LE OPINIONI

IL COMMENTO La voglia di cambiamento

DI LUIGI DELLA MONICA

Gli esiti elettorali degli ultimi giorni sono stati un’amara delusione per gli speranzosi nel cambiamento e per quanti ritenevano che i quesiti referendari potessero compulsare le sedi istituzionali a recepire questa voglia matta di cambiamento. Così non è stato. Nel caso di Ischia, quanto alle amministrative, Enzo Ferrandino aveva la riconferma quasi scontata, mentre in collina, il Sindaco uscente se le è vista con una mordace Maria Grazia Di Scala, che cercava di afferrare il tallone d’Achille del suo avversario. Non sul territorio isolano, ho avuto modo di sondare che una piccola parte della Magistratura, tanto inquirente, tanto giudicante, almeno quella che ha inteso manifestare il suo pensiero, non gradiva la celebrazione del referendum, ora asserendo che gli avvocati non erano all’altezza di valutarne il rendimento, ora che non si poteva inquadrare i procuratori nell’organico del Ministero dell’Interno, ora che il CSM è cosa seria e necessita di firme di consenso alla base. Nessun commento sugli altri quesiti (custodia cautelare e legge Severino).

Molte persone astenutesi dal voto in miei colloqui diretti, ma devo dire con riscontro anche dalle interviste televisive ad alcuni esponenti del comitato del “NO”, mi hanno ribadito che l’Organo Legislativo deve avere il ruolo, la funzione ed il coraggio di provvedervi da solo, senza incomodare il popolo. Difatti, la nostra Costituzione è infarcita di norme precettive, in termini di esercizio della democrazia popolare, mediante la rappresentanza del Parlamento. Non si tratta di pigrizia degli elettori, che sono stati zelanti e fortemente incisivi nell’occasione del referendum costituzionale, promosso da Renzi quasi dieci anni or sono. In pratica, ben oltre il settanta per cento degli elettori ha sentenziato domenica scorsa che senatori e deputati devono trovare il bandolo della matassa e riformare la politica e la magistratura da soli. Ecco che mi permetto, anche se lo stesso esito del referendum non è vincolante per l’organo legislativo, di ritenere che questo cambiamento tanto voluto non ci sarà. Se è vero che questi temi tanto scottanti erano stati toccati solo da Berlusconi, che aveva teorizzato in tempi non sospetti la necessità della separazione delle carriere, non sembra che altri abbiano trattato questo argomento. Nessuno tocchi la Legge “Severino”, ma è anche vero che da tempo vi era una discrasia terrificante fra elettorato passivo negli organi pubblici su base elettiva ed accesso mediante concorso nella pubblica amministrazione: si pensi che nell’Arma fra i requisiti indispensabili vi è la incensuratezza del candidato e dei suoi parenti in linea retta fino al terzo grado ed affini di secondo grado; un dirigente medico, un aspirante all’iscrizione ad Albo Professionale, devono essere privi di carichi pendenti e di eventuali condanne pure in primo grado.

In altri termini per appartenere all’organo legislativo si poteva, dapprima della Legge Severino, anche disporre di una condotta sociale disdicevole, per usare eufemismi, ma, di contro, esercitare la funzione amministrativa imponeva una integerrima provenienza familiare, oltre che una preparazione culturale eccelsa. Sono ipocrisie tutte italiane, anche se non ho per mia natura il disfattismo come nume ispiratore. Si pensi alla Legione Straniera in Francia, oppure al Battaglione Arditi della Prima Guerra Mondiale, comandato dal Generale Vittore Maria Marchi, nativo di Picerno (Pz) come il Gen. Figliuolo, ed a cui è dedicata una via in Roma. Lo Stato in cambio della fedeltà alle sue leggi, all’espletamento di servizio particolarmente rischioso, poteva condonare tutte le precedenti vite penalmente rilevanti degli arruolati, cosa che nell’ordinamento odierno è impraticabile. Eppure vogliamo combattere la mafia, ma i loro familiari che hanno abiurato il Male assoluto del nostro Paese, che vivono nascosti con false identità e stipendi elargiti dai contribuenti a fondo perduto, non possono militare dalla parte dello Stato, perché non hanno quella provenienza familiare specchiata, che può garantirgli l’ingresso negli organi che amministrano la Giustizia, oppure la Difesa dello Stato.

Quale sia il destino di questi figli, nipoti, mogli o genitori, non è dato sapere, perché il meccanismo previsto è soltanto quello della protezione ai collaboratori di giustizia, che vengono marchiati a vita, che hanno denegato le loro origini mafiose, ma sono poste in un mondo di mezzo, fra il confine della legalità che non potranno mai assaporare fino in fondo e quello della illegalità da cui hanno preso le distanze fisiche, morali e familiari. Ecco che una moglie di mafioso che rinnega il proprio marito al 41bis non è in grado di assicurare altro futuro ai propri figli che quello di cambiare identità, di vivere l’angoscia di essere scoperti, ma anche di non poter schierarsi, fino in fondo, dalla parte di quello Stato che li aiuta, ma che non si identifica con loro. Il disagio che vivono queste persone deve essere tremendo, ma di questo il legislatore non si occupa in alcun modo, come non si è occupato della opportunità, per non dire della necessità, di formare gli organi giudiziari inquirenti al pari della polizia investigativa, che nel caso di quella italiana, milita fra le migliori al Mondo.

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Non sto assolutamente teorizzando che i pubblici ministeri non siano idonei a dirigere le indagini, non ho l’ardire, né gli strumenti culturali per asserirlo, ma sto semplicemente affermando che un minimo tirocinio di anni due per l’uditorato è forse troppo breve per consentire al neoassunto di porsi al cospetto di scienziati come un direttore del RACIS presso i Carabinieri, un Dirigente dello SCO in Polizia, oppure del GICO della Guardia di Finanza… Questo fu il motivo, per cui il compianto dott. Giovanni Falcone fece in modo che si creassero le Direzioni Distrettuali Antimafia. Il vulnus della istanza di riforma delle separazione delle carriere, non certo intendo contestare che il nostro Paese vanti la migliore e più preparata Magistratura a livello della cognizione dei Diritti Umani, ad esempio, risiede nel fatto che i pubblici ministeri, non di rado, dirigono investigazioni così complesse e delicate che avrebbero essi stessi bisogno di oltre un ventennio di esperienza e preparazione. Pertanto, questa esigenza di maggiore specializzazione si poteva conseguire in una carriera più specifica e settoriale per i procuratori dello Stato…tutto qui.

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Ho avuto modo di testare professionalmente, sull’isola, la perfetta macchina messa in moto dal “codice rosso” per la violenza di genere: le leggi ci sono e sono anche buone, basta crederci ed applicarle. Gli errori giudiziari, purtroppo, dipendono dalla macroscopia della domanda di questo servizio pubblico, ma il popolo non può rifuggire dal suo ruolo ammonitivo, perché, talvolta, come accade nel caso della paventata soppressione del Tribunale Sede Distaccata di Ischia, il sistema si autodetermina con sistemi e meccanismi fallaci, ritenendo che la riduzione dei servizi sia sinonimo di qualità. Soltanto il popolo partecipando al referendum avrebbe potuto bacchettare il legislatore sulla sua inerzia in merito agli argomenti posti dai quesiti e soltanto il popolo ischitano potrà energicamente rivendicare, direttamente o mediante i suoi nuovi rappresentanti politici, che la eliminazione del Tribunale sul suo territorio “non s’ha da fare”.

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