Gli escursionisti, italiani e stranieri, che hanno frequentano la nostra isola e battute le zone più esposte,verso la costa ed all’interno boschivo, avvertivano forte odore di fichidindia, la pianta a pale verdi ch si fa notare per la sua natura tutt’altro che agevole soprattutto per quel manto spinoso che presentono i suoi frutti dopo la colorata fioritura.
Oggi che incomincia la maturazione del frutto appaiono sul cammino dei nostri primi turisiti dopo la presenza invasiva del Coronavirus Covid-19 del quale bidogna lo stesso ancora guardarsi, Il ficodindia (o ficodindia – Opuntia ficus) è una pianta succulenta della famiglia delle Cactaceae (Cactus), originaria del Messico, ma naturalizzata in tutto il bacino del Mediterraneo e nelle zone temperate di America, Africa, Asia e Oceania. La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo. La prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo Valdés nella sua Historia general y natural de las Indias.
I semi o addirittura la pianta con le sue caratteristiche palette, arrivarono nel sud Italia, portati dagli aragonesi che ne iniziarono la coltivazione anche sul Castello d’Ischia al tempo del loro dominio ed anche in vari punti della fascia costiera dell’isola d’Ischia: da Sorceto a Punta Imperatore, dalla Scannella al Monte di Sant’Angelo, da Cartaromana alla Scarrupata fino a Monte Vico in Lacco Ameno. L’uso popolano dei fichidindia e il suo aspetto da frutto di secondo ordine, almeno qui a Ischia, spingeva gli ischitani degli anni ’40 e ’50, per lo più giovani, fra i 15 e i 25 anni, ad impiegarlo per uno strano commercio, che è illustrato da Michele Lubrano nella pagina a fianco. Fatto sta che i ficodindia o fichidindia sull’isola, nonostante non stesse in cima alla lista dei frutti di maggiore consumo, lo stesso veniva richiesto, specie nel periodo autunnale, nel tempo della sua completa fioritura e maturazione.
Nel Comune d’Ischia, il Castello era la location di maggiore richiamo per la notevole presenza delle piante di ficodindia, nella parte più boschiva dell’antico maniero. Si sa che il ficodindia presenta intorno al suo involucro un manto spinoso che al contatto, contagia subito, provocando grande fastidio a chi ne rimane vittima. Ecco perché, non sono mai abbastanza le trovate utili per difendersi dagli attacchi. Al tempo degli aragonesi, quando questi portarono la nuova pianta ad Ischia, il ficodindia, maturato in vari colori, con preferenza verso il fuxia, ovvero il viola sanguigno, oltre ad essere considerato un frutto prelibato e quindi regale, veniva utilizzato per i lauti pranzi di Corte quale elemento decorativo oltre che commestibile sulle varie portate dei banchetti organizzati da Lucrezia D’Alagno concubina di Re Alfonso D’Aragona sul Castello.
Nel secolo XVI°, il ficodindia, per la sua abbondante produzione in tutto il bacino del Mediterraneo, in particolare in Sicilia, e di conseguenza anche nella nostra isola, sul mercato si vendeva a prezzo abbastanza basso ed in taluni casi addirittura veniva regalato. Col passar degli anni, al ficodindia si è dato una importanza alterna, a seconda della sua forza decorativa della propria vegetazione nel paesaggio naturale del luogo ove rifioriva, tanto, da diventare anche un elemento ricorrente nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola. Infatti esso, spuntato sull’isola nei posti più impensati, sulle spiagge a ridosso di esse, tra le viuzze campestri e come si è detto sui fianchi più esposti del Castello Aragonese, appare in qualche caso anche difficile da raggiungere.
Nell’800 ad esempio, i turisti stranieri che arrivavano ad Ischia, specie quelli amanti dei monti e della campagna, nelle loro escursioni nell’isola, quando si imbattevano nelle verdi piante a paletta dei fichidindia, non sapevano se quei pomi spinosi di colore giallastro macchiati di verde e di viola, erano mangiabili o soltanto da ammirare attaccati com’erano ad una pianta espressamente decorativa nel contesto di un paesaggio che li aveva letteralmente conquistati. Quando poi capirono che quel frutto, una volta raggiunto, simbolo di una natura selvaggia, poteva essere mangiato e quindi gustato per le proprietà anche curative che presentava, lo elevarono a propria “scoperta” su di un’isola, Ischia, che dopo continueranno a frequentare.
Oggi ad Ischia i fichidindia al di là di tutte le riserve che si avevano nel passato, è ufficialmente collocato in una posizione di rispetto per l’uso che se ne fa e per l’importanza nuova che ha assunto sul mercato. La sua raccolta viaggia a livelli industriali. Ad Ischia la sua produzione si è sensibilmente ridotta. Resiste sull’isola dalla parte di Forio, Sant’angelo e meno sul Castello, un tempo lontano territorio di vasta fioritura. Per quanto riguarda il suo lato curativo dei fichidindia, va detto che una ricerca condotta appunto in Messico, da un gruppo di studiosi dell’Università della Bassa California a Tijuana, ha dimostrato le proprietà ipoglicemizzanti delle fibre contenute nel fico d’india, utili in caso di diabete.
Ma anche chi non è diabetico può giovarsi con profitto di questo moderatore della glicemia che riduce l’assorbimento di zuccheri e grassi favorendo il dimagrimento. Tra le altre proprietà più importanti dei fichi d’India vi è quella depurativa che è in grado di favorire l’espulsione dei calcoli renali e l’eliminazione dei liquidi. Dagli ultimi studi condotti sui fichi d’India pare che questi abbiano la proprietà di combattere i parassiti dell’intestino.
Foto Giovan Giuseppe Lubrano
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