POLITICAPRIMO PIANO

BERTINOTTI A CUORE APERTO: «LA SINISTRA E’ FINITA»

Intervista esclusiva de Il Golfo all’ex segretario di Rifondazione Comunista e presidente della Camera. Un lungo excursus dentro la storia della politica italiana con riflessioni sempre lucide e acute e una serie di considerazioni che lasciano il segno. Con un occhio attento anche alle bellezze, ed alle dinamiche politiche, della nostra isola…

La prima domanda è la più scontata: che fine ha fatto la sinistra?

«La mia opinione purtroppo è molto dura. Io penso che la sinistra, così come l’abbiamo intesa lungo tutto il dopoguerra italiano, sia finita. Il problema che ha di fronte il popolo che a lei ha fatto riferimento, e che ancora fa riferimento, è quello della ricostruzione di una nuova sinistra per le sfide di questo tempo, che rendono ancora più necessaria una sinistra socialista, anticapitalistica, visto che il capitalismo non è mai stato così “cattivo” e così minaccioso per le sorti dell’umanità così come è adesso».

Chi potrebbe oggi interpretarla, e quale modello di sinistra al passo coi tempi potrebbe servire?

«La domanda su “chi” esige una risposta collettiva, di un soggetto collettivo, e non di un leader politico. Chiede cioè la costruzione di quello che un tempo si chiamava un “blocco sociale”, che vedeva emergere delle figure sociali come guida dei movimenti, tra operai, braccianti, intellettuali. Il problema oggi è quello della costruzione del soggetto del cambiamento. È evidente che questo soggetto richiede un’innovazione radicale. Basti pensare che oggi la crisi è innanzitutto una crisi di diseguaglianza sociale – un classico della sinistra – di condizione sociale, di lavoro, di povertà. Inoltre, in tutta la sua drammaticità, è una crisi ecologica, con un rischio enorme di catastrofe. Infine, non si riesce a elaborare una prospettiva di pace contro la guerra. Questi tre elementi chiedono di ripensare lo schieramento di forze sociali, politiche e culturali che possono essere protagonisti di questa nuova avventura».

«In tutti questi anni l’euro ha rappresentato semplicemente una moneta. La domanda dovrebbe essere “cos’è stata l’Europa”: l’Europa purtroppo è stata una promessa tradita, o almeno non mantenuta»

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Alla luce di quanto dice, quanto è paradossale l’assenza di una sinistra radicata, pur in presenza di temi come quelli da Lei citati, che rappresentano quasi un vestito su misura?

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«Intanto questo è un fenomeno che riguarda in particolare l’Italia, l’Europa, non il mondo. Infatti, come è noto, in tutta l’America Latina stiamo di fronte a delle sinistre protagoniste della rinascita, fino a far diventare i Brics protagonisti di una messa in discussione dell’assetto geopolitico del mondo, della predominanza del dollaro e degli Usa, che configura attraverso un’alleanza dei ceti popolari indigeni una prospettiva inedita. Quindi non è vero che la sinistra non esiste nel mondo: essa è in crisi in Europa, e non esiste in Italia, ma appunto ciò non vuol dire che non esistano degli elementi su cui ripartire. Penso in primo luogo alle rivolte sociali: questa non è un’Europa pacificata. Abbiamo avuto dei conflitti in Gran Bretagna che hanno portato all’invenzione di termini nuovi per definire la paralisi che ha investito quel Paese a Natale. In Francia si è verificato un movimento di lotta straordinario contro l’ipotesi di aumento dell’età pensionabile che ha messo a soqquadro Parigi con una decina di scioperi generali. Le condizioni di crescita sociale diventano esplosive, che a un certo punto arriva il punto di rottura: a quel punto è da vedere se ci sono forze politiche in grado di organizzare il movimento di lotta e conquista. Un altro elemento è l’emergere di nuove soggettività, dalle donne a certe realtà giovanili a forme di associazionismo e solidarietà: dunque la formazione di nuovi elementi di economia e società. Questo dovrebbe essere il terreno di applicazione per la sinistra».

Che cosa ha rappresentato per l’Italia il berlusconismo?

«Ha rappresentato la realizzazione di un’ipotesi di controriforma, cioè di mettere fine all’Italia repubblicana democratica nata dalla rivoluzione antifascista per dare luogo a una moderna costruzione politica che accompagnasse la civiltà dei consumi e la spettacolarizzazione della politica». 

«Di momenti belli ne ho vissuti tanti: ad esempio la scoperta della politica quando, con la generazione che fu chiamata delle magliette a strisce, sconfiggemmo il tentativo di far regredire l’Italia lasciando svolgere il congresso del Movimento sociale italiano a Genova, città Medaglia d’oro della resistenza anti-fascista. E quel movimento a Genova, guidato da Sandro Pertini, impedì quell’obbrobrio»

Quanto ha funzionato, e quanto alla lunga è stato deleterio?
«Ha funzionato per chi era ricco. Com’è ovvio non ha funzionato per il Paese, perché è stato un elemento di crisi per la democrazia, per la politica e per la Repubblica».

Cosa ha rappresentato l’Euro per l’Italia a distanza di tanti anni?

«Ha rappresentato semplicemente una moneta. La domanda dovrebbe essere “cos’è stata l’Europa”: l’Europa purtroppo è stata una promessa tradita, o almeno non mantenuta». 

Oggi gran parte del “ceto medio” e dei lavoratori paradossalmente si sentono meglio rappresentati da un partito come Fratelli d’Italia. Come mai? Per l’assenza della sinistra? Perché sono cambiati i tempi e i modi di ragionare?

«Intanto, non esageriamo: quasi la metà dell’elettorato non vota, e non sappiamo cosa pensi. Vorrei far notare che questo è il governo col minor numero di consenso elettorale che si sia mai registrato in tutta la storia della Repubblica: governa col consenso di solo un quarto dell’elettorato. Dunque non è vera questa presunta “onda” irresistibile a favore della destra. È vero invece che c’è un fenomeno politico e culturale che riguarda l’intera Europa, sostanzialmente contrario a quello che aveva portato alla fine del secolo le forze di centro-sinistra a governare in quasi tutti i Paesi europei. Con un errore interpretativo, si era lasciato credere che la globalizzazione avrebbe portato una distribuzione della ricchezza e delle possibilità: tutto ciò è stato smentito. Era comunque il tempo della speranza, adesso invece è il tempo della paura. E nella paura e nell’inquietudine crescono i mostri». 

«Il Berlusconismo ha rappresentato la realizzazione di un’ipotesi di controriforma, cioè di mettere fine all’Italia repubblicana democratica nata dalla rivoluzione antifascista per dare luogo a una moderna costruzione politica che accompagnasse la civiltà dei consumi e la spettacolarizzazione della politica»

La gente si è allontanata dalla politica per una serie di motivi, o anche e soprattutto, come sostengono alcuni non addetti ai lavori, a causa di un sistema elettorale col quale non si sceglie il proprio candidato ma si deve andare a scatola chiusa?

«Questa è una delle tante concause della disaffezione. La causa fondamentale è che la politica non ha parlato più alla vita e al lavoro delle persone».

Qual è il momento della sua attività politica che ricorda con più piacere, e quello magari più triste?

«Di momenti belli ce ne sono tantissimi: ad esempio la scoperta della politica quando, con la generazione che fu chiamata delle magliette a strisce, sconfiggemmo il tentativo di far regredire l’Italia lasciando svolgere il congresso del Movimento sociale italiano a Genova, città Medaglia d’oro della resistenza anti-fascista. E quel movimento a Genova, guidato da Sandro Pertini, impedì quell’obbrobrio: nacque una nuova resistenza. Poi l’intero periodo che va dal ’68-’69 fino a tutti gli anni ’70, quando abbiamo potuto credere che tutto fosse possibile. Abbiamo vissuto una stagione davvero straordinaria. Alla stessa stregua, l’amarezza non è legata a un determinato episodio: potrei indicare la sconfitta nella lotta dei“35 giorni” alla Fiat nel 1980, oppure l’aggressione alla scala mobile, o ancora la guerra nei Balcani. In realtà è un ciclo intero, che dopo quello “vittorioso” è diventato quello della sconfitta. Un grande sociologo italiano, Luciano Gallino, parlò del rovesciamento del conflitto di classe: una volta erano i lavoratori, il popolo che lottava per avere un miglioramento della loro condizione di vita contro i “padroni”, nel secondo ciclo sono stati i “padroni” che hanno lottato contro i lavoratori». 

«Ischia isola di stagionali ma comunque più vicina alla destra? Non è paradossale. Gli operai americani hanno contribuito alla vittoria di Trump, gli operai italiani per un certo periodo hanno contribuito alla vittoria della Democrazia Cristiana. Il fatto che una condizione sociale sia persino peggiorata, non dà luogo necessariamente a una risposta “di sinistra”. Il consenso va conquistato»

Noi sull’isola ci troviamo in una realtà turistica, dove ci sono oltre diecimila lavoratori stagionali, che poi nel tempo si sono anche visti penalizzati, perché dall’indennità di disoccupazione si è passati alla Naspi, con una diminuzione del benessere di chi non può lavorare dodici mesi all’anno. Eppure questa è un’isola, che fondamentalmente, numeri alla mano, è prevalentemente di centro-destra: non è un fenomeno paradossale?

«Non è paradossale. Gli operai americani hanno contribuito alla vittoria di Trump, gli operai italiani per un certo periodo hanno contribuito alla vittoria della Democrazia Cristiana. Il fatto che una condizione sociale sia persino peggiorata, non dà luogo necessariamente a una risposta “di sinistra”. Questa idea secondo cui la sinistra detenga il consenso dei lavoratori, come se fosse “regalato”, è una pura stupidaggine: il consenso va conquistato».

Oggi Lei intravede tra i protagonisti della vita politica italiana, non necessariamente ai massimi livelli, qualcuno in grado di raccogliere il testimone come guida della sinistra?

«Non si può sapere prima. Se lo si sa prima, verrà “falsificato” dalla realtà, come si è visto fin qui. La riapertura di un conflitto sociale darà luogo a una nuova classe dirigente, non a un singolo leader».

«Ischia isola di stagionali ma comunque più vicina alla destra? Non è paradossale. Gli operai americani hanno contribuito alla vittoria di Trump, gli operai italiani per un certo periodo hanno contribuito alla vittoria della Democrazia Cristiana. Il fatto che una condizione sociale sia persino peggiorata, non dà luogo necessariamente a una risposta “di sinistra”. Il consenso va conquistato»

Il suo ricordo del presidente Napolitano?

«Non amo fare commenti sui leader dopo la loro morte: penso che ci sia il tempo del lutto e il tempo del commento. Questo è il tempo del lutto, del riconoscimento di una presenza importante nella vita politica italiana e nelle istituzioni. Il giudizio politico andrà affrontato con il rispetto che merita un protagonista come questo».

Lei è stato ospite al Festival di Filosofia, una manifestazione ormai consolidata che richiama molti giovani. Dunque, c’è ancora speranza?

«Ma sì. Noi abbiamo dei giovani un’idea che è quella che ci restituisce la società dello spettacolo. Abbiamo perso la “strumentazione” non per parlare dei giovani, ma per vivere coi giovani e contribuire a costruire il loro futuro. Bisogna frequentarli, discutere con loro, trovare i luoghi dell’incontro, e Lei mi conferma che quando questi luoghi si trovano c’è una passione visibile, solo che è una passione contro cui tira l’aria del tempo. E l’aria del tempo purtroppo è contro le grandi passioni, le grandi speranze, ma ciò non vuol dire che riesca a soffocarle».

Lei è stato a Ischia molte volte. Cosa le piace in particolare di quest’isola?

«Difficile dirlo. Mi piace la sua identità, la sua composizione, la sua “molteplicità”: un’isola che affonda le sue radici nella storia del Mediterraneo, al punto che ad esempio può avere un gioiello come la Mortella. Ciò secondo me è indicativo della ricchezza e della potenzialità di questa terra».

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