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«Necessaria una minor pressione fiscale ma anche finanziamenti intelligenti»

«In effetti il dato, pur se riferito a due anni fa, sembra mostrare una “forbice” inquietante. La pressione fiscale è arrivata a valori elevatissimi. Per alcune strutture alberghiere essa è pari addirittura a oltre il 70%, un valore a cui concorrono anche l’Imu, le tasse  sui rifiuti, i diritti da pagare alla Siae, le imposte sui televisori, sugli elettrodomestici. Ciò significa che bisogna lavorare nove  mesi l’anno per far fronte alla pressione fiscale, e i restanti tre mesi per fronteggiare gli obblighi con le banche. Tempo fa l’isola d’Ischia rappresentava il 40% del Prodotto interno lordo complessivo della Regione Campania, mentre oggi siamo scesi intorno  al 31-32%. La realtà dei fatti dice  che Ischia è stata completamente dimenticata dagli enti sovraordinati. La promozione turistica all’estero grava tutta sulle nostre spalle, nonostante diverse autorità sbarchino periodicamente sull’isola a rassicurarci su ipotetici appoggi che poi di fatto non si concretizzano mai. È un atteggiamento incomprensibile oltre che autolesionistico: se in un’azienda ci sono rami che producono frutti in gran quantità, mentre altri sono ormai secchi, il buon senso vuole che si valorizzino i primi. Quindi, fuor di metafora, dal momento che Ischia contribuisce in maniera così rilevante alla ricchezza della nostra regione, meriterebbe ben altra attenzione anche a livello di finanziamenti. Dobbiamo quindi continuare a fare pressione sulle  autorità regionali per quanto  riguarda tale aspetto. Se i sindaci dei Comuni isolani potessero usufruire anche solo del 20% di quanto i cittadini versano in tributi e imposte statali e regionali, ogni Comune potrebbe diventare una piccola Montecarlo. Invece lo Stato prende molto ma restituisce poco  o nulla. Si dice che  sulla nostra isola circa venti alberghi stiano per  essere messi all’asta: un numero enorme che testimoni di una situazione più che preoccupante. Aziende che scompaiono, lavoratori a spasso e famiglie che  perdono l’unica fonte di sostentamento. Il rischio è doppio perché con tutte queste strutture  messe all’asta cresce il pericolo di infiltrazioni malavitose, interessate a rilevare quelle  attività per ripulire il denaro sporco. Finora, per fortuna, il fenomeno è stato sostanzialmente estraneo alla nostra isola, ma in momenti di crisi il rischio diventa molto più concreto. In tale prospettiva, diventano completamente  inutili i contributi e gli incentivi che lo Stato erogava in virtù della vecchia legge 488/92 agli alberghi senza un vero criterio. A mio parere è inutile finanziare la ristrutturazione del piccolo albergo o della pensione minima che poi non riusciranno comunque  a reggere la competizione di mercato con strutture ben più grandi, che a loro volta vengono ugualmente finanziate, lasciando intatto il divario (altro assurdo paradosso). La recente tendenza al low cost ha evidenziato questo fenomeno, portando al collasso le piccole imprese  a conduzione familiare, che  a loro  volta soffrono del passaggio generazionale: se inizialmente l’albergo era fonte di  reddito per una sola famiglia, col passare del tempo e delle generazioni successive molte più famiglie entrano nella conduzione, col risultato che la struttura non basta più per nessuna di esse. Ecco, in tale ottica credo che le grandi strutture alberghiere non avrebbero dovuto essere finanziate, mentre un finanziamento intelligente avrebbe  dovuto favorire la riconversione delle piccole  e piccolissime strutture alberghiere in appartamenti per  le giovani coppie e in studi professionali per i giovani professionisti. Ciò avrebbe rallentato fortemente la corsa all’abusivismo edilizio, che sull’isola non è mai stato quello speculativo dei grossi palazzinari tipici delle metropoli, ma soltanto quello rispondente alle necessità abitative della popolazione locale, che non si può in alcun modo considerare come speculazione. Come si vede, è un discorso complessivo che investe l’intera  economia isolana».

 

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