14 anni fa la tragedia del Padre Pio, Ischia ricorda le vittime del mare
In quel tragico incidente persero la vita gli ischitani Salvatore Vespoli e Antonio Mandfredi e il procidano Antonio Buonomo
“Tragedia in mare al largo dell’isola di Ischia. Una nave cisterna l’«Audace A.», di 583 tonnellate di stazza, varata nel 1962, si è scontrata nella notte con un peschereccio, il «Padre Pio» di Ischia, con tre marinai a bordo. Il peschereccio è affondato. Non si conosce la sorte dei tre marinai, che sono stati nel frattempo identificati. Gli ufficiali della Capitaneria di Porto di Napoli hanno cominciato l’interrogatorio dei sette membri dell’equipaggio della nave cisterna «Audace A», che al momento della collisione, aveva un carico di 922 tonnellate di acqua potabile. Il comandante della nave è Carlo Manuguerra”. Inizia così l’articolo che il 29 giugno del 2005, 14 anni fa, il Corriere della Sera dedicò alla tragedia del Padre Pio. Paura e sgomento tra gli ischitani in apprensione circa questa vicenda dal triste epilogo. Fu soltanto dopo qualche ora che il relitto dell’imbarcazione venne localizzato grazie all’ecoscandaglio. Era poco lontano dall’incidente, a 108 metri di profondità. Sul posto vi si recò subito il nucleo sub dei vigili del fuoco; gli uomini del reparto speciale furono chiamati a intervenire con il Rov, una particolare telecamera subacquea filoguidata capace di arrivare ai circa 110 metri del fondale.
Tre i dispersi del Padre Pio, Salvatore Vespoli, di 43 anni, nato a Lacco Ameno e residente a Forio d’ Ischia, armatore e comandante dell’imbarcazione, Antonio Buonomo, 20 anni, nato a Procida, e Antonio Manfredi, 44 anni, nato a Ischia. “Vespoli – commenta ancora il cronista del Corriere della Sera – è sposato e padre di due figli; la moglie è incinta del terzo figlio che nascerà tra poche settimane”. L’ «Audace» questo il nome dell’altra imbarcazione coinvolta nel sinistro, appartiene alla società armatrice Ador.Ter.Mar. di Palermo, una società che gestisce traffici marittimi con sei cisterne adibite a trasporti vari. Quel giorno ed era in navigazione da Napoli alla volta di Ventotene. A dare l’Sosfu l’equipaggio della cisterna che alle 2.10 del mattino ha avvertito la Capitaneria di porto di Ischia. All’epoca, tenente di vascello era Domenico Sinisi, quel giorno, al momento della collisione, non c’erano problemi meteorologici, il mare era calmo e c’era una buona visibilità.A mettersi alla ricerca dei naufraghi fu la Capitaneria di Porto, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri. Nelle operazioni di soccorso vennero impegnati anche due elicotteri e una ventina di imbarcazioni di pescatori dell’isola, che raggiunsero il luogo in cui ci ful’ impatto, a circa due miglia di distanza dal porto di Casamicciola. A settembre del 2014 si concluse il processo d’appello per l’affondamento del peschereccio. A Carlo Manuguerra, comandante della nave cisterna «Audace A.» che entrò in collisione col peschereccio, e a Danilo Giaquinto, timoniere della stessa nave, furono inflitti in primo grado dalla VII sezione del Tribunale, nella sentenza pronunciata il 22 giugno 2010, due anni e mezzo di reclusione.
Il Tribunale riconobbe anche il concorso di colpe al 50 per cento dei comandanti delle due imbarcazioni per l’errata interpretazione del rischio di collisione. Dopo nove anni dai fatti, La Corte di Appello di Napoli, ha poi riconosciuto che la responsabilità del disastro colposo e dell’affondamento del peschereccio Padre Pio, già addebitata al comandante della motonave Audace Carlo Manuguerra e al timoniere Danilo Giaquinto, non era da ascrivere in alcun modo, tanto più a titolo di concorso, alle vittime del sinistro Manfredi e Buonomo, semplici marinai. I giudici hanno così accolto integralmente gli appelli proposti dall’avv. Bruno Molinaro, difensore delle parti civili costituite, ovvero gli eredi del procidano Antonio Manfredi, e dall’avv. Carmine Bernardo, difensore degli eredi di Antonio Buonomo. La tesi sostenuta dall’avv. Molinaro e ritenuta fondata dalla Corte di Appello era che il Manfredi, nel momento del tragico impatto, stava soltanto svolgendo l’abituale attività di lavoro attribuitagli a bordo dal comandante del peschereccio Salvatore Vespoli. Pertanto, il marinaio non poteva essere in alcun modo coinvolto, sul piano della responsabilità, nel tragico incidente, spettando al comandante e solo a quest’ultimo la direzione nautica della nave e l’assoluto potere gerarchico sull’equipaggio, come previsto anche dal Codice della Navigazione. Oggi, dopo 14 anni, il ricordo delle vittime del mare. La sentenza di condanna è stata per il resto confermata in ogni sua parte dalla corte di appello, anche in ordine alla posizione del comandante del peschereccio Salvatore Vespoli, per il quale è stato mantenuto il concorso di colpa nella misura del 50%.