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Lo stupore del viaggio, ischitani e procidani in Terra Santa

PROCIDA –Abbiamo dovuto attendere lo status di “uomo antico” per superare l’atavica paura di salire le scalette di un aereo, insieme ad un gruppo stupendo ed indimenticabile di ischitani e procidani, con la guida pregnante di Monsignor Michele Del Prete, la splendida organizzazione di Antonio Loffredo e lo sguardo creativo del video maker Michele Amalfitano, per visitare la “Terra Santa”, probabilmente un itinerario essenziale da svolgere per comprendere meglio se stessi ed il rapporto con gli altri. Così trovata l’armonia giusta con il volo “micaelico” siamo giunti a Tel Aviv per intraprendere un cammino pieno di fascino, di mistero, di enigma, di angosciose contraddizioni. E qui abbiamo scoperto il privilegio di avvalerci di un enorme ausilio: la incomparabile narrazione del “mitico Giorgio di Nazareth” che ci ha accompagnato dentro i meandri della realtà territoriale in modo coinvolgente e penetrante, tanto da farci sentire partecipi con intensità emotiva sia della terra che attraversavamo sia dell’impatto sociale, economico, culturale, religioso dentro una sofferta e, spesso, drammatica e dolorosa complessità politica che colpisce tanti innocenti, inermi, indifesi, siano essi ebrei, islamici, cristiani, di altra fede religiosa, non credenti. E tutto ciò lo abbiamo sperimentato a Jaffa, a Nazareth, a Cana, a Tiberiade (Mare della Galilea), a Tabgha, al Monte Tabor, al giardino delle Beatitudini, a Cafarnao, alla Valle del Giordano, alla Montagna delle Tentazioni, all’antichissima città di Gerico, al Mar Morto, a Betlemme, del Deserto del Negev, fino alla magica Gerusalemme dove, unica polis al mondo, l’umano ed il divino è avvolto in una perenne contaminazione che produce momenti elevati ed esaltanti e parallelamente fenomeni di virulenta e fanatica discriminazione. Elemento forte di tale fenomenologia è la visione del muro che attraversa Gerusalemme verso Betlemme, tanto da farti sentire un “lacerante pugno nello stomaco” perché trasmette la cinica, feroce e caina determinazione di rendere invisibili coloro i quali, seguendo la logica nefasta dell’Olocausto, hanno perso il diritto di essere persone a vivere con dignità e amabile decoro. In tale contesto i Palestinesi rischiano di diventare le “vittime sacrificali” parimenti a ciò che è accaduto agli Ebrei nel secolo scorso con tutte le loro orribili conseguenze. D’altra parte il momento attuale non è favorevole ai valori alti e sublimi, anzi la collettività mondiale nella sua interezza vive in una profonda e ed invasiva regressione che, se non trova il filo di Arianna per uscire dall’oscuro labirinto, entrerà nel cono d’ombra dove si possono perdere i lineamenti che ci consentono di riconoscere in una entità individuale un essere umano. Detto ciò, nonostante i fallimenti che abbiamo rappresentato, sentiamo dentro di noi di aver attraversato un percorso esistenziale di immensa, palpitante ed indimenticabile emozione interiore perché i sassi, le pietre, i monti, le acque, le porte, le strade ci parlano, annunciano passo dopo passo come la figura del Cristo è sempre lì nascosta dietro la scena e il velo del mondo, similmente al tenero fiorellino d’erba che si nasconde proteggendosi sotto la rugiada, ricordandomi della similitudine di zio Libero. Per indicarci cosa? Che l’uomo sarà sempre in fredda povertà se non allarga il suo sguardo, se non arricchisce il suo più intimo essere nell’apertura all’infinito, che la vita spunta attraverso un lungo e faticoso calvario e la pace del cuore è il costodi un impegno quotidiano a respingere il senso negativo dell’essere, all’andare indietro, a trovarsi sempre in ritardo. In altri termini Cristo invita ciascuno di noi ad aspirare a qualcosa di superiore, a soffrire e nello stesso tempo a gioire, utilizzando una felice definizione di Jacques Maritain, “dell’angoscia della beatitudine”.

Ecco cosa è per noi l’essenza di questo amorevole percorso cristologico prenatalizio che nel nostro cuore e nella nostra mente ci indica la strada della mitezza da opporre a chi propugna ed esalta la forza, la violenza, alla aridità, al gretto egoismo, al chiudersi nella propria “torre d’avorio”, rispondere con una solare solidarietà samaritana, alle discriminazioni, ai soprusi, alle ingiustizie, al sempre più insopportabile disprezzo della dignità della persona e il dramma atroce dell’emigrazione sta lì a dimostrarlo non bisogna soltanto resistere ma è tempo di una robusta e virtuosa disobbedienza civile. In tal senso la cacciata dei mercanti dal tempio è la forte testimonianza che ci sprona ad attuarla, paradossalmente, per uscire dal sonno della ragione e della coscienza e provocare la riconciliazione dell’intera umanità verso un misericordioso destino cosmico.Il significato dello struggente evento della grotta di Betlemme comprende ciò, certamente non quello sdolcinato e mellifluo che, tradizionalmente, esprimiamo.

 

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