aveva suscitato aspettative enormi. Ma era solo un Renzi-calesse, anzi – per restare su metafore ischitane – era al più un ape-calessino, un microtaxi a tre ruote, che presto sarebbe stato sostituito, sulla scena politica italiana, dall’Ape Di Maio (un’Ape Maya a 5 Stelle che, invece di essere a strisce gialle e nere ,è giallo verde) e dal bulldozer Salvini (o Dune Buggy, fate voi, l’importante è rendere visivamente percepibile tutta la rozzezza e la violenza del personaggio).

Il problema è che il giovane Renzi l’unica cosa solida che era riuscito a costruire era l’occupazione sistematica dell’apparato di partito, con l ‘insediamento di suoi fedelissimi nei gangli vitali dell’organizzazione. Risultato: l’ingessamento del partito, una faglia tra renziani doc e il resto dei militanti. Per un attimo, solo per un attimo avevamo sperato che esistesse un’ala del PD che avesse una visione più autenticamente solidale e vicina ai problemi reali degli strati popolari più deboli. Avevamo sperato che il segretario Martina o il candidato alla segreteria nazionale Zingaretti, comprendessero le ragioni umane e legislative del Decreto Ischia. Invece no. Per speculare contro i 5 Stelle, hanno tutti insieme rovesciato addosso all’isola d’Ischia il peggior armamentario polemico possibile.  Chi scrive, vecchio socialista liberale, è lontanissimo da Forza Italia, altrettanto dal M5S, ma non ho remore a dire che la posizione assunta dai due partiti (tranne individuali eccezioni, tra cui l’isolano Gregorio De Falco) sulla tragedia del terremoto isolano e sulla necessità di risolvere il nodo delle case distrutte o danneggiate che risultano urbanisticamente difformi, riscuotono il mio apprezzamento. Questo perché non sono pilotato dal fanatismo ideologico, so riconoscere quando una forza politica, anche lontana dal mio sentire, propone una cosa giusta. A differenza della giornalista Conchita Sannino di Repubblica che, per delegittimare i 5 Stelle, va a scavare nell’immondezzaio delle vicende familiari, per dimostrare che il padre di Luigi Di Maio ha avuto il condono sulla casa che aveva ampliato in difformità. E Di Maio, dice la Sannino, era già “giovane studente influente aspirante leader” (sic!). Questo è giornalismo spazzatura, che disonora la sinistra e resto basito che l’intero Cdr di Repubblica abbia difeso l’articolo. L’inesperienza e l’incapacità dei 5 Stelle può essere dimostrata politicamente con ben altri argomenti! Le guasconate propagandistiche di Renzi & company fanno la pari con l’informazione ideologica dei giornalisti “collaterali”. Non c’è luce in fondo al tunnel del PD nazionale, ma è buio pesto nel PD isolano, nonostante (o devo dire “a causa”?) la presenza dell’eurodeputato Giosi Ferrandino.

Il silenzio di Giosi è indice di imbarazzo o di complicità? Quanti voti pensa Ferrandino di raccogliere alle prossime elezioni europee? E quanti pensa il PD nazionale di averne? Non solo penso che il PD vada verso il disastro elettorale, ma fossi un esponente isolano del PD, mi dimetterei immediatamente dal partito, dopo la gazzarra parlamentare contro il decreto Ischia. Vorrei dare anche un amichevole consiglio a Riccardo Sepe Visconti, tesserato PD, di cui apprezzo la voglia di proporsi .Vorrei eccepire che mi sembra piuttosto velleitario il tentativo di organizzare una campagna mediatica di corretta informazione sulla situazione dopo terremoto di Casamicciola, Lacco e Forio. Soprattutto se ci si illude di coinvolgere Giosi Ferrandino. Si può combattere una disinformazione in buona fede, ma non si riesce a combattere un’orchestrata campagna politico-mediatica in mala fede, che è piuttosto guerra tra bande politiche, sulla pelle degli ischitani. Ma allora dobbiamo perdere ogni speranza di una democratica evoluzione della società italiana e di quella isolana? No, il “cupio dissolvi” del PD non vuol dire abbandonare del tutto il campo. Ci sono, in nuce, nuovi soggetti politici di cui non siamo ancora in grado di capire la portata e le possibilità, ma che potrebbero rappresentare una novità che, situandosi nell’area democratica di centro sinistra, potrebbero compiere il miracolo di condizionare dall’esterno sia quel che resterà del PD che l’universo verde ecologista. Uno di questi nuovi soggetti politici è il cosiddetto partito degli amministratori “Italia in Comune”. Voluto in particolare dal Sindaco di Parma Pizzarotti, ma al quale partecipano circa 400 amministratori italiani. Ed è normale che un’eventuale riscossa democratica parta da Sindaci e amministratori locali, perché il nucleo fondamentale della democrazia italiana, il pilastro su cui ricadono tante responsabilità (spesso ignorato dal governo centrale) resta il Comune. I governi centrali di ogni colore non hanno fatto altro che indebolire, sottrarre risorse economiche e di organico ai Comuni, che restano i soli veri interlocutori diretti con la cittadinanza, nei bisogni diversificati, nelle aspettative, nei drammi da calamità naturali o nelle crisi economiche o nell’asfissia di lavoro.

Ripartiamo dagli enti locali. Esercitiamo pure tutte le critiche possibili verso i nostri Sindaci, per stimolarli a far bene, ma meglio affidarci a loro che a rappresentanti politici nazionali, spesso trainati da squallidi giochi di alleanze e di correnti che li portano ad occupare poltrone che non meritano. Per finire, a coloro che aspirano a diventare leader di una rinnovata sinistra liberale e democratica, suggerisco la lettura di un prezioso libretto di sole 137 pagine: “L’identità non è di sinistra” Marsilio editore 2017, del prof. Mark Lilla del Dipartimento di Storia della Columbia University. Cosa dice Lilla? “Sbaglia la sinistra quando segmenta e frammenta la propria politica inseguendo i singoli diritti civili individuali. Ci si illude, in tal modo, di difendere la libertà individuale e delle minoranze. Ma una sinistra che vuole governare non può prescindere da una sintesi compromissoria in cui il “ noi” prevalga sugli “io”. Non c’è vera libertà se tutto si riduce ad uno scontro di esigenze individuali”. Invece che concentrarsi su ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri, la sinistra deve concentrarsi su quanto condividiamo come cittadini dello stesso Paese. In una parola, la sinistra deve lavorare per la “coesione sociale”. Ne prendano nota gli ecologisti radicali, ne prendano nota i giustizialisti, ne prendano nota i bulli renziani del PD che, dopo aver voluto “rottamare” vecchi leader, vogliono “escludere” anziché “includere”.

 

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