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Agibilità provvisoria a Barano, le rassicurazioni di Molinaro

di Marco Gaudini

 

BARANO D’ISCHIA – Ieri abbiamo riportato la notizia della Sentenza della sesta Sezione del TAR della Campania, che ha di fatto annullato l’art. 73 del  Regolamento edilizio del Comune di Barano.Il tutto parte, come spiegato nell’edizione precedente, da un ricorso avanzato da una residente nel Comune isolano, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Di Meglio, che lamentava alcuni fastidi e disagi derivanti dall’attività di carattere commerciale posta al di sotto la sua abitazione. Attraverso questo ricorso, il legale isolano, ha puntato ad impugnare il certificato d’agibilità rilasciato nel 2014 per l’uso dell’attività commerciale e di fabbrica di salumi, e chiedere l’annullamento dell’art., 73. Intento perfettamente raggiunto, visto la Sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo. La situazione che però si è generata da questa vicenda giudiziaria, potrebbe essere molto complessa per il Comune di Barano e non solo. Infatti, adesso, senza il requisito dell’agibilità, per le attività commerciali, che operano in locali che godono, o sarebbe meglio dire godevano di questa “norma transitoria”, si addensano nubi fosche all’orizzonte. Abbiamo pertanto chiesto un parere all’avvocato Bruno Molinaro, noto esperto in questo campo, che nel 2007, contribuì, in veste di consulente, alla stesura del Regolamento edilizio del Comune di Barano.

 

Avvocato Molinaro, come ha appreso la vicenda relativa alla Sentenza del TAR che ha annullato, dichiarandolo illegittimo l’art. 73 del Regolamento edilizio del Comune di Barano?

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«Ho letto questa sentenza e – debbo dire – il principio affermato non mi sorprende, né sembra presentare i caratteri della novità.Già alcuni anni or sono, il TAR Campania prima e il Consiglio di Stato, in sede di appello, in un caso del tutto identico riguardante l’agibilità provvisoria concessa ad un esercizio di bar-ristorante sito nel comune di Serrara Fontana, avevano affermato che “la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile è condizione necessaria per richiedere ed ottenere il certificato di agibilità”. Ciò posto, non ritengo che la sentenza in questione possa costituire un precedente pericoloso al punto da far prefigurare scenari apocalittici in relazione alle attività commerciali svolte all’interno di immobili per i quali risulta presentata domanda di condono».

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Da cosa deriva la sua convinzione in tal senso?

«Occorre, infatti, considerare che lo stesso T.A.R. Campania, in altra recente decisione riguardante un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande sito nel comune d’Ischia, ha riconosciuto la legittimità dell’articolo 86 del regolamento edilizio laddove consente ai richiedenti il condono di continuare nelle more ad “utilizzare gli immobili per le destinazioni d’uso consolidate ed in atto alla data di presentazione delle istanze”.”Se si guarda alla ratio dell’articolo 86 – ha affermato il T.A.R. – non si può non far prevalere l’interpretazione teleologica su quella letterale. L’obiettivo perseguito dall’amministrazione con la norma de qua è infatti quello di non determinare un blocco delle attività commerciali esistenti nelle more della definizione delle istanze di condono. In altri termini la disposizione è volta a salvaguardare le attività commerciali in essere al momento della domanda di condono ma che continuano a esercitarsi anche dopo quella data e segnatamente allorquando viene richiesta l’agibilità.  Altrimenti, lungi dal garantire al titolare dell’istanza di condono il mantenimento della situazione dell’immobile ossia nella specie la destinazione commerciale e l’uso in atto, si consentirebbe per questa strada di avviare nuove e diverse attività in immobili non conformi alle norme edilizie e urbanistiche.” La soluzione al problema è, pertanto, rappresentata dall’accertamento dell’uso consolidato secondo la destinazione impressa all’immobile ove viene svolta l’attività. Va aggiunto che, anche sulla base di tale principio, in data 2.7.2013, il consiglio comunale di Serrara Fontana ha adottato la delibera n. 14, con la quale, al fine di superare l’impasse venutasi a determinare a seguito della sentenza di annullamento del proprio regolamento nella parte relativa, appunto, alla agibilità provvisoria, ha stabilito che: “Gli uffici comunali devono astenersi, sino alla definizione del procedimento attivato per il rilascio del permesso a costruire in sanatoria, da ogni iniziativa repressiva che vanificherebbe a priori il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria degli immobili oggetto di istanza di sanatoria edilizia, per i quali vige sospensione dei procedimenti sanzionatori, ai sensi dell’art. 44 della L. n. 47/1985, richiamato dall’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003, convertito con L. n. 326/2003; E’ consentita la continuità di utilizzazione per gli immobili con destinazione residenziale o produttiva per i quali sia consolidato un uso già in atto alla data di ultimazione prescritta dalla legge per la presentazione delle istanze di sanatoria e certificata nell’istanza di condono, ancorché in assenza di formale certificato di agibilità/abitabilità, purché siano verificati la sussistenza dei requisiti di salubrità, di igiene, di sicurezza, prescritti dalla legislazione vigente per la specifica destinazione d’uso, che gli uffici interessati accerteranno, ognuno per quanto di competenza, anche mediante certificazioni di parte, come previste dall’art. 25 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380”. Va, peraltro, ricordato che è stata ripetutamente affermata in giurisprudenza “la illegittimità dell’adozione di un provvedimento sanzionatorio di chiusura dell’attività commerciale adottato in pendenza dell’esame di una istanza di condono edilizio” (v., fra le tante, T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 20.11.2012, n. 4637). È noto, infatti, che, “quando viene presentata una domanda di condono edilizio, proprio in base al disposto dell’art. 38 l. n. 47 del 1985, l’Amministrazione non può emettere un provvedimento sanzionatorio senza aver prima definito il procedimento scaturente dall’istanza di sanatoria, ostandovi i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia” (T.A.R. Lazio – Roma sez. I, 4.4.2012 n. 3101; v. anche T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 1.2.2011 n. 633, secondo cui: “I provvedimenti repressivi adottati in pendenza di istanza di condono devono ritenersi illegittimi perché in contrasto con l’art. 38, l. n. 47 del 1985, il cui disposto impone all’Amministrazione di astenersi da ogni iniziativa repressiva che vanificherebbe a priori il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria. Ciò vale anche quando si tratti di immobili ricadenti in zona vincolata, essendo comunque l’Amministrazione tenuta, a fronte della domanda, ad esprimersi anche in senso negativo circa la sussistenza dei presupposti per la sanabilità dell’intervento, ai sensi dell’art. 32 comma 27, lett. d), l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003”)».

Ma il TAR ha anche eccepito i ritardi dell’amministrazione per l’esame delle pratiche di condono, che nel caso di specie è stata presentata ben 28 anni fa

«Ovviamente tutto questo non significa che l’esame di una domanda di condono debba essere ritardato oltre ogni limite di ragionevolezza, come rilevato dal T.A.R. nella sentenza riguardante Barano.L’abnorme durata del procedimento di condono, d’altronde, è stata già gravemente censurata in passato anche dalla Corte Europea che, nella causa “Paudicio”, ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della CEDU relativo alla protezione della proprietà. E – si badi – in quel caso, che pure interessava un comune campano, l’esame della istanza di condono era stato ritardato di “appena dodici anni”».

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