POLITICAPRIMO PIANO

Amarcord Peppe Brandi: «Così Tangentopoli sconvolse anche Ischia»

A trent’anni dall’inizio dell’inchiesta Mani Pulite che segnò la fine della Prima Repubblica, l’ex sindaco ricorda quei giorni e commenta l’attuale panorama politico isolano

Sono passati trent’anni da Tangentopoli. A distanza di tanto tempo quali sono le prime sensazioni che le vengono in mente facendo un salto nel passato?

«Sono diverse le sensazioni e i pensieri che mi sovvengono. La magistratura mise mano a un sistema ormai fallito: il sistema di finanziamento ai partiti era praticamente saltato, con varie malversazioni. Bisogna dare atto che la magistratura ha svolto un ruolo essenziale in questo passaggio storico. Alcuni magistrati tuttavia da quel momento in poi hanno cercato di impossessarsi del potere politico. Ma mancava il background politico: la politica è una cosa e la magistratura è un’altra. Con quest’ultima si possono usare le “manette”, ma la politica è tutt’altro, e infatti i magistrati dedicatisi alla politica hanno poi mostrato tutti i loro limiti. Da questo punto di vistavien da domandarsi se i magistrati hanno agito in quel modo per compiere una “missione” o se, come detto, per impossessarsi anche del potere politico…».

Infatti qualcuno definì Mani Pulite un golpe bianco; secondo Lei di cosa si trattò?

«Forse lo fu, ma agirono pensando di avere il consenso del popolo, quindi senza consenso del corpo elettorale, dunque tentando di arrivare al potere in maniera surrettizia. Non ci riuscirono, ma non vedo un grande cambiamento nelle dinamiche, anche trent’anni dopo: l’Italia resta sempre la stessa, con fughe in avanti di qualche magistrato, successive “frenate”, si veda il caso Palamara. Intendo dire che non ci siamo mica “redenti” dopo l’operazione Mani Pulite, che però – ribadisco – era ormai necessaria: era diventata insostenibile l’intromissione dei partiti in tutti i settori. Un’operazione giusta, che tuttavia non ha purtroppo portato nessun effetto. Le malversazioni continuano a veridicarsi…».

«La magistratura mise mano a un sistema partitico ormai fallito. Tuttavia, benché giusta, tale operazione non ha portato effetti apprezzabili: le malversazioni continuano a verificarsi»

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Che effetto le fece Di Pietro che prima inquisì e arrestò i politici e poi della politica diventò attore protagonista?

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«Di Pietro quando è sceso in campo fondando il suo partito ha finito per comportarsi come i partiti precedenti raccattando vari “residuati” in circolazione, penso ai vari Scilipoti e Razzi. Di Pietro è comunque un contadino, scarpa grossa e cervello fino: da magistrato continuava a dire che volevano “tirarlo per la giacchetta”, ma poi il tentativo lo ha comunque fatto. E all’inizio era anche andato bene, riscuotendo un discreto successo. Poi pian piano la politica si è riappropriata del potere che le compete, togliendo spazio alla magistratura e ai magistrati presentati alla politica. Proprio in questi giorni è stata presentata l’ipotesi di riforma della giustizia, nella quale si prevede che un giudice che si dedica all’attività politica non potrà poi rientrare nella carriera giudiziaria. Dunque basta alla “porte girevoli”».

«In quei giorni aleggiava un’atmosfera di autentico terrore. Tre consiglieri comunali di Ischia si rintanarono in una casa in Abruzzo per timore dell’arresto, un altro consigliere per qualche tempo continuò a girare l’Italia in treno da una città all’altra per non essere rintracciato»

Tangentopoli investì in maniera pesante anche la nostra isola e la sua persona. Se la sente di ripercorrere quella esperienza?

«Certo. Io venni assolto nel primo grado di giudizio “perché il fatto non sussiste”. Poi feci causa allo Stato per l’ingiusta detenzione, risarcendomi con 80 milioni di lire. In sostanza io fui colpito dalle inchieste per la mia appartenenza democristiana, in particolare della corrente di Gava. Poi le accuse rivoltemi furono completamente smontate dai miei avvocati. Al di là della mia vicenda personale, io ricordo che sull’isola aleggiava un’atmosfera di vero terrore, non di semplice paura. I delatori venivano premiati, perché per ingraziarsi i magistrati bastava fare qualche nome per coinvolgere altre persone. Inoltre ricordo che all’epoca dell’esplosione di Tangentopoli, tre consiglieri comunali di Ischia si ritirarono in un’abitazione privata in Abruzzo, a Pescasseroli, rimanendovi per dieci giorni, chiusi costantemente in casa, per evitare di essere rintracciati. Un altro consigliere comunale di Ischia, temendo un eventuale arresto, iniziò a girare l’Italia in treno: da Napoli a Bari, poi nuovo biglietto e da Bari si spostava a Milano, e da lì ancora verso altre città, conducendo una vita quasi da clochard. Un quinto consigliere raccontò che a mezzanotte ricevette l’innocua visita a casa di un amico che voleva comunicargli qualche notizia, ma il consigliere confessò di aver pensato che si trattasse delle forze dell’ordine e che fosse giunta l’ora del suo arresto. Come vede, si era diffuso un terrore “giacobino”, come durante la rivoluzione francese. Quando capii che stavano “puntando” anche me,con l’accusa di abuso d’ufficio, insieme al mio avvocato decidemmo di andare direttamente dal magistrato a chiarire. Il giudice era un garantista: risposi a tutte le domande. Egli riconobbe che non ricorrevano le condizioni per un mandato di cattura, anche se era convinto che la misura restrittiva doveva comunque comminarla. A quel punto dissi che non c’era bisogno che le forze dell’ordine venissero a prelevarmi, ma che sarei andato spontaneamente a Poggioreale, dove trascorsi qualche tempo fino alla revoca della misura».

«L’accusa nei miei confronti era di abuso d’ufficio, che venne smontata dai miei avvocati e il Tribunale mi assolse.

La cosiddetta seconda repubblica ha comunque fallito: perché?

«Ha fallito perché i protagonisti erano coloro che nella prima potevano solo fare gli uscieri, gli autisti, i guardaspalle. In sostanza le terze e le quarte linee ha creduto di poter essere protagonisti, ecco il motivo del fallimento. Il materiale umano era inadeguato. Guardi cos’è oggi il Parlamento e i leader politici. Nel partito di Forza Italia Berlusconi ha bruciato ogni possibile successore, Tajani, e prima ancora Alfano, perché voleva essere circondato soltanto da lustrascarpe».

«La Seconda Repubblica ha fallito perché dopo Tangentopoli sono salite alla ribalta figure di terzo o quarto livello. Il materiale umano era inadeguato ma, come disse il vescovo Pagano, “questo è il legname, e da qui devono uscire i pastori”»

Cosa pensa del fenomeno grillino e del Movimento Cinque Stelle?

«Il Movimento ha avuto un grande successo, perché la gente desidera sempre una speranza. Coloro che suscitano speranze sono coloro che riescono a ottenere consenso. Come Renzi, quando raggiunse l’exploit del 40% alle Europee, o Salvini con la Lega a oltre il 30%, e lo erano anche quelli del Movimento Cinque Stelle. Ma la politica non è soltanto presentare un bellissimo programma: non è affatto così semplice. Al contrario è una battaglia continua. Si tenga poi conto della non eccelsa scolarizzazione dell’attuale classe politica, da Salvini a Di Maio, passando per la Meloni. Una volta, ormai più di trent’anni fa, mi lamentai con il vescovo di Ischia Monsignor Pagano di certe lacune della classe sacerdotale locale: lui annuii a lungo in silenzio, poi al momento del congedo mi disse: “Questo è il legname, e da questo devono uscire i pastori”. Allo stesso modo potrei dire oggi della classe politica: si veda la recente elezione del Presidente della Repubblica».

Quindi secondo Lei va rimpianta la classe dirigente della Prima Repubblica?

«Ma certo: si trattava di una classe dirigente che sapeva ascoltare e che sapeva mediare. La politica è anche mediazione, che non è mica una cosa negativa, bensì uno degli strumenti della politica. Politica è confronto, la ricerca di un punto di convergenza. Sicuramente è necessaria una predisposizione alla politica. Davvero assurdo vedere Salvini al Papeete chiedere i “pieni poteri”».

«Enzo Ferrandino sa essere sempre molto “presente”, così disinnesca ogni possibile opposizione. È una dote che gli va riconosciuta. È di poche parole, e fa parlare i fatti»

Lei nel post-mani pulite divenne sindaco, forse uno dei rari casi in Italia

«Sì, è vero. Mi presentai alle elezioni con la semplicità che da sempre mi ha caratterizzato. La gente mi conosceva, ho esposto il mio programma, e sono stato eletto. Il mio primo mandato da consigliere comunale è del 1975, dopo ben 7 anni di militanza democristiana, per dire che la politica non era improvvisazione. Di elezione in elezione ottenni un aumento progressivo delle preferenze. Mi fu suggerito di evitare la candidatura a sindaco nel ’98 per motivi di opportunità, perché l’assoluzione era ancora fresca, poi nel 2002 riuscì, non senza difficoltà, a candidarmi, e poi fui eletto sindaco. Io sono apparentemente affabile, ma anche testardo, come la “sciamarrella”, l’attrezzo con un taglio verticale e uno orizzontale per lavorare le pietre. Eletto primo cittadino, avevo numerosi rapporti fiduciari con esponenti della Prima repubblica che ancora “contavano”. In particolare avevo un ottimo rapporto con Ennio Cascetta, docente universitario e assessore regionale ai trasporti, che assegnò al Comune di Ischia diversi finanziamenti, e che scherzosamente una volta mi chiese di intitolargli una qualsiasi stradina, viste le tante risorse che tramite la sua collaborazione riuscii a far arrivare al nostro Comune».

Volgiamo lo sguardo all’attualità ischitana. Enzo Ferrandino viaggia verso il mandato bis, alla fine ha portato tutti dalla sua parte. Abile stratega o anche fortuna?

«Quelli che dovevano fare opposizione hanno ritenuto più comodo inchinarsi al sindaco, magari attendendo un altro lustro, prima di prenderne il posto: un atteggiamento attendista pluriennale che mi lascia quantomeno perplesso. Enzo Ferrandino ha una grande dote: è sempre molto presente, ovunque. L’opposizione non riesce ad organizzarsi perché Enzo anticipa tutti. È di poche parole, ma fa parlare i fatti. Si può essere d’accordo o no con le sue decisioni, ma ha indubbiamente delle doti. Sicuramente però ha giocato facile perché dall’altra parte chi doveva fare opposizione, dopo alcune sterili iniziative ha deciso di passare dall’altra parte della barricata. Certe critiche a Enzo mi fanno sorridere: si dice che abbia un atteggiamento brusco, o magari arrogante, ma questi atteggiamenti attengono alla personalità, non sono giudizi politici. In realtà bisogna solo domandarsi se sia abile nel risolvere i problemi, ad intercettare i finanziamenti, oppure no. Altri hanno scelto di attendere, accontentandosi di qualche ruolo amministrativo e sperando tra cinque anni di provare a ottenere una candidatura a sindaco».

«L’opposizione a Ischia manca perché i suoi esponenti hanno scelto la via più facile, unirsi alla maggioranza anziché lottare. Ma tale assenza di opposizione non è colpa di Enzo»

In tal modo Ischia non ha più una minoranza. Non sembra quasi surreale ripensando a un passato anche recente?

«In effetti mi viene in mente una nota pubblicità televisiva con lo slogan “Ti piace vincere facile?”. Ormai tutti vogliono appunto vincere facile, nessuno vuole lottare. Di conseguenza chi ha il potere in mano, in questo caso Enzo, può limitarsi a gestire: può “suonare la campanella” e tutti di corsa vanno ad ascoltare la liturgia. Io non me la sento di criticare Enzo. Piuttosto bisognerebbe organizzare un dibattito pubblico pre-elettorale, dove fare le “pagelle” di ciascun consigliere comunale o assessore. Solo così si potrebbe ottenere un discrimine per capire chi merita ancora di continuare a rivestire una determinata carica».

«A Barano la situazione è simile a Ischia. A Serrara l’elezione di Irene è stata favorita dagli errori di Cesare nelle alleanze. Su Forio non sono molto informato. A Lacco De Siano pensava di vincere facile contro Pascale, ma il “barone” ha dimostrato di essere coriaceo ed è riuscito a prevalere. A Casamicciola, Castagnasa sempre barcamenarsi in maniera efficace»

Quanto manca a Ischia come in Italia una scuola di formazione politica, fare insomma la classica gavetta?

«La mancanza si avverte, ma chi vuole che si presti, al giorno d’oggi, a organizzare una vera scuola di politica? Lo proposero anche a me, ma ho sempre rifiutato. In anni ormai più che lontani, la politica era passione civile. Quando divenni capogruppo in consiglio nel ’75, c’era da tremare ad ascoltare gli interventi dei socialisti e dei liberali, documentatissimi, che padroneggiavano i concetti economici del mercato. Una scuola di politica deve necessariamente basarsi sulla passione, sulla voglia di impegnarsi e di “sentire” il paese come fosse la propria casa. Inoltre, non dobbiamo nasconderci che la politica ha dei costi. Decenni fa, si raccoglievano i contributi degli iscritti almeno per mantenere i locali di una sezione, l’affitto, le utenze, ma almeno c’era un luogo come punto di riferimento dove dibattere, discutere. E periodicamente si andava a Roma alle sedi centrali dei partiti, dove si organizzavano convegni coi relatori protagonisti di interventi memorabili».

Ci dà un giudizio sui sindaci che attualmente amministrano i comuni isolani?

«I sindaci attuali sono figli di questa generale decadenza politica. Non hanno dovuto affrontare una “savana” ed evitare di essere attaccati dai predatori. Ad esempio a Barano c’è un sindaco nella stessa situazione di Enzo Ferrandino, con un minore bacino elettorale, ma più o meno i rapporti di forza sono analoghi. A Serrara Fontana è stata eletta la pur meritevole Irene Iacono, perché Cesare Mattera ha sbagliato le alleanze: la gente ormai vuole volti nuovi. Su Forio non sono molto informato, e non saprei dire cosa accadrà alle prossime elezioni. A Lacco Ameno il senatore De Siano pensava di vincere facile contro Pascale, ma il “barone” ha dimostrato di essere coriaceo ed è riuscito a prevalere. Infine c’è Giovan Battista Castagna a Casamicciola, un democristiano che è sempre riuscito abarcamenarsi in maniera efficace: quando arrivavano i “maggiorenti” sull’isola, come ad esempio Alfredo Vito, Castagna lo accoglieva con tutte le premure. Poi magari dopo qualche tempo arrivava Pomicino, e lui preparava la stessa accoglienza. Se si avesse il coraggio, bisognerebbe riesumare l’idea del Comune unico: similmente al taglio dei parlamentari – provvedimento secondo me importantissimo di cui va dato merito ai Cinque Stelle – col Comune unico si avrebbe un notevole risparmio: un solo sindaco, un solo consiglio comunale, una sola giunta. Un’operazione di pulizia politica. Anche se credo che una tale soluzione non sarà mai accolta con favore dal corpo elettorale».

«Domenico De Siano e Giosi Ferrandino potrebbero indire una conferenza stampa e illustrare dettagliatamente il loro operato ai cittadini isolani: anche io sono molto interessato a conoscere le loro iniziative durante i rispettivi mandati di parlamentare italiano ed europeo»

Lei ha compiuto un lungo percorso politico. Posso chiederle qual è stata la sua più grande soddisfazione e quale invece il suo grande rimpianto?

«La più grande soddisfazione è stata quella di essere eletto sindaco. Per tutta la vita avevo rincorso questo sogno. Da subito mi impegnai per far arrivare il metano a Ischia, anche se poi quando effettivamente quando ci fu la simbolica accensione della prima fiammella, sul palco c’erano tutti a prendersi i meriti, tranne me. In seconda battuta mi piace ricordare il fatto di aver messo mano alle leggi 167/62 e 865/71 che consentivano ai Comuni l’esproprio di aree urbane per la costruzione di case popolari, cioè di edilizia residenziale, e soprattutto l’esproprio di terreni incolti, come la pineta, per poter donare un polmone verde al paese. Oggi parlare di esproprio è normale, ma farlo nel 1975 era un atto rivoluzionario: i proprietari si sentivano defraudati, nonostante le grosse fortune economiche che comunque accumularono grazie alle “congrue valutazioni” che decuplicarono il valore della pineta, e che nel 1990 portarono il comune a dichiarare il dissesto. Invece il mio più grande rimpianto è la convinzione che avrei potuto dare molto di più al mio paese, sia come amministratore comunale che come presidente dell’unità sanitaria locale, se non avessi dovuto affrontare torme di questuanti e vari compromessi. Tuttavia sono complessivamente contento di quello che ho fatto».

Secondo Lei,Domenico De Siano e Giosi Ferrandino potevano e dovevano fare di più per l’isola?

«Entrambi hanno ricoperto svariati incarichi istituzionali, va dato loro atto di essere stati capaci di raggiungere tali vertici. Tuttavia io capovolgerei le posizioni, e la domanda la porrei io a Lei, e tramite Lei a loro, insomma parlare a nuora perché suocera intenda: mi chiedo perché entrambi non organizzino una bella conferenza stampa dove dicano: “Signori elettori ischitani, vogliamo spiegarvi cosa abbiamo fatto, oltre a intascare 15mila euro mensili, per l’isola d’Ischia”, per poi elencarci tutte le iniziative svolte, le interrogazioni, le risposte orali e scritte ottenute, i progetti di pianificazione territoriale, di riconversione ecologica, e via dicendo. Ecco, dovrebbero letteralmente rendere conto ai cittadini, perché anche io sono sinceramente interessato a sapere cosa hanno fatto durante i rispettivi mandati di parlamentare italiano ed europeo».

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paul

Grande Peppe!

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