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Quanto ha senso parlare ancora di rettili e uccelli?

La sistematica (lo studio della natura e della diversità degli organismi viventi, che cerca di risalire a tutte le “relazioni” presenti tra di essi) e la tassonomia (lo studio delle regole da applicare per fare una classificazione basata sulla sistematica) sono scienze molto complicate, ed il lavoro del sistematico e del tassonomo deve essere molto scrupoloso. Tra le regole che si seguono è presente quella di fare dei cosiddetti “cladi monofiletici”, ovvero gruppi che contengono tutti i discendenti di un più recente antenato comune, seguendo criteri “cladistici”: la cladistica è una tassonomia basata sul principio che la classificazione biologica debba rispecchiare al meglio la filogenesi (la storia evolutiva e le relazioni tra individui o gruppi di organismi). Seguendo questa regola, ci rendiamo conto come due gruppi considerati validi da una tassonomia “evolutiva classica”, ovvero basata solo sul fatto che la classificazione biologica debba rappresentare il maggior numero possibile di informazioni (assumendo che non sia possibile una completa corrispondenza tra classificazione e filogenesi), debbano invece essere riuniti in un singolo clade: parliamo dei rettili e degli uccelli.

Classicamente, si definisce “rettile” un organismo in possesso di ispessimenti cutanei dette squame (da non confondere con le scaglie dei pesci, che derivano da altri tessuti della pelle), le cui uova sono cleidoiche (ovvero con guscio coriaceo di calcare) e il cui metabolismo è detto “ectotermico” (ergo, il calore prodotto non è di origine metabolica, ma esterno; è preferibile usare questo termine invece che parlare di animale “a sangue freddo”). Già da qui si rischia di eliminare qualche membro “classico” importante, dato che alcuni dinosauri avevano del piumaggio (probabilmente originato da squame) e soprattutto potevano avere metabolismo “endotermico”. Per “uccello” invece si intende un animale che presenta un piumaggio, becchi senza denti, produzione di uova cleidoiche, un metabolismo endotermico ed uno scheletro leggero. Questa definizione escluderebbe dunque alcune specie, come quella vissuta circa 140 milioni di anni fa detta Archeopteryx litografica, considerata come una sorta di “collegamento” tra rettili ed uccelli, dato che suddetto organismo aveva diversi caratteri da rettili, tra i quali citiamo come esempio i denti. Per altri esperti, la sola presenza di penne dovrebbe indicare che un animale è un uccello, anche se questo porterebbe a considerare organismi come i Velociraptor “uccelli”.

Come oramai saprete, da un gruppo di cosiddetti rettili, ovvero dai dinosauri, derivano gli uccelli; ciò dunque dovrebbe portare alla “creazione” di un singolo clade in cui unire i due gruppi, seguendo le regole della tassonomia cladistica. L’idea di raggruppare in un unico clade i due insiemi di animali sopracitati, dato il fatto che uno deriva dall’altro, non è recentissima; risale infatti ai tempi del biologo inglese Thomas Henry Huxley, che nel 1863 coniò il termine “Sauropsida” (che significa letteralmente “faccia da lucertola”), e incluse al suo interno suddetti cladi ed anche animali da posizionare sull’”albero” dei mammiferi. Il nome è stato poi riutilizzato dallo zoologo (sempre inglese) D. M. S. Watson nel 1956, che però tolse dal gruppo le specie “mammal-like”. Effettivamente, la presenza di animali definibili come rettili e che hanno dato origine ai mammiferi (i cosiddetti “terapsidi”) crea anche qui problemi nella definizione di un gruppo monofiletico. La “disputa” è stata risolta rimuovendo suddetti animali dai sauropsidi ed evidenziando come la linea dei mammiferi e dei terapsidi “condivide un antenato” con quella dei “faccia da lucertola” ma si è poi separata da essa, come diverse analisi filogenetiche hanno dimostrato.

Qui “riappare” il fardello della nostra mente classificatoria, che ci porta a definire ciò che vediamo, anche venendo meno alle regole che noi stessi ci imponiamo. Per buona pace di lucertole e gechi, essi devono essere considerati scientificamente come “parenti” di passeri ed aquile (anche se in gruppi tassonomici diversi all’interno di un “macrogruppo”: non andate a dire che ho qui affermato che sono uguali!). A livello non cladistico, invece, le caratteristiche inique che possiedono i due raggruppamenti sembrano sufficienti, almeno nel linguaggio colloquiale, per poter giustificare la distinzione in due gruppi totalmente distinti.

*Laureato in STeNA e studente della LM in Scienze della Natura de “La Sapienza”

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