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Condannato a sua insaputa: lo aspetta il carcere, il giudice lo “grazia”

ISCHIA. Una storia giudiziaria di sapore kafkiano, quella che stiamo per raccontarvi, come tante purtroppo: cittadino straniero in terra straniera, con poca o nulla conoscenza della lingua, incastrato negli ingranaggi inesorabili e ciechi del sistema-giustizia. Ma questa storia, almeno, ha un lieto fine. La vicenda parte da lontano. Otto anni fa, Michele (nome di fantasia) cittadino extracomunitario‎, è appoggiato su di uno scooter in compagnia di un amico: in quel momento arrivano le forze dell’ordine, e Michele si ritrova arrestato con l’accusa di ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. Il giorno dopo, innescatasi la catena di montaggio dei processi per direttissima, gli viene assegnato un difensore d’ufficio che gli fa eleggere domicilio per le notifiche presso il proprio studio, e gli consiglia di patteggiare: lo straniero in terra straniera si affida al difensore d’ufficio.  Vicenda chiusa, pena sospesa e libertà. Insomma, pare davvero un episodio di ordinaria amministrazione, come quelli che vengono narrati nel famoso film “..E giustizia per tutti” del 1979 diretto da Norman Jewison con l’eccezionale interpretazione di Al Pacino.
Solo una brutta parentesi ? Non in Italia: il meccanismo della giustizia, messosi in moto, continua silente a girare. Le forze dell’ordine svolgono indagini anche dopo il patteggiamento, e arrivano a scoprire che pure il targhino dello scooter è contraffatto: nasce quindi un nuovo processo penale, questa volta con il rito ordinario, senza urgenza. Il pubblico ministero, non riuscendo a reperire Michele, credendo di agire per il meglio, gli fa notificare gli atti presso il difensore d’ufficio del processo per direttissima e individua il medesimo quale difensore. Ma il processo si celebra ad Ischia, a distanza di cinque anni: il difensore d’ufficio nominato non si vede, per il Giudice le notifiche sono regolari, e nel giro di due udienze emette la sentenza di condanna a due anni di reclusione per il nuovo reato, negando le circostanze attenuanti: Michele resta completamente all’oscuro del procedimento e della condanna, quindi non può proporre appello. Il difensore d’ufficio, figuriamoci.
La sentenza diventa così irrevocabile. Almeno, anche questa pena è sospesa. Ma solo in teoria, perché la  Procura‎ della Repubblica chiede dopo due anni al giudice della seconda condanna di revocare la sospensione della pena: Michele non poteva beneficiarne. E il giudice della seconda condanna si attiene alla richiesta. Michele anche di ciò nulla sa, né può immaginare che i Carabinieri a distanza di otto anni possano bussare alla sua porta con un ordine di carcerazione. Ma è proprio quello che avviene: per fortuna ha trenta giorni di tempo per far sapere allo Stato come vuole scontare il debito di due anni con la Giustizia. Inutili tutte le richieste stupefatte rivolte agli agenti di polizia giudiziaria: «Ma non era tutto finito? Cos’è questa carta?», chiede Michele ai Carabinieri: anche la più convincente delle risposte non poteva vincere la mancanza di comprensione della lingua italiana, figurarsi il gergo “legalese” che, come scrive l’ex magistrato Gianrico Carofiglio in un suo romanzo, sembra fatta apposta per “escludere i non addetti ai lavori dalla comprensione di quello che avviene nelle aule di giustizia e di quello che si scrive negli atti giudiziari”.
L’incubo sembra così ricominciare, a distanza di anni: impaurito e spaesato, tramite un amico italiano, Michele giunge infine dall’avvocato Gianluca Maria Migliaccio, che accetta il caso. Le storture procedurali di cui è zeppa la vicenda di Michele fanno accapponare la pelle agli addetti ai lavori ma i rimedi, paradossalmente, sono miseri‎. La strada è stretta, ma il difensore di fiducia opta per l’incidente di esecuzione: chiedere al giudice di Ischia di dichiarare “non esecutiva” la sentenza di cui all’ordine di carcerazione, in ragione delle diverse violazioni del diritto di difesa di Michele verificatesi negli anni.
E qui arriva, finalmente, il lieto fine:‎ «Rilevate le nullità correttamente argomentate dalla difesa, va dichiarata nulla la sentenza di cui all’ordine di carcerazione», così chiosa il giudice nell’ordinanza depositata venti giorni or sono, che pone fine all’odissea di Michele durata quasi un decennio. La strategia articolata dall’avvocato Migliaccio si è dunque rivelata il grimaldello risolutivo per scardinare una volta per tutte gli ingranaggi che rischiavano di stritolare l’extracomunitario. “Il passato è una terra straniera”, recita il titolo di un romanzo, e nella vicenda qui racconta, quel passato era pronto a riaffiorare ingiustamente. Fino a quando, poche settimane fa, l’ordinanza ha finalmente dissolto le nubi che inseguivano tenacemente il cittadino di origine straniera.

FRANCESCO FERRANDINO

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