LE OPINIONI

DIRITTO E ROVESCIO Ciò che è giusto e ciò che no dall’Antica Grecia ai giorni nostri

In questi giorni ho avuto modo di leggere due commenti di amici su materie apparentemente molto diverse tra loro ma che in realtà hanno un’unica matrice. I due amici sono: Salvatore Ronga, geniale artista locale e Antimo Puca, conoscitore di leggi. Ronga commenta, su FB, da autore teatrale che ha magnificamente trattato la figura di Antigone (di Sofocle), un saggio della grecista Eva Cantarella, dal titolo provocatorio “Contro Antigone o dell’egoismo sociale”. L’antichista Cantarella non nasconde una cordiale antipatia per Antigone e distingue la mitizzazione della figlia di Edipo dalla Antigone reale, che non si batté per il riconoscimento di un diritto universale, ma unicamente per un più personale ed egoistico obiettivo di seppellire il fratello Polinice (morto combattendo contro la sua Patria,Tebe). Questa è la tesi di Cantarella. Ed aggiunge: “Antigone non si adoperò per cancellare la legge promulgata dal re Creonte, che condannava a morte chiunque avesse dato sepoltura ai nemici della Patria, semplicemente < trasgredì> la legge, standole a cuore solo suo fratello. Cantarella da un lato sminuisce i meriti sociali di Antigone, dall’altro rivaluta quelli di Creonte, che lei considera non il potente cinico ma il custode degli interessi comuni. Ma Salvatore Ronga vede Antigone sotto un’altra luce, nelle mille sfaccettature e risvolti che, nello scontro con Creonte, la donna mette in luce. Ronga sottolinea come in realtà il dramma, prima ancora che di Antigone, è di Creonte che, più volte, entra in crisi e tituba sulla decisione presa. E dà un peso alle parole di Antigone: “Non sono venuta per condividere l’odio ma l’amore”.

A Cantarella replica anche Fabio Ciaramelli, professore ordinario di Filosofia all’Università di Napoli Federico II, in un bell’articolo su Il Mattino, sottolineando come non solo Antigone ma anche Creonte, nella seconda parte della tragedia, si chiude in un atteggiamento egocentrico e poco sociale. Secondo Ciaramelli la tesi di Cantarella serve comunque a sottolineare l’egoismo sociale, molto attuale ai tempi nostri, il prevalere del privato sul pubblico. A questo punto, che c’entra Antimo Puca e il suo editoriale su Il Golfo del 29 febbraio “Manifestazioni e legalità”? Puca, a proposito dei fatti di Pisa, dove gli studenti manifestavano pacificamente per fermare la strage di decine di migliaia di palestinesi che non sono legati ad Hamas, sostiene che le Forze dell’Ordine non abbiano compiuto nessun atto arbitrario di violenza, in quanto la manifestazione non era autorizzata e la Costituzione in merito parla chiaro. Cosa c’entra l’autorizzazione con le “botte da orbi” contro giovani inermi? Una cosa è la difesa di possibili obiettivi sensibili, altro l’attacco dei poliziotti in assenza di atti di violenza dei giovani. A Puca, che si richiama alla Costituzione e più precisamente all’art.21, mentre sarebbe più corretto il richiamo all’art.17: “Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità” vorrei ricordare che la stessa Costituzione, all’art. 87, primo comma, recita: “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” e al comma 7 dello stesso articolo dice: “Ha il comando delle Forze Armate”. Ergo, un messaggio del Capo dello Stato non è un’opinione ma una precisa direttiva. E la circostanza che un sempre cauto e riflessivo Presidente Mattarella richiami il Ministro dell’Interno e che quest’ultimo riconosca (a stento) che qualcosa è sfuggita di mano alle Forze dell’Ordine non può essere ignorata come se il parere del Presidente equivalesse all’opinione di un qualsiasi opinionista.

Allora, veniamo ai punti comuni, ai punti di contatto tra le due vicende: da un lato Pisa, gli studenti e la Polizia, dall’altro Tebe, Antigone e Creonte. In entrambi i casi il dilemma universale è: legge scritta o diritto universale? Quale deve prevalere? La convenzione umana scritta che sancisce i limiti dei cittadini per mantenere l’ordine della comunità o il diritto naturale e universale di esprimere le opinioni ( pacificamente) a difesa di un altro diritto naturale, che è quello che ogni popolo ha diritto di esistere e di avere una propria Patria e non restare vittima di genocidio? E’ tutto qua il dilemma. Dopo venticinque secoli, ci chiediamo ancora: Cos’è la giustizia? La convenzione scritta dagli uomini per gli uomini o gli “agrapta nomina” (leggi non scritte) che regolano il Diritto umanitario? E tra le più antiche leggi scritte non c’è forse il codice di Hammuraby (civiltà babilonese del XVIII secolo a.C.) che si basava sul principio del taglione ovvero, come poi scritto nel Vangelo di Luca “oculum pro oculo, dentem pro dente”? Come a dire che una reazione sproporzionata ( come quella israeliana) viola il diritto positivo ma ancor più quello naturale. Ed è proprio quello che sostenevano gli studenti di Pisa sulla questione israeliano-palestinese. Senza presunzione, non sarebbe il caso che nelle scuole dell’isola si dibatta su questi argomenti fondamentali per il vivere dei popoli?

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