Atto di riconoscenza verso un Benemerito
DI PIETRO MONTI
Nell’ultimo mese, per ben quattro volte mi è venuto in sogno la figura di Gennaro ‘e Mangione, deceduto in Lacco Ameno il 6.3.1968. Per l’anagrafe: Esposito Gennaro, coniugato con Calise Maria e padre di Giovanni e Carmela. Tra i tanti giochi e passatempi, fatti in gruppo, nel periodo prima che Angelo Rizzoli attivasse lo sviluppo economico nel nostro paese (apertura Albergo della Regina Isabella: maggio 1956), ve ne era uno che superava di gran lunga tutti gli altri. Il giocattolo, preferito da noi ragazzi del rione Ortola, era un uomo, Gennaro ‘e Mangione, il più povero tra i poveri. Abitava in un solo ambiente baraccato, le cui dimensioni erano m. 2,50 x 2,80. Il monolocale era occupato da un letto a due piazze, sormontato da materassi spogli, senza lenzuola. Il figlio Giovanni, nostro coetaneo, si aggregava al nucleo familiare di zio Giuseppe, detto “Mignone”, perché mutilato di una mano. La figlia Carmelina era presso le “suore” a Napoli. Rarissimamente è capitato che ci sia stato un giorno in cui noi ragazzi abbiamo saltato l’appuntamento serale, per noi più pregnante: scaraventare contro la sgangherata porticina di Gennaro ogni ben di Dio (pietre, frutta e verdure marce, secchi d’acqua, bastonate, ….), per stanare il giocattolo umano. La vittima puntualmente saltava fuori in mutande e ci rincorreva per i vicoli del rione.
Durante i mesi estivi le saliate contro la porta di Gennaro erano abbondanti. Potevamo contare su due fornitori veramente affidabili: Giovanni “il Mellonaro” e l’Alimentari di Prospero, che per quattro mesi aggiungeva anche il puosto per frutta e verdura. Una sera capitò che, inseguiti da Gennaro, svoltammo per il vicolo, dove Mechina aveva creato un vero sbarramento con le lenzuola, che oscuravano la veduta, essendo spase per l’intera larghezza del vicolo. Noi ragazzi passammo per sotto, correndo con le mani tese in avanti e dirigendoci al centro di ciascun lenzuolo. Gennaro, invece, con l’intento di non rallentare, scelse lo strettissimo intervallo tra lenzuolo e lenzuolo. Incocciò in piena faccia la pertica di legno, con forcina in alto, che sorreggeva la fune, a cui erano appese le lenzuola. Gennaro si accasciò di colpo. La botta fu tremenda. Ci avvicinammo. Gennaro, steso in terra, disse “m’arrendo, m’arrendo”. All’indomani registrammo due effetti: Gennaro esibiva un bernoccolo in fronte e vistoso ematoma, che incorniciava l’occhio sinistro. Mechina aveva riorganizzato la colata, con cenere e foglie di lauro, nel solito cufanaturo di creta. Ebbene, strano a crederci, Gennaro fu risparmiato da noi scugnizzi per ben tre giorni. Gennaro era di cuore buono. La miseria non lo aveva incattivito. Nonostante tutto ci voleva bene. Quando – di giorno – si avvicinava a uno di noi, che non si accorgeva della sua vicinanza, perché preso dal gioco, gli prendeva l’orecchio e gli diceva “fai il fetentone, eh”? Se il braccato accennava a gridare, Gennaro subito lo lasciava e gli diceva “io ti voglio bene”.
Per Nino ‘a Malonna, uno del nostro gruppo, specializzato in tutti i giochi con i soldi, Gennaro era anche fonte di guadagno. Infatti, Gennaro portava le bombole di gas, per conto di Giovanni “il Salese”, a quelle poche famiglie che all’epoca già cucinavano con i fornelli a gas. A consegna completata, quando ritornava con la bombola vuota, Gennaro riceveva dal “Salese” il compenso, che non è mai rimasto nella sua tasca. Nino ‘a Malonna già era pronto a sfidarlo al gioco dello “spacca breccia”, con la moneta di 10 lire, che in quel tempo riportava su di un lato il rilievo di un bel cavallo. Gli esiti delle mille giocate sono stati tutti a favore di Nino (non perché il suo nome era associato alla Malonna; anzi aveva la furbizia del diavolo). Per noi ragazzi del rione Ortola Gennaro è stato il più bel giocattolo che abbiamo avuto in dono. Con lui ci siamo divertiti per anni, sempre con grande partecipazione e con risultati di goduria mai scadenti. Il tutto a costo zero. Ecco perché di sera la memoria di questo “benemerito” torna nitida alla mia mente e volentieri raccomando la sua anima alla benevolenza del Padre Celeste. Quando il pensiero s’avventura a rovistare in quei tempi lontani e ti riporta a galla lo scenario dei pidocchi a scuola, l’accerchiamento di gruppo, per impedire a un topaccio di tornare alla saittella, l’assalto alle piante di mandarini, a cui non veniva concesso di diventare gialli, allora il film , è decisamente in bianco e nero. Quando, però, arriva immancabilmente la figura di Gennaro, tu, che sei il pensatore, ti scopri sorridente, perché hai incontrato un amico di valore del tuo passato.
E’ strano a dirsi. Eppure chi ha dato molto a noi ragazzi dell’Ortola, nel periodo in cui Rizzoli non aveva ancora iniziato il cambiamento del paese e dei paesani, è stato proprio il più povero tra i poveri. Gennaro non ha mai rubato. Non ha mai picchiato uno di noi, anche se aveva tanti motivi per farlo. A mio avviso, ben merita di figurare nella toponomastica di Lacco Ameno, quale “BENEMERITO”.