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Barano, le elezioni e la vicenda dello “scudo rubato”

Il desiderio di un’intervista con l’avv. Mario Buono si acuiva anche più, dopo la vittoria riportata dalla sua Lista nelle elezioni amministrative di Barano, per il suo strano contegno. Perché quest’uomo, il più seguito ed anche inseguito sulle piazze dalle folle affascinate dalla sua vigorosa eloquenza in tutti i comizi, così pronto ed efficace nello scontro polemico, rimaneva invece silenzioso e indifferente ai numerosi attacchi di stampa? In verità, anche il nostro periodico non lo aveva risparmiato; sicché non sapevamo come ci avrebbe accolti e come avremmo potuto aprire un discorso.

Ma abbiamo avuto il favore della buona sorte per entrare subito in argomento, poiché – appena sulla soglia dello Studio – ci fu dato di sentire la sua voce, solitamente robusta : « Ma… non sono affatto aggiornati, stampano notizie tendenziose, divulgando vociferazioni alimentate da chi può avere interesse a travisare la verità… Se Renato Cacciapuoti e Pino Buono avessero saputo che questa non era una novità non starebbero a scrivere di manovre diaboliche, e di scandalo clamoroso, né parlerebbero di scudo rubato o di annullamento di elezioni””.

Ci furono dunque facili l’ingresso allo Studio attraverso la porta socchiusa e il fortunato intervento ad una accalorata discussione, che si svolgeva fra l’avv. Buono e l’avv. Vittorio Di Meglio. Sul tavolo, fogli, riviste e trattati di diritto amministrativo; i due avvocati discutevano di ricorsi elettorali.

E così, di colpo, fummo quasi investiti (ma, era proprio ciò che volevamo) da una scarica di parole — cortesi  ma veementi — dell’avv. Buono, alle quali faceva eco la voce meno grave del simpatico Vittorio ; ed entrambi, prima che avessimo il tempo di sederci, ci misero innanzi un voluminoso repertorio di giurisprudenza, poi una rivista, poi un altro volume.

L’avv. Buono quasi gridava: “”Aggiornatevi, prima di stampare; leggete, prima di sbizzarrirviin fantastiche ipotesi, prima di procedere a tentoni o alla Cacciapuoti nel tentativo di cercare una mente diabolica fra uomini di partito o fra i canonici di Ischia Ponte. Eccolo, il misterioso cervello diabolico, in questo innocuo, vecchio repertorio di giurisprudenza, del 1958… Leggendo libri e riviste, vi convincerete  che non si trattava di una novità. Fu una sola la secchia rapita, ma non fu uno solo lo scudo rubato»

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Restammo sorpresi, come da una rivelazione, poiché nel periodo della consultazione elettorale una serrata campagna di stampa aveva diffuso l’episodio accaduto a Barano, come un caso unico ed inaudito.

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E volemmo perciò sincerarci personalmente attraverso la consultazione.

Il fatto, veramente identico, si era verificato in Santa Caterina Villarmosa, in provincia di Caltanisetta, nella consultazione elettorale del 1956; e proprio ad esso si riferiva la massima contenuta nel Repertorio di Giur. Ital. 1958 (UTET). Trattavasi di un ricorso contro l’operato della Commissione Elettorale Mandamentale, che attraverso i vari gradi del giudizio ( Consiglio Comunale e Giunta Prov. Amministrativa) era pervenuto all’esame del Consiglio di giustizia amministrativa che esercita nella Regione siciliana le attribuzioni giurisdizionali devolute dalla legge al Consiglio di Stato. La decisione emessa il 19 giugno 1958, n. 140 veniva segnalata anche in un trattato sulle «Ineleggibilità amministrative e ricorsi elettorali » del Dr. Giuseppe Spadaccini (Ediz. JandiSapi, 1960) dal quale, per opportuna informazione dei nostri lettori, riportiamo quanto segue:« Una decisione di particolare importanza puntualizza i poteri di cui dispone la C.E.M. (commissione elettorale mandamentale) in sede di controllo dei contrassegni di lista. Nella specie, la Commissione, con propria deliberazione, dopo aver ammesso una lista presentata dal Segretario della Sezione comunale di un Partito, portante il tradizionale contrassegno del partito stesso, ricusava una successiva lista, col medesimo contrassegno, presentata da un delegato del Segretario provinciale del medesimo partito e, quindi, una terza lista, presentata anche essa dal segretario provinciale, con un contrassegno diverso da quello tradizionale del partito e, di conseguenza, tale da ingenerare confusione tra gli elettori.

Il Collegio giudicante, nell’affermare la legittimità di siffatto operato, osservava come la C.E.M. sia tenuta ad effettuare una indagine sui poteri di colui che presenta una lista dì candidati per le elezioni amministrative. Nella verifica del detto potere di rappresentanza, la C.E.M. deve estendere la sua indagine sulle norme contenute al riguardo nello statuto del partito, allo scopo di accertare quale soggetto sia legittimamente dotato del potere di usare del contrassegno del Partito stesso.

Comunque, di regola, il segretario locale di un partito, in quanto tale, deve ritenersi che possa usare del contrassegno del partito cui appartiene, a meno che non siritenga che il termine «rappresentante di un partito » usato dalla legge, abbia riferimento ad un soggetto, cui spetta un potere distintivo più ampio del segretario di sezione del partito: ma tale spostamento di competenza non  è previsto da alcuna disposizione del T.U. del 1951.  La C.E.M. non ha, tuttavia, nell’esercizio delle indagini in questione, obbligo di controllare l’iter di formazione della lista elettorale, essendo limitato il suo potere ad accertare la qualità di rappresentante del partito nel presentatore del contrassegno di lista.

La legge fa inoltre divieto di usare contrassegni identici o che si possano facilmente confondere con quelli di altre liste, tali cioè da ingenerare perplessità negli elettori: nella specie, la nuova  lista era tale da ingenerare perplessità nell’elettore perché la leggenda “”Democrazia cristiana », sia pure, accompagnata da un fiore anziché dallo scudo crociato, bastava a creare il dubbio, come ragionevolmente considerò la C.E.M.; con l’inevitabile conseguenza d’incertezza e confusione nella scelta fra le due liste nello stesso partito; il che la legge ha voluto evitare».

Insomma, da quanto abbiamo letto, si può dedurre una sola differenza fra il caso più sopra citato e quello di  Barano : che cioè, mentre nel primo la C.E.M. aveva respinto il contrassegno del fiore con la scritta “”Democrazia Cristiana » nel secondo invece la C.E.M. d’Ischia aveva approvatola lista portante il contrassegno “”Torre con  scritta Democrazia Cristiana ».

L’avv. Buono ci ha mostrato anche una copia del verbale di detta C.E.M. d’Ischia, dalla quale rileviamo, per opportuna conoscenza dei lettori, la seguente motivazione :

« E’ evidente pertanto, che la Commissione debba limitarsi ad accertare che non vi sia identità o confusione unicamente nei confronti dei contrassegni e che non può estendere il suo sindacato su altre questioni di mero carattere politico. Sta di fatto che il contrassegno presentato (Torre conscritta D.C.) non solo non è identico a quello usato per la lista n. 1 (Scudo crociato), ma differisce completamente e non ha in comune alcun elemento con il primo contrassegno ».

In verità non sappiamo quale delle due Commissioni abbia ragione su questo punto; ma è certo che entrambe le decisioni collimano nel ritenere che, nel conflitto di volontà tra il Segretario della Sezione locale di un partito ed il rappresentante di altro « Organo del partito stesso, il diritto a disporre del contrassegno, per le elezioni comunali, appartiene al dirigente della Sezione locale.

Gli avvocati Mario Buono e Vittorio Di Meglio ci hanno poi detto :

« Allo stato attuale della Legislazione, non esiste una norma specifica, in virtù della quale si possa ritenere che spetti esclusivamente agli organi centrali di un partito il diritto di usare l’emblema del partito stesso. E tale mancanza giustifica la correttezza delle decisioni, più volte emesse dalle Commissioni Elettorali. I casi accaduti non sono pochi anche se siano pochi quelli che pervengono a conoscenza degli studiosi, attraverso l’esame dei ricorsi. Ce ne sono stati anche nelle recenti elezioni amministrative, un po’ dappertutto ed anche in Campania. Si spiega così anche il richiamo dell’ “Europeo” (n.49, del 06.12.1964) che sollecitava il Parlamento a decidere sulla «importante questione della tutela dei simboli». Anche tale periodico si riferisce « ad alcuni episodi verificatisi in occasione delle ultime amministrative ».

Dunque, il caso di Barano non è nuovo, non solo; ma, se è vero che manca finora una diversa regolamentazione legislativa, come tutti ammettono e come confermano le varie decisioni delle Commissioni e degli Organi giurisdizionali, se ne può subito dedurre che qualsiasi ricorso, contro l’assegnazione dei contrassegno « scudo crociato » alla Lista n. 1, è condannato al rigetto.

Una regolamentazione dovrebbe servire solamente a: promulgare una norma precisa, intorno alle formalità di deposito dei contrassegni, al fine di orientare le Commiss. Elett. mandamentali, in maniera uniforme; ma non potrà, tuttavia, venire giammai modificato il principio, ora vigente, che il di ritto di usare il Simbolo spetta a ciascun organo dei Partito, a seconda dei casi e ciò in rapporto alle particolari manifestazioni ed attività, che siano dì competenza di quell’Organo, seguendo il criterio dello distinzione e dell’autonomia dei vari Organi.

Difatti è questo un criterio universalmente accettato, ed anche ribadito da costante dottrina e giurisprudenza. che le Sezioni di un Partito politico sono associazioni di fatto, non riconosciute, a sé stanti, autonome, con capacità propria e distinta da quella degli Organi centrali, rappresentate esclusivamente dai rispettivi Segretari locali, e costituiscono Organi autonomi nell’ambito della vita amministrativa e politica del Partito (Cass. civ. 4-7-1962, n.1691)

« Se gli uomini iscritti nei partiti — ci dice ancora l’Avvocato Mario Buono — e specialmente i piccoli gerarchi periferici, si rendessero esatto conto di questa che è una situazione giuridica abbastanza chiara, e non fossero tentati a sovrapporsi e ad  interferire, fino al punto da comprimere le prerogative spettanti agli Organi sezionali, non si verificherebbero gli episodi che poi si vogliono qualificare come atti di ribellione.

Allo stato, ed in conseguenza dei principi suesposti, appartiene alla Sezione locale, esclusivamente rappresentata dal Segretario o Commissario come dirigente responsabile, il diritto di proclamare i candidati al Consiglio Comunale, di presentare la lista per elezioni amministrative comunali e di usare, per questa attività, l’emblema del Partito. Dal che deriva, che al di fuori o contro il rappresentante della Sezione Comunale, non esiste alcune possibilità di presentare una lista di candidati al Consiglio Comunale. Insomma, il dirigente locale non può essere scavalcato. Finché egli rimane nella sua qualità – funzione di rappresentante della Sezione, nessun altro può invadere il suo campoiì competenza, senza commettere un abuso ed una violazione. Qualora sorgessero divergenze o conflitti di volontà, non resterebbe che rimuoverlo dall’ufficio.

Sennonché, gli atti compiuti prima di tale rimozione, restano perfettamente validi.

Sono questi i motivi che giustificano l’operato delle Commissioni Elettorali mandamentali, quando vanno ad esaminare le manifestazioni esterne delle attività di un Partito politico. Ogni altra questione di opportunità, di convenienza, di subordinazione, può interessare l’ordinamento interno e dar luogo a provvedimenti disciplinari; ma non può influire sulle decisioni delle Commissioni, dei Consigli, e delle Giunte ».

« Al lume di questi principi, (continuano a spiegare i due avvocati)  potete ora scorgere con quanta superficialità la stampa abbia trattato un problema, e come sia rimasta influenzata dalle false impostazioni dei comizi, nei quali non si parlava che di furto e di ladri, come se la lista fosse formata di comunisti e di anticlericali. Difatti, la stampa altro non faceva che ripetere i medesimi concetti, e perfino le stesse parole dette dai balconi. La stampa sbagliava, perché dai balconi deliberatamente si mentiva e non s’impostava un problema di competenze. Invece la C.E.M. aveva accertato i due estremi indispensabili alla legittimità dì uso del contrassegno: la qualità di democristiani nei presentatori, la qualità di dirigente della Sezione locale D.C. nel prof. Cenatiempo. Non poteva occuparsi la Commissione Elettorale, e non potranno occuparsi gli altri Organi giurisdizionali, d’indagare sulle qualità di purezza, fedeltà e disciplina di detti democristiani. E’ questo un problema che va discusso ed esaminato all’interno del Partito; non interessa né la piazza, né la stampa. Ma se la stampa ritenesse di occuparsene (e pare che il vostro Periodico si poneva la domanda: quali sono i dissidenti?), dovrebbe risolvere il problema, esattamente al lume dei principi più sopra enunciati. La risposta sarebbe facile. E’ dissidente colui che va ad esercitare un diritto che rientra nella sfera della sua competenza e gli deriva dalla funzione; o è dissidente colui che tenta di violare quel diritto e quella competenza?

Ma, tutto ciò ha una limitata importanza anche per gli Organi di stampa; i quali tuttavia dovrebbero sentire il dovere della più oggettiva informazione, intorno a quei problemi, che intendono trattare. Con un poco di buona volontà, non sarebbe stato difficile accorgersi che non si trattava di un clamoroso episodio di furto di emblema, bensì di un minuscolo problema di competenza fra due Organi del Partito, un piccolo episodio: al quale mancava anche il privilegio della novità, deliberatamente gonfiato, alterato e diffuso, al fine ai favorire la sorte di un piccolo gruppo abbarbicato  al potere.

« Vedete la stranezza di questa gente, continua l’avv. Mario Buono, si vuole assumere che vi sia stata confusione negli elettori; ma tale confusione sarebbe ovviamente sorta (se ce ne fosse stata) proprio da quella somiglianza di contrassegni, che fu esclusa dalla C.E.M.

Ebbene, dopo che alla Lista n. 1 era stato assegnato il contrassegno dello scudo crociato, chi fu a scegliere il contrassegno di una torre con la scritta « Democrazia Cristiana »? Precisamente coloro i quali ora vorrebbero sostenere che da quella scritta, da loro scelta e voluta, sia derivata una confusione!

La C.E.M.. esclude che potesse verificarsi una confusione, poiché i due contrassegni erano ben distinti e diversi. Ma se per caso gli Organi giurisdizionali competenti, dovessero ritenere il contrario, ne deriverebbe che questa Lista n.2 non avrebbe potuto usare quel contrassegno, con le ovvie conseguenze che ne derivano ai consiglieri di quella Lista.

Ora, che cosa faremo? La stampa di Cacciapuoti c’interroga ed anche ci diffida.

Vuol sapere se è vero che abbiamo presentato delle offerte alla minoranza e ci diffida a non fare accordi…

Non troviamo difficoltà a soddisfare il desiderio di Cacciapuoti, abbastanza sorpresi di saperlo questa volta a corto di notizie da parte del suo amico Giovanni Di Meglio.

E’ vero, che convenimmo io ed il predetto avv. Di Meglio in casa del comm. Antonio Castagna, Segretario detta Zona D.C. ».

« Né io invitai l’avv. Di Meglio, né costui invitò me; dunque, qualcun’altro ci convoco entrambi. Perché? E’ abbastanza comprensibile : essendovi democristiani negli opposti raggruppamenti, il Partito può avere interesse a ristabilire un clima di concordia e di convivenza pacifica, anche nella nuova Amministrazione.

Vi furono all’uopo delle proposte.

Da parte dell’avv. Di Meglio: il Sindaco, dalla minoranza!…

Da parte mia: un immediato, ovvio, rifiuto; con la contemporanea proposta di una Giunta paritetica. Un’offerta onesta, la mia, seria, democratica e generosa.

Contrariamente a quanto fin qui praticato a Barano, è forse altrove, io resto del parere che le minoranze debbano aver voce anche nelle Giunte; a condizione che sia sempre rispettato il rapporto di numero, e cioè la volontà espressa dal popolo.

Sennonché, a distanza di giorni, anche questa mia proposta venne respinta. Ecco tutto.

Credo di avere così risposto alle domande di Cacciapuoti, profittando, della vostra visita cortese. Non mi resta che scusarmi, per non avervi dato neppure l’occasione di rivolgermi delle domande. L’intervista? la rimandiamo ad un prossimo incontro; e -se vi piacerà di pubblicare quanto vi ho esposto- vi ringrazio dell’ospitalità.  

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