Archeologi, in 10 anni stipendi in crescita per oltre la metà dei professionisti
Alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum la presentazione del 3° Censimento condotto dall’Associazione Nazionale Archeologi
Dal precariato diffuso ad un quadro normativo che ha gettato le basi per migliori condizioni di lavoro. Crescono gli stipendi degli archeologi italiani, così come aumentano i professionisti che, negli ultimi 10 anni, riescono a fare della professione la loro unica attività lavorativa. È l’inaspettata inversione di tendenza che emerge dal 3° Censimentonazionale condotto dall’Associazione Nazionale Archeologi (ANA), che rispetto ai dati dell’ultima rilevazione, condotta nel 2011, evidenzia un quadro in netto miglioramento per la categoria, nonostante alcune criticità sulle quali occorre ancora intervenire. I numeri, presentati in occasione della XXVI Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, prendono in considerazione un campione di 1080 professionisti, su un totale di 5.500 archeologi attivi in Italia. Il 38% di loro dichiara di percepire una retribuzione annua tra 24mila e 48mila euro (erano il 21% in occasione dell’ultimo censimento), mentre il 49% si colloca tra i 12mila ed i 24mila euro (erano il 12%): un netto miglioramento rispetto al 2011 quando il 59% non arrivava alla soglia dei 15mila euro. La crescita va in parallelo alla pratica dell’attività: se nel 2011 il 56% dei professionisti era costretto a trovarsi un secondo lavoro per garantirsi una fonte sufficiente di reddito, oggi l’archeologia rappresenta l’unico impiego per il 76% degli intervistati, o quello prevalente per il 57,32% del restante 24%.
Il merito va anche all’entrata in vigore della Legge 110/2014 e dei suoi decreti attuativi (D.M. 244/2019), che hanno riconosciuto ufficialmente la figura dell’archeologo, gettando le basi per un’evoluzione della professione che permette oggi di indirizzare meglio le politiche di settore. Altro passaggio normativo fondamentale è stato l’inserimento della figura dell’archeologo all’interno del Codice dei contratti pubblici, dal 2019, come erogatore di servizi per le pubbliche amministrazioni, al pari di ingegneri e architetti. Resta forte la necessità di avere un mercato del lavoro sempre più sano e regolamentato dal punto di vista di tariffe e condizioni lavorative, con il 54,17% degli intervistati che vorrebbe cambiare la propria tipologia contrattuale. Quella dell’archeologo resta una professione svolta per il 50% da partite iva, mentre la restante parte si divide tra prestazioni occasionali (11%), vincitori di borse di studio (11%), dipendenti pubblici (14%) e privati (8%), soci di società (4%) e Co.Co.Pro (2%). Il 75% lavora nel settore privato, mentre il restante 25% ha un impiego nel pubblico, ma solo il 14% come dipendente.
Il settore si conferma composto in maggioranza da donne (circa il 65%) con prevalenza di under 40 (63%) compresi prevalentemente nella fascia d’età tra i 30 ed i 40 anni (39%) ed un alto livello d’istruzione (il 94% ha una laurea magistrale, mentre l’87% possiede un titolo post-laurea o lo sta conseguendo). Rispetto al 2011, quando solo il 17% dei partecipanti al censimento di allora dichiarava di lavorare continuativamente tutto l’anno come archeologo, la situazione appare notevolmente cambiata, anche se il 34% di coloro che oggi non svolge più la professione ha dichiarato di aver cambiato soprattutto per la necessità di trovare un impiego più remunerativo (67%). Inoltre, soprattutto tra le donne, un’altra motivazione che ha influito sul cambio di carriera è la difficoltà di conciliazione del lavoro con la genitorialità.
I DATI SULLE DISCRIMINAZIONI – Il censimento redatto dall’ANA riflette anche su aspetti come discriminazioni di genere e abusi nell’esercizio della professione, gettando luce su una serie di comportamenti da correggere. Dalle indagini condotte su un campione più ristretto (331 partecipanti), emerge che il 69% degli intervistati ha subito uno o più atteggiamenti discriminatori sul luogo di lavoro. Si tratta nell’80% dei casi di donne che dichiarano di aver sofferto discriminazioni di tipo sessuale e/o di genere (46,45%), emarginazione all’interno del contesto di lavoro (42,62%) e discriminazioni nell’affidamento di incarichi professionali (32,24%). Oltre il 70%, inoltre, ha riferito di aver assistito ad atteggiamenti discriminatori sul luogo di lavoro ai danni di colleghi: in questo caso le discriminazioni di tipo sessuale e/o di genere salgono al 62,37%, seguite dal mancato utilizzo del titolo professionale (49,46%), all’emarginazione all’interno del contesto di lavoro (47,31%) e alle discriminazioni nell’affidamento di incarichi professionali (40,86%).
MAGGIOR CONSAPEVOLEZZA. Una situazione che ha portato anche numerosi professionisti a riflettere sui propri comportamenti, come dimostra il 24% di coloro che hanno ammesso di aver adottato involontariamente in passato, azioni che la società odierna classificherebbe come discriminatorie. Per quanto riguarda gli abusi subiti, questi hanno coinvolto il 33,46% dei partecipanti (per l’84% donne) e nel 90,70% dei casi si è trattato di molestie verbali. “Non nascondo l’estrema soddisfazione nel poter presentare questi dati e con essi l’esito di un’operazione che ha posto un’attenzione molto forte sui cambiamenti professionali in atto nella categoria degli archeologi e delle archeologhe italiane – spiega Marcella Giorgio, presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi. – I dati mostrano con forza come il riconoscimento normativo abbia positivamente inciso sul miglioramento professionale dell’intera categoria, schiudendo settori di lavoro precedentemente preclusi o con poca apertura alla presenza degli archeologi. Gli stessi professionisti dichiarano una soddisfazione professionale crescente e più stabile del passato. Nonostante tutto, però, le difficoltà legate alle instabilità del mercato e a guadagni troppe volte non conformi all’alta specializzazione professionale rendono la percezione del proprio futuro lavorativo ancora non solido. A tale dato, si unisce quello che mostra un settore professionale flagellato da comportamenti abusivi e discriminatori a livello di genere e/o orientamento sessuale. È evidente, quindi, che il lavoro da fare per il prossimo futuro dovrà tenere conto di politiche che ben si adattino ad una professione intellettuale quale quella dell’archeologo, con un’attenzione specifica alle necessità dei lavoratori autonomi in termini di miglioramento del welfare, della necessità genitorialità, degli ambiti pensionistici, dell’equità dei compensi, e poi con un occhio di riguardo alle politiche di genere ai fini del superamento di ogni tipologia di discriminazione e abuso professionale e sociale. In questo senso, e sulla scia di quanto fatto in passato, l’ANA sta costruendo delle reti di dialogo con diversi partners istituzionali al fine di definire, in appositi tavoli di lavoro, delle proposte fattive tali da incidere positivamente nelle politiche di settore. La scelta, quindi, di presentare questi dati nel corso della XXVI Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, di fronte alla presenza di rappresentanze politiche, sindacali e professionali, non è casuale ma dettata dalla volontà di continuare a costruire un sempre più consapevole sviluppo professionale degli archeologi italiani”.