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Concussione, i (possibili) perchè delle scarcerazioni

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Con la scarcerazione del maresciallo della Guardia Costiera Vanni Ferrandino e dell’agente turistico Antonello D’Abundo, che nella serata di venerdì si sono visti annullare la misura degli arresti domiciliari da parte del Tribunale del Riesame, le difese mettono a segno un importante punto a favore nella partita che ha a oggetto l’accusa di presunta concussione perpetrata dai due indagati ai danni dell’albergatore Ciro Castiglione. Come si legge nell’ordinanza di scarcerazione, il collegio del riesame ha stabilito in 45 giorni il termine massimo per il deposito delle motivazioni. In attesa di queste ultime, si può a buon diritto ipotizzare che i magistrati “della libertà” abbiano ritenuto insussistenti, almeno sulla base di quanto fin qui riscontrato, i gravi indizi di colpevolezza che il Gip aveva posto a fondamento della misura cautelare. Come si evince dalle valutazioni preliminari effettuate durante i primi passi dell’inchiesta scattata dopo la denuncia del Castiglione, gli stessi investigatori inizialmente constatarono l’insussistenza di gravi indizi a carico di Ferrandino, oltre a nutrire alcuni dubbi sulla attendibilità dello stesso denunciante non meno che sulla personalità dell’intermediario, D’Abundo. Sulla decisione del Riesame avrà comunque avuto un peso determinante anche l’istanza che la difesa del maresciallo della Guardia Costiera, sostenuta dall’avv. Molinaro, depositò in Procura prima della discussione del ricorso, al fine di far trasmettere al Tribunale i contenuti digitali dei dispositivi elettronici sequestrati a Ferrandino in occasione della perquisizione della sua abitazione. L’iniziativa del legale di fiducia del sottufficiale si può meglio comprendere alla luce dell’articolo 309, comma 5 del codice di procedura penale, il quale prevede che il Pubblico Ministero è tenuto a trasmettere al Tribunale nel termine perentorio di cinque giorni  non soltanto la documentazione posta a base della richiesta di misura cautelare, ma anche gli elementi sopravvenuti a favore dell’indagato. Il Ferrandino, come dichiarato nel corso dell’interrogatorio di garanzia e  poi come successivamente evidenziato dall’avv. Molinaro anche nella memoria presentata per l’udienza del Riesame, ha sottoposto all’attenzione dei giudici un dato molto importante a propria discolpa. Infatti,  nel materiale informatico sequestrato, secondo quanto da affermato da Ferrandino, ci sarebbero ulteriori prove della sua innocenza, come le foto delle banconote consegnate a D’Abundo nel 2014 per pagare le vacanze, nonché sms ed email vari sia del 2014 che del 2015 relativi a contatti e richieste di preventivo inoltrate ad altre agenzie di viaggio allo scopo di strappare un trattamento economico più vantaggioso, operazioni che, secondo la difesa, non avrebbe avuto ragione di fare, se fosse stato effettivamente il Castiglione a pagargli le vacanze. La tesi difensiva suggerisce che sarebbe stato ben strano, oltre che indice di smisurata ingenuità, che il Ferrandino avesse consentito deliberatamente al Castiglione di “tracciare” in modo così “spudorato” la presunta indebita dazione di denaro: un controsenso lasciare volontariamente tante tracce, se si fosse davvero voluto commettere tale reato. Fatto sta che il pubblico ministero non ha trasmesso il materiale informatico. La giustificazione addotta era di tipo tecnico: per estrarlo dal computer e dai telefonini, secondo il pm sarebbe stata necessaria la nomina di un consulente ma non c’erano i tempi tecnici sufficienti. A tale motivazione, la difesa ha replicato affermando che non si trattava certo di “atto irripetibile”, bensì di una mera riproduzione meccanica, riproducibile un numero indefinito di volte. Nell’istanza venivano infatti richiamate numerose pronunce giurisprudenziali della Corte di Cassazione, per un’operazione che non richiedeva alcuna valutazione del materiale su base tecnico-scientifica. La mancata trasmissione del materiale nei termini previsti e quindi degli elementi sopravvenuti favorevoli all’indagato, secondo la difesa imponeva la necessaria caducazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, divenuta ormai inefficace. Tale è infatti stata la richiesta dell’avv. Molinaro, ovviamente in subordine a quella principale, costituita dalla richiesta di annullamento della misura per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza. Quali siano state le effettive motivazioni che il collegio della X Sezione, composto dal presidente La Posta e dai giudici a latere Fallace e Sessa, ha  posto a base dell’annullamento della misura, lo si saprà nel giro di qualche settimana. Per adesso, quindi, le difese degli indagati potranno affrontare da ben altra posizione la controversa vicenda.

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