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Algoritmo, una parola antica per un problema attuale

Cosa vuol dire “algoritmo”?

È un insieme di istruzioni che devono essere eseguite per raggiungere un determinato risultato o risolvere un problema. La parola latina “algorithmus” deriva da Al-Khwarizmi, il nome di un matematico arabo del IX secolo, ritenuto tra i primi a teorizzare il concetto… Il termine algoritmo è stato utilizzato nella matematica e nella logica moderna, dove indica un procedimento di calcolo descrivibile da un certo numero di formule.

 Collage di pensieri per focalizzare meglio il problema in chiave moderna (cfr. Avvenire del 23 gennaio 2018 pag. 22)

  1. In quale situazione di grande svantaggio potremmo finire, noi e il mondo, se costringessimo le nostre menti ad affrontare tutti i problemi allo stesso modo?
  2. Oggi in effetti non c’è azione o comportamento che non sia guidato da un algoritmo o tradotto in una serie di istruzioni meccanicisticamente risolvibili. In una realtà dove tutto è codificato, declinato in protocolli e interpretabile da algoritmi, cosa resterebbe dell’uomo?
  3. Con azioni e comportamenti umani istantaneamente processati, anticipati o condizionati da algoritmi, vale a dire da una sequela di istruzioni preconfezionate, che spazio rimane all’imprevisto e dunque alla libertà degli uomini?
  4. Olejarz non esita a mettere sotto accusa l’attuale ossessione per il coding, il pensiero computazionale, e per le cosiddette Stem (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics). Se trionfassero, tutto il mondo adotterebbe le stesse strategie di pensiero e ragionerebbe alla stessa maniera. E non sarebbe certo uno spettacolo edificante vedere miliardi di uomini trovare le stesse soluzioni a problemi uguali.
  5. Il mondo di oggi è così complesso, interdipendente e volto a repentini cambiamenti che agli studenti non deve essere offerto un percorso formativo incentrato solo su discipline scientifiche. Al centro del curricolo di studi dovrebbero trovare posto filosofia e poesia, arte e letteratura. Alle discipline umanistiche spetterebbe il compito di rendere elastiche e flessibili le menti dei giovani, capaci così di prospettare soluzioni innovative e scenari controfattuali.
  6. L’homo oeconomicus, richiamato dalle scienze economiche, nella realtà non esiste. Letteratura e economia, «due culture, un fine comune: costruire un mondo che non attinga esclusivamente all’economia, alla medicina, all’ingegneria e alla scienza per rendere le vite solo più lunghe e prospere. Ma in cui le discipline umanistiche e le arti possano rendere quelle vite migliori. Integrare il rigore quantitativo, l’attenzione all’organizzazione e la logica economica con l’empatia, la prudenza e la saggezza proprie delle discipline umanistiche», è la via per sottrarsi ai diktat degli algoritmi.
  7. Se invece dovessero prevalere, rischierebbe di sfuggirci il senso del nostro operare. E proprio Sensemaking si intitola il libro di Christian Madsbjerg che difende «l’indispensabilità delle discipline umanistiche nell’epoca degli algoritmi».
  8. Solo la capacità di dare senso alle nostre azioni, il sensemaking appunto, proveniente da filosofia e poesia «insegna a individuare cosa meriti la nostra attenzione e a stabilire cosa realmente conti».

 Riepilogando: L’uomo non può essere definito con un algoritmo, perché “l’uomo è più grande dell’uomo” (B. Pascal), “l’uomo non ha una sola dimensione” (Marcuse), l’uomo è composto di cielo e terra.

DON VINCENZO AVALLONE

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