LE OPINIONI

IL COMMENTO Vittime e carnefici di un giornalismo ormai morto

Il rapporto con la comunicazione digitale sta diventando sempre più complesso. I social sono diventati un surrogato della realtà, forse addirittura sta accadendo il contrario. La vita reale sta regredendo, rispetto al mondo fittizio e ingannevole dell’online. Il caso della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano, travolta dalla vicenda della risposta a un post in cui era stato recensito il suo locale, con conseguente “fastidio” per la presenza di gay e di un ragazzo disabile, la cui veridicità era stata messa in dubbio, è il culmine di un tragico fenomeno che appare ormai del tutto fuori controllo. Quella donna non ha retto alla gogna mediatica, alle critiche che le sono piovute addosso, al veleno dei social e alle coltellate dei leoni da tastiera. Giovanna è rimasta vittima dello stesso modo di comunicare che lei stessa, probabilmente, avrebbe voluto sfruttare per aumentare l’appeal del proprio locale, per migliorare i profitti, per fare pubblicità. Per fare più soldi insomma. Inutile fare troppi giri di parole. La donna il cui corpo senza vita è stato rinvenuto nel lago di Lambro, è stata uccisa dallo stesso fenomeno surreale e tragico che ha tentato anche lei di cavalcare per un interesse personale. Ammesso che venga provata la falsità di quelle dichiarazioni, sulla presunta presenza nel locale di persone infastidite dal “contatto” ravvicinato con omosessuali e disabili. Se, come sembra, il racconto della ristoratrice era del tutto inventato, bisogna arrivare inevitabilmente all’amara conclusione, che la povera donna ha innescato su se stessa un meccanismo terribile e deviato, fatto di menzogne, falsità, cattiveria, provocazione e odio. Tutto virtuale, tutto affidato al nuovo modo di interagire che, ormai, non riguarda più soltanto i giovanissimi. Tweet, Tik Tok, Facebook, post pubblicati qua e là e whatsapp. Un corollario di penose stupidità che porta le ragazze a mostrare culi e tette a profusione, a vendere il proprio corpo e la propria scarsa dignità, per un pugno di like e un sacco di soldi. Lo stesso modo allucinante di accettare sfide pericolose e dimostrazioni di assoluta follia.

E in questo mare magnum di ignoranza si tuffa, con malizia e malafede, una gran parte del giornalismo moderno. Un’informazione malata e drogata, lontana anni luce dai principi stessi della professione. Un giornalismo fatto di scoop forzati (per dirla alla Guccini), di false notizie, di titoli acchiappa click. Un modo di fare informazione, che dai social è passato alla Tv e a molte di quelle che una volta erano considerate fonti accreditate e professionalmente elevate. Non è detto che la colpa di questo suicidio sia realmente di Selvaggia Lucarelli, che non ha fatto altro che interpretare il ruolo che un sistema le ha voluto assegnare. Le sue dichiarazioni, contro la donna, sono frutto di un comportamento costruito ad arte, che le ha consentito di diventare il personaggio che è, di piacere ai produttori di trasmissioni spazzatura, di creare audience e di fare soldi. Lo stesso meccanismo che ha portato Chiara Ferragni a diventare la regina dei social, per poi finire nella spazzatura (almeno per ora), per una cattiva gestione di un qualcosa che, evidentemente, è sfuggita di mano a lei e a chi la manovra da anni, come uno sciocco burattino senza fili (tanto per restare in ambito musicale). Non sapremo mai se quello di Giovanna sia un caso o meno di istigazione al suicidio e mai potrà essere dimostrata la responsabilità degli squali da tastiera o di giornalisti in cerca di un quarto d’ora di notorietà. La morte di quella donna, invece, è sicuramente il colpo finale al giornalismo moderno, che trasforma in “notizia” una vera e propria “cazzata da social”, che dedica inchieste e trasmissioni a qualcosa che non meriterebbe neanche dieci righe nella cronaca rosa.  “E’ la stampa, bellezza!“, diceva Humphrey Bogart mentre la rotativa si azionava. Erano parole impresse sulla carta, che pesavano come macigni, perché scritte con serietà e acume. Oggi quella rotativa si è quasi fermata, arranca lentamente dietro il vortice veloce del mondo virtuale, dove trovano posto tutti, vittime e carnefici, di un giornalismo ormai morto.

DIRETTORE “SCRIVONAPOLI”

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