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LUCI DELLA RIBALTA PUNTATE SUL CASTELLO

Nel suo ultimo libro “ La via della Bellezza” il teologo filosofo Vito Mancuso distingue tre fonti del Bello: la Natura, l’Essere umano e l’Arte. E noi aggiungiamo che il Castello Aragonese di Ischia abbraccia due di queste fonti di bellezza: la Natura e l’Arte. Mancuso precisa che la natura è la principale fonte di bellezza e che anche Goethe affermò: “ Il bello è la manifestazione di arcane leggi della natura”. Ora, c’è qualcuno che considera negativo il contrasto tra il Castello Aragonese illuminato e il Pontile offuscato. La storia dell’illuminazione del Pontile è lunga e controversa: luci calde o luci fredde, luci in alto o luci dal basso, lampioni o faretti. Strano, però, che le polemiche non si siano mai accese sull’inquinamento luminoso della baia di Sant’Anna e della visione da terra del Castello Aragonese. Per esempio, alcuni fari a difesa delle imbarcazioni ormeggiate nello specchio d’acqua, hanno spesso costituito un disturbo visivo del maniero. Eppure nessuno ha per questo mai protestato. Ora che, nel rispetto della logica teatrale, si spegne la luce dal lato spettatori e la si concentra sul Castello che è la vera ribalta, sorgono polemiche. Secondo alcuni è ingiusto illuminare, con soldi pubblici, un bene privato ed è sbagliato spegnere le luci sul percorso che porta al Castello, perché rattrista il Borgo. A ben vedere, quella del “ pontile buio”, è una polemica “ dejà vu”. Al tempo del governo Monti, su suggerimento di Enrico Bondi, commissario alla spending review e di un pool di scienziati raggruppati sotto il nome di “ Cielo buio”, emise un provvedimento – poi naufragato sotto un mare di polemiche – per attenuare consistentemente l’inquinamento atmosferico da illuminazione artificiale. Credo che quel provvedimento avesse un solo grave torto: quello di essere adottato da un governo tecnico di emergenza, per cui si diede l’impressione che, congiuntamente ad una drastica politica economica di contenimento e rigore, si volesse privare gli italiani perfino della luce. Una sensazione di “ regressione”, insomma, di impoverimento.

Altro invece sarebbe inquadrare tale indirizzo in una più generale politica ambientale per uno sviluppo sostenibile. Una politica ambientale che punti ad un’attenuazione della dispersione di luce artificiale verso l’alto, che nuoce ai nostri bioritmi circadiani ( alternanza sonno/veglia), agli uccelli notturni e migratori, alle tartarughe di mare e a tante altre specie animali; che offusca la visione delle stelle, a detrimento di tutti noi che ammiriamo, ma soprattutto alle migliaia di astrofili esistenti in Italia. A tal proposito ricordiamo che fin dal 28 febbraio 1991, un giorno all’anno, si celebra la manifestazione “ M’illumino di meno” per sensibilizzare i cittadini sulla questione dell’inquinamento luminoso. E qui s’innesta la considerazione preannunciata nell’occhiello dell’articolo, di una metafora della decrescita felice. Il buio non per rendere la vita degli ischitani più triste, ma per accendere luci diverse e alternative. Si spengono le luci di un consumismo cieco per accendere le luci su beni primari, di valori superiori al banale quotidiano e al consumo del superfluo. Si può spegnere il pontile se serve a mettere in luce il nostro maggiore bene storico architettonico. Si possono impiegare soldi pubblici a favore del privato se serve ad esaltare una bellezza che non appartiene solo al privato, ma alla collettività e al godimento dei turisti. Spesso la teoria della “ decrescita felice o dell’a-crescita” di Serge Latouche è stata presa in giro dai professionisti della politica o dagli incompetenti della politica, col gioco facile della contrapposizione delle parole “ crescita” e” decrescita”. E’ ovvio che detta così, nessuno vuole “ diminuire” anziché “ migliorare e aumentare”. Ma “ decrescita” è una definizione volutamente provocatoria e alternativa ad un modello di sviluppo sciagurato e dissipatorio delle risorse della terra. Quindi va correttamente interpretato nel senso di “ crescita alternativa”, non più “ sviluppo senza progresso” ma “ sviluppo equilibrato e sostenibile” che tenga conto di un equilibrio necessario tra uomo e ambiente, tecnica ed etica, arricchimento e distribuzione della ricchezza.

Questo discorso riguarda in pieno Ischia. La riguarda quando si parla di illuminazione, come la riguarda quando si parla di mobilità alternativa. La riguarda quando parliamo di recupero dei terreni incolti e abbandonati al pari del disinquinamento del mare da detersivi non biodegradabili e da microplastiche. La riguarda quando parliamo di utilizzo di prodotti agricoli locali per i consumi turistici in alberghi e punti di ristorazione. La riguarda quando parliamo di privilegiare il “turismo cicala” rispetto al “ turismo cavalletta”. Ha forse torto Emiddio Calise quando lamenta di essere andato in crisi per il divario crescente tra il livello del target pensato per le sue strutture e quello del turismo oggi prevalente sull’isola? Ancora una volta si propone l’amico Riccardo Sepe Visconti per un progetto di rilancio del Bar Calise, potenziale cuore pulsante d’Ischia. Ma, per quanti sforzi di fantasia si possano fare intorno alla sola struttura del Calise, è difficile modificare un indirizzo turistico che attiene alle scelte complessive operate dall’isola. E anche l’appassionato appello dell’imprenditrice Desiré Rossi da Sant’Angelo, pur partendo dal giusto presupposto che è inaccettabile la politica rinunciataria e di “ chiusura” di alberghi e ristoranti, deve fare i conti con le scelte di fondo sbagliate che, da anni, l’isola ( pubblica e privata) ha imboccato. Crescere sì, nessuno vuole il “ mortorio”, men che meno i turisti e i giovani, ma crescere come? Non una crescita senza progresso.

Sarebbe preferibile un “ progresso” sia pure a fronte di un’apparente momentanea decrescita. La crescita degli alberghi tutta concentrata sul numeri di camere e letti è vera crescita? O sarebbe preferibile far decrescere il numero di stanze ( ormai eccessivo) e aumentare il numero di servizi offerti e dedicare un po’ più di cura e attenzione alla manutenzione di strutture ed arredi? La recente nomina a Presidente di Federalberghi locale, di Luca D’Ambra dei Giardini Ravino ha suscitato alcuni entusiasmi. Certo, a giudicare da quello che ha fatto con i Giardini, c’è da ben sperare in un’effettiva inversione di tendenza. Però, non basta il pedigrée e non basta dire che “ l’importante è cambiare impostazione. Quanto a quello che vogliamo fare è noto a tutti”. Le intenzioni vanno esplicitate, fatte conoscere, rese oggetto di confronto. Solo così si può essere sicuri di intraprendere la strada giusta e condivisa. Il discorso delle luci e del buio ci ha portato lontano, ma – a ben pensarci- è sempre questione di luci ed ombre, di accensioni e spegnimenti. Il progresso è fatto di accelerazioni e decelerazioni, di stop and go e non è affatto scontato. Si può anche regredire. Ma la “ regressione” non ha nulla a che vedere con la “ decrescita felice”, in quanto si può crescere ed essere infelici così come si può essere felici frenando certi consumi e favorendone altri più virtuosi. La regressione è irrazionale e involontaria, al massimo preterintenzionale. La decrescita felice è volontaria, razionale e vuole pilotare una crescita su basi diverse da quelle attuali. Non montiamo un “ Castello” di polemiche contro chi non se lo merita ( i Mattera). Spegniamo i riflettori sulle questioni fasulle e accendiamo le luci della ribalta sui progetti futuri di un’Ischia alternativa. A questo proposito guardo con simpatia al progetto e al think tank che vuole creare Luigi Iacono. Tutto questo, però, deve avvenire senza cadere nell’errore di ripiegarci sul passato, rigettando qualsiasi aspetto di globalizzazione e modernità. La modernità va gestita, governata. Nemmeno più a teatro si usano le luci tradizionali dal basso per la ribalta. Oggi si usano le torri americane con le luci dall’alto. E in questo caso la modernità non nuoce, ma illumina meglio!

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