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L’isola dei senza memoria

Il titolo dell’articolo ricalca, in maniera palese, un famoso saggio del neuroantropologo Oliver Sacks, scomparso qualche anno fa: “ L’isola dei senza colore”. Nel caso studiato da Sacks, nelle isole Pingelab e Pohnpei della Micronesia ( a nord della Nuova Guinea), furono scoperte intere popolazioni affette da “ acromatopsia”, caratterizzata da cecità cromatica ( incapacità di distinguere i colori) ed anche da ipersensibilità alla luce e da scarsa acuità visiva. Immaginate quanto sconvolgente possa essere una comunità, una civiltà, che vive in isole splendide dai mille colori, senza poter percepire il colore ed essendo costretti a vivere prevalentemente di notte, quando la luce non fa danni! Nel primo capitolo del libro, Oliver Sacks scrive: “ Le isole hanno sempre esercitato su di me un grande fascino. La prima vacanza estiva di cui ho un ricordo ( allora non avevo che tre anni) fu una visita all’isola di Wight. Le isole erano per me luoghi speciali, remoti e misteriosi, al tempo stesso capaci di esercitare un’intensa attrazione e di suscitare grandi paure”. Attrae e fa paura, ad un tempo, un’isola dei senza colore. Ma, ugualmente, attrae e fa paura un’isola di “ senza memoria”.

E Ischia, in questo frangente storico, appare immemore del suo passato. E senza distinzione tra memoria a breve e memoria remota. A ricordarcelo e metterlo in evidenza contribuiscono, in modi diversi, Giuseppe Valentino, storico locale, giornalista, editore, patron del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, col suo saggio “ Ischia, l’isola di Mussolini”, che merita un approfondimento a parte, che faremo in altra occasione e Cesare Di Scala, noto imprenditore e conduttore dello storico Caffè Vittoria, componente del direttivo PD locale, assiduo ed intelligente frequentatore di Facebook. Valentino va a riempire un vuoto storico, ponendo dei solidi mattoni documentali sul problematico periodo fascista nell’isola d’Ischia, Lo fa con metodo storico-scientifico e secondo i principii  etico-filosofici del grande filosofo di destra Ugo Spirito: “ Pensare è obiettare”. Un principio al quale mi sento di aderire totalmente, essendo valido sia che ci si professi di destra, di centro o di sinistra. Ma, ripeto, avremo modo di approfondire un’analisi del libro. Qui vorrei soffermarmi sull’intervento di Cesare Di Scala, pubblicato anche sul Golfo di giovedì scorso. Di Scala riporta alla luce la triste vicenda di Giuseppe Taliercio, figlio di ischitani, emigrati a Marina di Carrara, dove impiantarono un’attività commerciale. In realtà Giuseppe nacque a Marina di Carrara l’8/8/1927 e veniva chiamato “ Pino”.

La madre Clorinda Buono era rimasta presto vedova ( con 4 figli) e Giuseppe mise su famiglia ( con 5 figli). Giuseppe fece carriera diventando Direttore Generale della Montedison di Marghera. Stiamo parlando degli inizi degli anni ’80, quando i tempi e l’atmosfera politica erano particolarmente duro e difficili. Allora i brigatisti rossi andavano a caccia di dirigenti ritenuti corresponsabili di un capitalismo feroce che, in nome di un’accumulazione selvaggia di capitale, metteva in second’ordine la sicurezza dei lavoratori e la loro salute. Ovvio che la Montedison fosse nel mirino. E il Direttore Generale diventava obiettivo centrale della contestazione violenta. Ad onore del vero, bisogna dire che la storia, quella stessa che ha irrimediabilmente condannato la follia brigatista, ha anche evidenziato e condannato l’inquinamento industriale e l’inadeguatezza dei sistemi di protezione di lavoratori e cittadini. Taliercio fu rapito il 20/5/1981 e ucciso dopo 46 giorni di dura prigionia, tra stenti e privazioni. Lo uccisero, in una cassa di legno, con 17 colpi di arma da fuoco . Depositarono il suo cadavere davanti alla fabbrica, nel bagagliaio di una Fiat 128 azzurra. Gli assassini furono Antonio Savasta, condannato a soli 10 anni, perché pentito e collaborazionista. Cesare Di Lenardo. Pietro Vanzi, Francesco Lo Bianco, Gianni Francescutti, condannati all’ergastolo. I funerali si tennero il 10/7/1981 a Marina di Carrara, alla presenza del Presidente Sandro Pertini. Gli fu assegnata una medaglia d’oro al valore civile in memoria. L’attuale Palazzo dello Sport di Mestre porta il suo nome, così come anche una Scuola media di Marina di Carrara.

Nel 2010, come ricordato da Cesare Di Scala, il bravissimo giornalista Giovanni Minoli gli dedicò una puntata televisiva di “ La Storia siamo noi”. Per alcuni giorni la stampa nazionale non fece che parlare di questo assassinio. Poi, tutto si attenuò, coperto da un’altra raccapricciante disgrazia italiana: la morte di Alfredo Rampi ( Alfredino), nel pozzo di Vermicino. Il giudice istruttore che interrogò il pentito Savasta fu Carlo Mastelloni ( papà dell’artista e cantante Leopoldo Mastelloni). Tra l’altro, Savasta spiegò che l’avevano rapito, travestiti da finanzieri e che lo avevano portato in un covo a Tarcento ( Udine). Un aspetto che Cesare Di Scala non ha sottolineato è che Giuseppe Taliercio aveva, prima del rapimento, già rassegnato le dimissioni e aspettava il sostituto. Perché si era dimesso? Perchè aveva intuito che non tutto, nella fabbrica, avveniva nei canoni di legge e della sicurezza e, forse, perché aveva già ricevuto qualche minaccia dalle Brigate. Si, come recitava la rubrica televisiva di Minoli, la “ Storia siamo noi”, ma – allora – se noi diventiamo senza memoria, scompare la storia: E, come nelle isole della Micronesia, gli abitanti affetti da acromatopsia, non riescono a percepire i mille colori delle loro isole, così gli abitanti di Ischia non riescono a cogliere le mille sfumature della storia dell’isola.

Franco Borgogna

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