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Io lo conoscevo bene: Tonino Baiocco racconta Luchino Visconti

Foto secondariaGianluca Castagna | Ischia, 16 marzo 2016 – La storia è quella ormai risaputa, e sempre bellissima, di un grande maestro del cinema (e della cultura) che arriva sull’isola d’Ischia negli anni Quaranta, innamorandosene perdutamente.
Nella terra dove il passo del tempo è ancora dettato dalla saggezza dei contadini e dalla religione dei pescatori, Luchino Visconti scopre un angolo di autentico incanto. E amici fidati. Pochi, ma amatissimi.Un arcipelago di vite che diventerà il suo gruppo di famiglia in un esterno.

Per Tonino Baiocco, l’imprenditore isolano che conobbe Visconti nemmeno ventenne, rievocare quella rete sottile e intricata di ricordi non è semplicissimo. Nella sua bella casa, che guarda il golfo di Napoli offrendo un panorama spettacolare, le tracce di quell’amicizia sono ancora presenti. Memorabilia combinate ad arte con altri ricordi di una vita ricca di incontri e passioni. Baiocco non bluffa mai con l’interlocutore, tanto che le sue memorie appaiono quasi giocate in tono minore: puntellate su quello sguardo intenso e interrogativo, pronte ad arrestarsi se gli squarci aperti sul passato inchiodano il tempo con una coltellata. Quando accade qualcosa di simile, è bene fermarsi e respirare. Si tratta solo di un momento, perché poi la vita riparte veloce, fantasiosa e turbolenta come sempre. Eppure, ben oltre il tempo in cui i titoli di coda sono passati da un pezzo, rimane la certezza di aver vissuto una stagione straordinaria. E’ andata così.

DSCN1712Quando e come ha conosciuto Luchino Visconti?
«Era il ’55, il ’56, nemmeno ventenne. Uno studente che cercava di arrotondare. Avevo una cucciolata di barboncini nani che volevo piazzare per ricavarne qualcosa. Ne proposi uno a Iolanda d’Ambra, già grande amica di Visconti. Luchino glielo comprò per regalarglielo, fu in quella occasione che ci siamo conosciuti».
Che anni erano a Ischia?
«Un altro mondo. Non era l’isola caotica e massificata di oggi. C’era un’atmosfera speciale, forse perché eravamo di meno. Oggi siamo in tanti, forse in troppi, non è la cosa più giusta da dire ma è la verità. Ho ricordi eccezionali di quel periodo, anche se come carattere non coltivo la nostalgia. Frequentavo i posti giusti: il Rancho Fellone, il Pignatiello a Lacco Ameno, avevo stretto amicizia con i figli della grande imprenditoria italiana, della nobiltà, del jet set che a quei tempi frequentavano il Regina Isabella e lo Sporting. Egon von Fustenberg, ad esempio, è stato un mio grande amico. Quando aprii “La Lampara”, il 19 luglio del ’60, vennero tutti i miei amici e, con loro, i genitori. Con Visconti si andava spesso alla Tavernetta del Moresco, dove suonava un gruppo, i Solitari, con una voce solista femminile davvero prodigiosa. Si faceva chiamare Baby Gate. Qualche tempo dopo diventò Mina, la più grande cantante italiana. Luchino ne aveva intuito il formidabile talento, una personalità artistica decisamente fuori dal comune. Era un uomo che riusciva a guardare lontano».
Con chi veniva a Ischia?
«Con i suoi amici più stretti. Peppino Patroni Griffi, ad esempio. La cosa strana è che Patroni Griffi frequentava il nostro albergo di famiglia, il Garden, già prima che conoscessi Luchino. C’era un altro ospite, in hotel, che avrebbe contato molto nella vita di Visconti. Si chiamava Helmut Steinberger, un giovane austriaco di cui diventai presto amico. Dato che in quel periodo dovevo portare dei grafici sui lavori di ristrutturazione della Colombaia a Volterra, dove Visconti stava girando “Vaghe stelle dell’orsa”, Helmut si offrì di accompagnarmi. Non credo per conoscere Luchino o perché avesse intenzione di fare del cinema. Partimmo e fummo ospiti di Visconti. Da questo incontro nacque Helmut Berger».
E’ stato Lei a presentarli, allora. Berger non lo dice mai, nemmeno nel documentario a lui dedicato, presentato a Venezia l’anno scorso.
«Non lo dice perché è uno stronzo (scoppia a ridere…). Con Helmut siamo stati grandi amici, ma quando Luchino stette male, non gli fu vicino come doveva, aveva comportamenti assai discutibili. Non era più da tempo il ragazzo che avevo presentato a Visconti. Da allora mi sono allontanato, non abbiamo più contatti da decenni. So che ha preso parte al biopic girato da Bertrand Bonello su Saint Laurent, in fondo dopo tutti questi anni mi piacerebbe rivederlo».
Perché Visconti amava così tanto Ischia tanto da preferirla a Capri, per certi versi a lui più congeniale?
«Non gliel’ho mai chiesto, devo dire la verità. Per me era positivo che lui l’amasse, quindi non mi interessava sapere come mai. Probabilmente nessuno gli rompeva le scatole, a Ischia trovava maggiore tranquillità, riservatezza. Visconti amava stare per i fatti suoi, noi isolani non siamo mai stati invadenti nella vita degli ospiti».
Chi erano gli amici ischitani di Visconti?
«Iolanda d’Ambra, il fratello Salvatore, tutta la famiglia d’Ambra in realtà. Aveva il suo autista, Ciro Messina. Ogni volta che veniva a Ischia, anche d’inverno, era il suo autista. Poi c’ero io. Non diventammo subito amici, la nostra amicizia, molto intensa, è cresciuta lentamente nel tempo».
Com’erano i rapporti con i politici locali?
«Nessun rapporto».
Gira voce che Vincenzo Telese, sindaco di Ischia negli anni ’50, non volle affidargli la direzione artistica della Festa di Sant’Anna perché omosessuale.
«Ho sentito anch’io questa storia, ma non saprei dire se fosse vera o meno. Da lui, mai nessun cenno»
Foto quinta-2C’è molta cattiva letteratura su Visconti. Uomo difficile, fama di altero, feroce con gli attori.
«Non sono d’accordo. Una volta conquistata la sua amicizia, era un uomo straordinario. Riservato, ma molto presente nella vita dei suoi amici. Gentilissimo e generoso. Certo, sul lavoro era pignolo, meticolosissimo. Sapeva molto bene quello che voleva e avrebbe fatto di tutto per raggiungere i suoi obiettivi. Non ammetteva superficialità e o pressapochismi. Esigentissimo con gli attori, è vero, ma molto educato. Era un uomo semplice e al tempo stesso speciale, molto speciale».
Mai litigato?
«Assolutamente. Qualche malinteso subito chiarito, al massimo. A me piaceva stare sul set, mi divertivo, volevo raggiungerlo per “Ludwig”, ma non fu possibile per via di un veto della produzione. Ci rimasi male e Luchino mi scrisse una lettera per scusarsi. La conservo ancora».
Visconti non covava dubbi, solo certezze. Aristocratico e comunista, contraddizione non da poco.
«La villa sulla Salaria, a Roma, sembrava un museo. Opere di valore e pezzi pregiati dappertutto. Sulle mura diversi quadri di Renato Guttuso, anche lui comunista. Lo incontravo spesso con Marta Marzotto, mia grande amica. Visconti era iscritto al PCI, è vero. Non era così allineato, nemmeno così militante. Le sue idee politiche erano quelle, ma quando veniva alla Lampara, o andavamo tutti alla Colombaia, non discutevamo mai di politica».
Le prove dell’amicizia.
«Se avevo bisogno di lui, c’era sempre. E viceversa. Una sera aveva una cena importante, il suo cuoco non era a Roma, feci il diavolo a quattro per organizzargliela io. Il giorno dopo lui mandò un meraviglioso mazzo di fiori a mia moglie Marita, a cui era molto legato. La prima sera che uscii con lei andammo a bere qualcosa alla Colombaia e Luchino fu il nostro testimone di nozze insieme all’ing. Franco Tiscione. Fu Umberto di Meglio, all’epoca sindaco di Ischia a sposarci, credo fosse il ’68. Quando mia moglie aspettava nostro figlio, Visconti, guardandola, disse: sarà un maschio. Nacque Gianluca e io lo chiamai un po’ come lui».
Chi ha conosciuto alla Colombaia?
«Praticamente tutti. Delon, bellezza fenomenale e “sfaccimm”, grande personalità e carattere. Si capiva perché era diventato un divo. La Cardinale, bellissima, Annie Girardot e Renato Salvatori, Paolo Stoppa e la Morelli, Marina Cicogna e Florinda Bolkan. Romy Schneider, forse l’attrice che amò di più. Ho conosciuto tutti».
storia_h2Che idea si è fatto della sorte tribolatissima in cui è sprofondata la dimora isolana di Visconti?
«Un mercimonio. L’hanno quasi tutti sfruttata per fini personali. Oggi è solo un involucro, l’anima di Visconti, e di quella residenza, sono scomparsi. Non c’è niente di quello che lui aveva pensato, progettato, costruito. Nè arredi, né pavimenti, né la sua personalità. Non c’è più nulla».
Dopo la lavorazione estenuante di ‘Ludwig’, la malattia entra di prepotenza nella vita di Visconti.
«L’ictus che lo colpì cambiò le sue abitudini: dalla villa sulla Salaria si trasferì in un appartamento di a Via Fleming e a Ischia venne sempre meno. L’ultima volta credo nel ’73. Mi sentivo con Helmut per capire come stava. Fu un periodo triste, per carattere cerco di allontanarlo dalla mia memoria».
Foto sesta (se c'è spazio, anche in piccolo)Cose le è rimasto di questa amicizia?
«Moltissimo. Racconto un aneddoto: quando stavamo a Volterra con Helmut, Visconti fu invitato in una villa. Bussammo, nessuna risposta. Di mia iniziativa, decisi di scavalcare il muro e aprire dall’interno. Un gesto che Luchino ricordò in una monografia “Vaghe stelle dell’Orsa…”, pubblicata da Cappelli e finita qualche tempo dopo nelle mani di Maria Balestrieri, la proprietaria dell’hotel Floridiana a Ischia. Maria mi chiamò: Tonino, lo sai che sei nel libro di Visconti? Io cadevo dalle nuvole. Ero sorpreso che Luchino non mi avesse detto niente. Ci rimuginai un po’, ma compresi che era tutto normalissimo. Luchino non faceva qualcosa per accattivarsi l’amicizia di qualcuno, o di conquistarne la fiducia. Lui faceva qualcosa perché sentiva di farla e basta. Questo era Visconti. Starei a parlarne per ore, fermiamoci qui».

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