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Abusi non demoliti, bufera a Procida

ISCHIA – Che qualcosa bollisse in pentola, lo avevamo intuito da tempo e non a caso eravamo stati gli unici ad occuparci di una vicenda quantomeno piena di ombre che non a caso denominammo “Corricella connection”, che sull’isola di Arturo fece decisamente rumore. C’è adesso un importante sviluppo e ci riferiamo ad una sentenza con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania ha accolto il ricorso presentato dall’avv. Bruno Molinaro per conto della società Savine (famiglia Borgogna, per intenderci) proprietari di un immobile limitrofo a quello dei controinteressati Scotto di Marrazzo e Pagano. La sentenza accenderebbe di fatto i riflettori su quelli che sarebbero una serie di abusi consumati nell’incantevole e suggestivo borgo procidano della Corricella, dichiarato patrimonio dell’umanità e vera e propria cartolina mondiale, al punto di essere utilizzato da Tim Cook come icona promozionale dell’Iphone 6. Ma in questa storia dai mille lati oscuri c’è tanto altro. La magistratura, infatti, oltre ad accogliere il ricorso della Savine, stigmatizza in maniera chiara, pesante ed inequivocabile le omissione di cui si sarebbe reso protagonista il responsabile dell’ufficio tecnico comunale dell’isola di Arturo, arch. Salvatore Ruocco in relazione alla mancata adozione di provvedimenti conseguenti ad accertate falsità documentali ed ad illegittimità di varia natura riguardanti titoli abilitativi precedentemente assentiti in maniera disinvolta, con conseguente vantaggio patrimoniale per i beneficiari.

E non è tutto perché la sentenza, inoltre, dispone la nomina del commissario ad acta nella persona del Prefetto di Napoli o naturalmente di un suo delegato, con spese a carico del Comune di Procida, laddove le omissioni dovessero persistere. La notizia è stata accolta nel palazzo municipale di via Libertà, stando alle informazioni in nostro possesso, con lo stesso effetto di un devastante tsunami. Perché le voci di dentro raccontano di scene di panico alla notizia dell’imminente arrivo presso il palazzo municipale del commissario nominato dal Tar con lo scopo di esautorare Ruocco di ogni potere e di provvedere, in sua sostituzione, alle iniziative necessarie alla tutela della legalità palesemente violata. Una delle quali, peraltro, di carattere squisitamente cronologico, è davanti agli occhi di tutti: la sentenza del Tar, infatti, è stata depositata circa un anno fa e nonostante tutto il tecnico comunale l’ha completamente e clamorosamente ignorata. E c’è d peggio perché oltre alle responsabilità di natura amministrativa, disciplinare e penale, si prefigurano a carico del funzionario comunale anche precise responsabilità erariali.

LA GENESI DEL RICORSO E LE ILLEGITTIMITA’

La vicenda giudiziaria ha origine quando Vincenzo Borgogna, e siamo addirittura al novembre 2014, diffidò il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Procida ad adottare un provvedimento dichiarativo della insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’esecuzione degli interventi edilizi denunciati dapprima con DIA e poi con SCIA nonché ad emettere una serie di provvedimenti sanzionatori a carico di Graziuccio Scotto di Marrazzo. Dal Comune, però, come già spiegato in premessa, l’atto non fu assolutamente riscontrato e così il ricorrente impugnò innanzi al Tar il silenzio-rifiuto automaticamente venutosi a creare. Si arriva così a maggio del 2015 quando la Sesta Sezione del Tribunale Amministrativo dà ragione a Borgogna che aveva lamentato abusi edilizi realizzato da suoi confinanti.  Ricordando tra l’altro che lo stesso “a sostegno della sua pretesa ha articolato diverse censure di violazione di legge ed eccesso di potere, rilevando come il Comune sia in precedenza intervenuto a sanzionare una parte degli abusi edilizi realizzati mediante l’adozione dell’ordinanza n. 72 del 20 agosto 2014 (con la quale si è ingiunta la demolizione di due nuovi volumi creati al primo e al secondo livello dell’appartamento) ma che successivamente tale atto veniva annullato in autotutela dall’amministrazione con il provvedimento n. 89 del 28 ottobre 2014 impugnato dinanzi al Tar (ricorso tuttora pendente).

I giudici decisero che il ricorso era fondato e andasse accolto rimarcando che i controinteressati, “proprietari di immobili confinanti con i suoi, consistenti in un negozio al piano terra ed un appartamento su due livelli, avrebbero realizzato una serie di interventi edilizi in difformità rispetto alla concessione edilizia n. 151 del 31 ottobre 1991. In particolare tali opere non potrebbero trovare legittimazione nella DIA del 24 febbraio 2009 e nella SCIA del 19 novembre 2013. Più nello specifico, con la DIA del 2009 sarebbero stati erroneamente inquadrati come interventi di manutenzione straordinaria o di restauro e risanamento conservativo delle opere di completamento dell’immobile comportanti, tra l’altro, un incremento del numero delle unità abitative e un cambio di destinazione d’uso. Per tali interventi, inquadrabili tra quelli di ristrutturazione edilizia, sarebbe stata necessaria, secondo il ricorrente, la previa acquisizione del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica. Con la SCIA del 2013 sarebbe stato invece dichiarato un cambio di destinazione d’uso senza opere del negozio al piano terra (da commerciale ad abitativo) in realtà già illegittimamente avvenuto mediante la realizzazione di opere”.

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UNA DEMOLIZIONE “MONCA” E PURE REVOCATA

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Nella diffida, ricordava il Tar, Vincenzo Borgogna specificava anche che “con l’ordinanza di demolizione n. 72 del 20 agosto 2014, il Comune avrebbe sanzionato solo una minima parte delle opere illegittimamente realizzate; inoltre tale ordinanza è stata annullata in autotutela con il provvedimento n. 89/2014 fatto oggetto di autonomo ricorso davanti al Tar”. Insomma, un’ordinanza che dapprima era monca ed incompleta e poi è stata anche “revocata”, cose davvero da lasciare se non allibiti quantomeno “straniti”. Dinanzi ai giudici la controparte cercò di eccepire l’interesse differenziato e qualificato al ricorso ma su questo il Tar fu chiaro spiegando che “secondo una consolidata giurisprudenza il proprietario confinante, nella cui sfera giuridica incida dannosamente il mancato esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi da parte dell’organo preposto, è titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può quindi ricorrere avverso l’inerzia dell’organo preposto alla repressione di tali abusi edilizi”. Anche l’inammissibilità del ricorso, all’epoca dei fatti, venne respinta e non basta l’aver preso posizione sull’istanza del privato con l’emissione di un’ordinanza di demolizione peraltro poi revocata. E veniva spiegato anche il perché: “In primo luogo, infatti, il ricorrente ha evidenziato nella diffida che con la stessa sono stati denunciati abusi edilizi ulteriori rispetto a quelli di cui all’ordinanza di demolizione. In altri termini, l’adozione dei precedenti provvedimenti concernenti una parte dei pretesi abusi edilizi non costituisce una valida ragione per il Comune per non esprimersi sull’istanza dell’interessato. Sotto tale profilo deve essere disattesa anche la richiesta formulata dalla difesa dei controinteressati di riunire il presente ricorso con quello ancora pendente avverso il provvedimento di autotutela”.

Non solo, parimenti i magistrati della VI Sezione ponevano l’attenzione sul fatto che nel vagliare un intervento edilizio – così come era stato richiesto al Comune di Procida – consistente in una pluralità di opere deve effettuarsene una valutazione globale atteso che, come ribadito anche da altre sentenze del Tar, “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione”. Tutte queste motivazioni portarono a ritenere illegittimo il silenzio dell’ente locale dell’isola di Arturo.

I SESSANTA GIORNI IGNORATI DAL COMUNE E IL COMMISSARIO

Era il maggio 2015, dicevamo, e il Tar sanciva che il Comune avrebbe dovuto adottare un provvedimento entro sessanta giorni e i giudici sottolineavano che in caso di inadempienza si nominava un commissario che avrebbe colmato l’inadempimento adottandolo in sostituzione. A settembre dello scorso anno, Borgogna per il tramite del suo legale diffidava il dirigente Ruocco a dare esecuzione alla sentenza, ma continuava a calare il silenzio. “Ciò nonostante a tutt’oggi – scrive l’avv. Bruno Molinaro – in violazione del dovere di buona amministrazione e di correttezza cui è tenuta la pubblica amministrazione ed in particolare del dovere di rispondere alle istanze proposte all’organo competente dai propri amministrati non ha ancora provveduto a dare esecuzione alle statuizioni contenute nella suindicata sentenza… A causa dell’inerzia dell’amministrazione che, illegittimamente e senza alcun valido motivo, si rifiuta di conformarsi alle statuizioni emesse si rende dunque necessario chiedere, così come previsto dal Tar nella citata sentenza, l’intervento del commissario ad acta”. E a questo punto si addensano davvero nubi fosche sulla stabilità del palazzo ed in particolare sulla posizione dell’arch. Ruocco. Con una vicenda, evidentemente, oggetto di attenzione anche da parte degli inquirenti, i quali certamente avranno voglia di capire cosa si nasconda – o meglio, potrebbe nascondersi – dietro un’inerzia troppo lampante ed evidente per non gettare più di qualche ombra sull’operato del palazzo. Ma questa è tutta un’altra storia, forse un nuovo capitolo di quello che, senza sbagliare, avevamo ribattezzato Corricella Connection.

 

 

 

 

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