CRONACA

Ambrosino resta in sella, si chiude la partita giudiziaria a Procida

Il Consiglio di Stato ha confermaTo il risultato delle elezioni di settembre sancendo definitivamente la vittoria della lista del primo cittadino

Il Consiglio di Stato ha definitivamente sancito la vittoria di Dino Ambrosino e della lista “La Procida che vorrei” alle elezioni dello scorso settembre. La Seconda Sezione presieduta dal giudice Gianpiero Paolo Cirillo ha respinto il ricorso d’appello proposto da Michele Scotto contro il verdetto del Tar, che a sua volta aveva confermato l’esito dello scrutinio da cui era scaturita l’attuale composizione del Consiglio Comunale.

La competizione elettorale, svoltasi tra due liste, si era risolta con uno scarto di 154 voti a favore di quella del sindaco Ambrosino. Il Consiglio di Stato ha ritenuto completamente infondato il ricorso, respingendo tutti i nove motivi su cui esso si fondava, a partire dalla contestazione relativa alla presunta violazione del termine di 20 giorni a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali entro i quali effettuare la spedizione delle cartoline avviso ai cittadini iscritti nell’AIRE, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero: tale spedizione sarebbe avvenuta solo il 24 agosto, cioè oltre il ventesimo giorno successivo a quello di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi il 24 luglio 2020. Questa e le altre censure ad essa collegate sono state ritenute infondate in quando secondo il Consiglio di Stato la considerazione da parte del Tar della natura non perentoria del termine di 20 giorni deve ritenersi corretta alla luce dell’indirizzo dello stesso Consiglio richiamato nella sentenza impugnata. I magistrati amministrativi hanno inoltre respinto l’ipotesi di violazione del principio di segretezza, sincerità e libertà dei voti espressi nella sezione n. 10, con riferimento all’anticipata apertura delle urne comunali e regionali avvenuta dopo lo svolgimento delle operazioni di voto per recuperare alcune schede referendarie erroneamente inserite in tali urne, alla presenza persone formalmente estranee al seggio che avevano sottoscritto il verbale. Secondo il Cds tali censure sono infondate, condividendo il riferimento del Tar al principio per cui la non consentita apertura delle urne elettorali prima dell’inizio delle operazioni di spoglio di per sé non basta a invalidare il procedimento elettorale in mancanza dell’apertura di schede contenute in tali urne.

Respinti tutti i nove motivi di appello avanzati dall’opposizione, condannata anche al pagamento delle spese processuali

Il terzo motivo riguardava il controllo sulle “nuove residenze” con illegittime revisioni avrebbero incluso 49 persone, di cui 23 cittadini comunitari che non avrebbero presentato conforme istanza, censure ritenute infondate, sulla base della documentazione formata dagli uffici comunali. Anche il successivo motivo di ricorso riguardava il voto dei cittadini comunitari, in quanto secondo il ricorrente il Tar avrebbe trascurato la decisiva circostanza che l’Amministrazione avrebbe opposto rifiuto alla richiesta di copia dell’istanza di iscrizione nelle liste elettorali di cittadini comunitari: cosa infondata, in quanto l’interessato non aveva avversato il diniego di accesso nella nota dell’amministrazione del 29 ottobre vista la natura sensibile dei dati richiesti.

Respinta anche la censura sul voto domiciliare: l’appellante lamentava il fatto che 130 elettori avrebbero chiesto di poter votare al domicilio, ma solo 71 sarebbero stati ammessi al voto a domicilio, e che il Comune appellato non avrebbe trasmesso le istanze degli interessati all’azienda sanitaria locale (ASL), ma si sarebbe limitato ad indirizzarli telefonicamente a quest’ultima. Ma secondo i magistrati “alla domanda di voto domiciliare l’elettore deve allegare idoneo certificato medico rilasciato dall’azienda sanitaria locale: sicché l’eventuale invito dell’Amministrazione agli interessati a rivolgersi alla ASL per il rilascio della certificazione esprime un comportamento corretto e collaborativo. Nel ricorso di primo grado il ricorrente ha affermato di avere “notizia di almeno 100 istanze rivolte al Sindaco”, ma, come appena chiarito, oltre a rimanere indimostrata tale notizia, va ribadito che le richiamate disposizioni prescrivono che le istanze debbanoessere corredate da certificazione medica in mancanza della quale le istanze non possono essere assentite. Le censure circa l’illegittimità di 71 voti domiciliari per difetti delle relative verbalizzazioni, contenute nel quarto motivo aggiunto, non superano la prova di resistenza”.

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Nel sesto motivo l’appellante argomentava che a seguito di dimissioni di 4 presidenti di seggio il Sindaco avrebbe nominato nella sezione n. 8 un nuovo presidente non compreso nell’elenco della Corte di Appello “attingendo a simpatizzanti della lista del Sindaco/candidato”; il presidente della sezione n. 10 non avrebbe potuto essere sostituito, perché il seggio era già insediato, la sostituzione sarebbe spettata al vice presidente e il nuovo presidente sarebbe stato anche componente anche della commissione elettorale circondariale, cui spetta il controllo delle attività relative alle revisioni delle liste e dell’elenco degli scrutatori, oltre alla decisione sui ricorsi avverso i provvedimenti della commissione elettorale comunale; il Sindaco, essendo anche candidato, non avrebbe potuto presiedere il seggio vacante né nominare un suo delegato. Secondo il Collegio, può prescindersi dalla contestazione che fa leva sull’interpretazione dell’art. 24 del Dpr 570/1960, in quanto, considerate le circostanze che avevano portato alle dimissioni dei quattro presidenti di seggio, nella fattispecie trovava applicazione l’ultimo comma dell’art. 20 del d.P.R. n. 570/1960, che stabilisce che “In caso di impedimento del presidente, che sopravvenga in condizioni tali da non consentire la surrogazione normale, assume la presidenza il Sindaco o un suo delegato”, legittimando quindi l’intervento del Sindaco per la nomina di un nuovo presidente, ai cui fini tale disposizione non stabilisce alcuna ulteriore prescrizione. Respinti anche gli altri tre motivi di ricorso, fino alla condanna dell’appellante a 6mila euro per le spese processuali.

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Il primo cittadino ha così commentato la decisione: «Il risultato delle ultime elezioni comunali a Procida è stato messo in discussione in tutti i modi possibili e immaginabili. I 154 voti di differenza sono diventati poco più di 70, ci sono state denunce alla Procura, al Tar e al Consiglio di Stato. [..] C’è chi ha dedicato ore ed ore di lavoro al controllo della regolarità delle residenze. Chi ha interpellato i procidani in giro per il mondo alla ricerca della cartolina mancata. Il Sindaco del paese è stato accusato di manomissioni, forzature e inquinamento del voto. Addirittura di non essere persona degna della fascia tricolore».

«Ora – ha continuato il sindaco – la Giustizia, interpellata anche ai massimi livelli, ci conferma che è stato tutto un bluff. Un falso punito dalla Giustizia stessa con la condanna a pagare anche le spese del processo. Eppure, nessuno dei massimi Costituzionalisti che ordinariamente tengono affollate lezioni sull’isola, oggi ha inteso far conoscere le sue illuminanti valutazioni. Abbiamo speso molte energie dietro questa vicenda grottesca, che poteva essere specchietto solo per chi dopo trent’anni ha ancora il prosciutto sugli occhi. E mi spaventa l’azzardo di chi pur di capovolgere la volontà popolare è stato pronto a far saltare il banco, in piena pandemia e in un periodo in cui bisognava dimostrare la massima responsabilità. Questa consiliatura ne resterà condizionata. Fin quando non ci sarà un profondo rinnovamento delle persone e dei metodi non ci sarà possibilità di costruire qualcosa di buono».

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