Al festival di filosofia si parla di virtual influencer
Alla Summer School l’antipasto della decima edizione della rassegna diretta da Raffaele Mirelli. Il filosofo Davide Sisto racconta le difficoltà crescenti di distinguere il biologico dal digitale
Ischia ombelico del pensiero filosofico nazionale. Con riflessioni e dibattiti, nella lunga vigilia delle giornate clou del Festival Internazionale di Filosofia che – dal 19 al 22 settembre – porta la disciplina a contatto con la gente, nelle piazze e nei luoghi simbolo dell’isola, con la direzione scientifica di Raffaele Mirelli (il programma completo è al sito www.inphilosophyfestival.it). Poi la Summer School dedicata a Pietro Greco, divulgatore scientifico ischitano di fama nazionale.
Dal 5 al 7 settembre la Biblioteca Antoniana ha ospitato la Summer School, aperta da Francesco Rispoli con una lectio dal titolo “Fabbriche di soggetti” e poi impreziosita, tra glin altri, dall’intervento di Antonio Ereditato della Yale University e di due esperti di intelligenza Artificiale, Massimo Russo (architetto) e Paolo Trivellato (Ceo della Avaus), che hanno guidato i ragazzi nel mondo dell’intelligenza artificiale, degli spazi social in cui le nuove identità vengono a galla e a confronto. Tre giorni di lezioni dedicate ai ragazzi due appuntamenti serali aperti al pubblico che sottolineano la necessità di un pensiero critico.
Tra gli interventi più apprezzati, quello di Davide Sisto, che insegna all’Università di Torino e si occupa da molti anni di tanatologia, cultura digitale e post-umano. Per “Il Mulino” ha pubblicato “I confini dell’umano. La tecnica, la natura, la specie”. Al Festival Sisto ha parlato di identità artificiali, tra online e offline con un intervento dal titolo “Vita, amore e morte dei virtual influencer”.
“Dobbiamo immaginare un futuro costituito da una umanità post digitale, vale a dire un’umanità talmente ibridata da non essere più in grado di distinguere il biologico dal digitale. – ha detto – Credo che avremo sempre più a che fare con identità artificiali inesistenti, come i virtual influencer, con gemelli digitali che ci permetteranno di migliorare le cure mediche e molti aspetti educativi. E’ però ovvio che aumenteranno anche i rischi di un isolamento esistenziale e di una maggiore incapacità di gestire queste ibridazioni”.
Già, i virtual influencer. Ma cosa sono? “Sono l’ultima bizzarra frontiera delle tecnologie digitali odierne. – spiega Sisto – Si mescolano i tratti umani ottenuti dai tanti dati prodotti, registrati e condivisi online e si ottengono influencer completamente virtuali, che imitano i loro colleghi in carne e ossa sui social soprattutto”. Sembrerebbe un bell’affare, per chi ne ha compreso le potenzialità. “In Asia – annota il filosofo – il guadagno prodotto dall’uso dei virtual influencer nel campo del marketing e della moda ha superato i 14 miliardi di dollari nel 2021. Il fenomeno si è comunque diffuso ovunque a macchia d’olio. L’influencer virtuale più famosa è Lil.Miquela, seguita da milioni di followers su Instagram e indicata dal Time come una delle più influenti personalità online nel 2018, insieme a Donald Trump e altri big della politica internazionale”.Tiene banco la questione del funzionamento delle interazioni con i comuni mortali. “Le loro interazioni con gli esseri umani sono gestite da team di esperti, non da intelligenze artificiali. – spiega ancora Sisto – Le persone sanno che sono virtuali ma interagiscono come se fossero reali. Quindi da una parte c’è il tentativo nel mondo della moda e del marketing di creare artificialmente l’essere umano perfetto, senza bisogni biologici e senza carenze. Dall’altro c’è un gioco psicologico da parte dei follower che mescola i rapporti parasociali, il concetto dell’amico immaginario e l’attribuzione di una forma di realtà su ciò che non esiste”. Tra gli studenti, prevale una domanda: si potrà generare confusione tra noi e loro, come se ne genera anche tra il noi in carne ed ossa e il noi digitale? “La questione è certo complessa. – risponde il filosofo – A mio avviso le identità digitali sono un prolungamento di quelle biologiche: non c’è una contrapposizione tra reale e virtuale, biologico e tecnologico, ma una sorta di nuova materia e nuova corporeità. Attraverso gli schermi cioè diamo forma alle multiple identità che noi da sempre siamo. Interpretiamo ruoli e personaggi con gli avatar, manifestiamo caratteristiche emotive che spesso freniamo nel mondo offline e via dicendo. Credo che la vera sfida della rivoluzione digitale sia capire che questi prolungamenti identitari coincidono con noi stessi e di conseguenza imparare a gestirli senza rimanerne alienati, come troppo spesso succede. Le opportunità di ampliare digitalmente ciò che siamo devono prevalere sul non controllare questi prolungamenti producendo così tutti gli effetti deleteri che conosciamo, per esempio, frequentando i social”. In conclusione, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? “Credo che faccia parte del nostro modo di essere quello di adattarci alle innovazioni tecnologiche e dunque ritrovarci in un mondo in cui grazie alla tecnologia diventeremo sempre più autarchici. Sarà che sono un progressista, ma vedo il bicchiere più pieno che vuoto”.