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A Procida il doc-film “Terra Bruciata” di Luca Gianfrancesco

PROCIDA – Scioccante nella sua cruda realtà, il docu- film “Terra bruciata” del regista Luca Gianfrancesco si potrebbe definire “un laboratorio” per mettere in atto stragi da parte dei nazisti. Laboratorio, però, per quanto riguarda le nostre parti  perché in altre zone d’Europa, Polonia, Ucraina e chi più ne  più ne metta, questi avevano già superato la fase del laboratorio ed erano al top della bravura negli ammazzamenti di militari e civili catturati. Il film si riferisce al periodo subito dopo l’8 settembre del ’43, vale a dire dopo l’armistizio, e prima dello sbarco alleato a Salerno, all’epoca dell’occupazione tedesca dell’Italia. E riguarda la zona del casertano, specie dei comuni della parte nord di essa. Abituati alle stragi delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di S’Anna di Stazzema, avvenute dopo, pochi conoscono quelle messe in atto dalle nostre parti, che non sono da meno e sono precedenti. E’ sotto questo punto di vista che queste ultime fungono da “laboratorio” per la messa in opera delle altre. Ma perché tutto questo silenzio durante settanta anni?  Paura, reticenza, vergogna, voglia di dimenticare sono alla base di questa mancata conoscenza. Un po’ quello che è successo agli Ebrei scampati ai campi sterminio. Si trattava, nel caso degli eccidi del casertano, di povera gente, pastori e contadini, vecchi e bambini, affamati e cenciosi, che si vennero a trovare alla mercé di bestie scatenate, quali i soldati nazisti, che eseguivano gli ordini bestiali di Kesserling. Solo la caparbietà di qualche testimone del tempo o di qualche figlio di qualcuna  delle vittime ha permesso, dopo tanto tempo, di squarciare il velo che ricopriva il tutto. Operazione non facile e densa di insidie, quasi come se desse fastidio. Viene sempre in mente Eduardo De Filippo che voleva raccontare le peripezie vissute durante la guerra e la gente che lo invitava caldamente a non parlarne più, a dimenticare. Tanto la guerra era finita! E’ forse questa voglia di dimenticare che spinge la gente a coprire con il velo dell’oblio anche gli avvenimenti più terribili di cui è stata oggetto? Forse sarà così. Ma, come scrive Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Perché certe cose non avvengano più. Il film, realizzato in collaborazione dell’Istituto Luce di Cinecittà e per conto della Media Contents Production, fluisce avvincente nella sua cruda e feroce realtà.  La proiezione, presente il regista, si è tenuta a Procida il 15 u.s. , dopo essere già stata effettuata in trenta città italiane, per l’interessamento della preside dell’Istituto Superiore prof. Maria Salette Longobardo, donna dal fine intuito culturale e pedagogico, allo scopo  di rendere edotti i ragazzi sugli avvenimenti della nostra storia. Obbiettivo raggiunto in pieno! Gli studenti, tutti ragazzi dai quindici ai diciotto, diciannove anni, di solito notoriamente esuberanti e ridanciani, hanno assistito alla proiezione in un silenzio assoluto, del tutto presi dalla situazione, fino all’applauso liberatorio finale. Ne film prende corpo, con maestria ed intelligenza, tutto un mondo contadino, dal sapore arcaico, composto da pastori, braccianti, donne, vecchi, bambini, sottoposto alle vessazioni ed alle angherie dei soldati nazisti, con il banditore che con la tromba girava per le stradine annunciando gli ordini dei Tedeschi. Requisizioni di animali, di vettovaglie varie, perfino dei letti, fu costretta a subire questa povera gente in nome del terzo Reich. E questi uomini subirono il disprezzo, furono trattati come esseri inferiori da parte degli occupanti indottrinati a credersi di una razza superiore. E tutta la proiezione è punteggiata dagli ordini urlati da questi soldati. Urla in un tedesco aspro e gutturale “come colmo di una rabbia antica di secoli”. Urla che echeggiano come fucilate. E le fucilate vere, un colpo alla nuca per ciascuno, sul bordo di una fossa scavata in precedenza, si ebbero veramente su un numero imprecisato di questi uomini. Di cosa erano colpevoli? Di nulla! Ma i tedeschi avevano una rabbia dentro ed un odio contro il mondo. Forse era la consapevolezza che stavano per perdere la guerra. Una strage sconosciuta  e dimenticata. Nel buio della sala, poco prima della fine del film, ognuno degli spettatori ha sentito come un pugno nello stomaco e, forse, ha urlato dentro di sé: “Jamais, jamais, la guerre!”.

Giacomo Retaggio

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