«Caffè Scorretto» «C’è bisogno. Punto»

Riecheggia l’eco di quest’anno appena trascorso, prossimo alla fine. Che finisca “presto”, ormai manca poco, ce lo auguriamo tutti. Ciò che lascia perplessi in questi pochi giorni che dividono il vecchio dal nuovo, però, è l’istante di temibile spavento che si accompagna come al cinguettio di una rondine ferma sul davanzale della finestra pronta ad annunciare una nuova primavera: l’anno si rinnova nella sua ciclicità interminabile, e non si può far altro che adattarsi. Se il ritratto si evolve fino a raggiungere l’estate – e la cosa non può che farci piacere, specie per la notizia che il vaccino contro il virus farà la sua parte nei prossimi mesi – il sospetto che tutto, a Ischia, resti immobile e inalterato è forte. Gli effetti di un 2020 bisesto e nefasto, questa infatti appare una certezza, rischiano di riprodursi ed espandersi anche in un 2021 prossimo alle porte se non ci sarà alcuna presa d’atto che qualcosa, forse tutto il modello “Ischia”, va cambiato. Certamente non a colpi di dichiarazioni sterili e senza azioni, rilasciate alla stampa come è solita fare una parte di politici e amministratori.
Allo stesso modo di una Cassandra nel deserto, una parte della stampa locale lo denuncia da anni. Inascoltata, non può far altro che evidenziare una rotta possibile, metter in guardia talvolta il decisore politico nella speranza, spesso vana, che questi sia in grado di comprendere e agire per opporsi a un certo status (quo) di cose (trasporti e mobilità per esempio soffrono di una visione miope e non organizzata benché appaia tale), e andare oltre quel fascino terribile che produce il cambiamento il quale ci avvolge un po’ tutti e ci blocca. “Basta ca ce sta ‘o sole, ca c’è rimasto ‘o mare, na nénna a core a core, na canzone pe’ cantà“, l’abbiamo trasformato in un mantra e ci abbiamo costruito sopra il turismo e, più in generale, il sistema economico relegandolo, intrecciandolo e ingarbugliandolo con l’orgoglio individualista a volte spropositato, ingombrante e oramai patetico. Una sorta di residuo tragico dell’adolescenza che continua la sua opera disgregante che, a questo punto se vogliamo rilanciare il territorio, dobbiamo gettare a mare. Quello stesso mare, col sole, che abbiamo elevato a cardini di un turismo commerciale e a buon mercato, accompagnandoci a una modalità amministrativa discutibile su cui imprenditori, anche questi a buon mercato, hanno realizzato le proprie fortune. Se siamo ciò che siamo, e che non siamo diventati, lo dobbiamo anche a questo “modello” che ormai da un po’ avrebbe dovuto suggerirci correttivi da ammettere. Non per cancellare l’esperienza, cosa impossibile da fare, ma per crearne una nuova. Per noi, per chi ci abita, e per chi intendesse vivere l’isola come “ospite”. Ed è a questo punto, dunque, che il ragionamento dovrebbe interessarci tutti, nessuno escluso. La politica, cui non si può che attribuire il ruolo di apripista, e la capacità imprenditoriale insieme al modo di fare commercio, su tutti. C’è bisogno di rifondare la religione delle azioni amministrative, la patria e riscoprirla “isola verde” ma non a parole, e la famiglia rappresentata dalla comunità che resta divisa nel proprio giaciglio comunale.
C’è bisogno di passare dal lavoro “per” l’isola al lavoro “con” l’isola, partendo dal passato recente al meno recente, e ricominciare dal presente per ritrovare la vocazione vera, quella che abbiamo perso e nessuno s’è mai degnato, in questi anni, di ricercare per disporre un nuovo regime di visioni, di traguardi, di scopi, di nuovi obiettivi. C’è bisogno di una rinnovata e delicata sensibilità verso la disoccupazione e povertà in aumento che si accompagnano alla chiusura, purtroppo per qualcuno appare un’inevitabile soluzione, delle attività tenendo conto che questa pandemia, questa calamità, ha accentuato lo stato emotivo della gente riducendole lo spettro delle soluzioni possibili. C’è bisogno di rimboccarsi le maniche – e qui mi rivolgo alle amministrazioni – e sostenere (specie economicamente, non bastano più soltanto i “patrocini morali”) progetti e idee capaci di attrarre flussi di persone, di diventare polo attrattore di innovazione. Penso alla proposta di Luigi Iacono, coordinatore di Progetto Ischia, sulla possibilità di costituire una Fondazione partecipata per il Welfare. Oppure a iniziative come il Festival Internazionale di Filosofia realizzato da Raffaele Mirelli. C’è bisogno di piantare i semi della “programmazione” e della “spesa”, termini che il più delle volte sembrano presi in prestito da un vocabolario a noi straniero. C’è bisogno di un nuovo linguaggio amministrativo, del quale non si può più fare a meno. C’è bisogno di entrare in una dimensione altra, farsi avvolgere dal fascino mistico della ricerca di una personalità rifatta, per frantumare lo sguardo ossessivo del mono-politico e allargarne così l’orizzonte. C’è bisogno di annichilire le potenze che, senza le dovute e forti opposizioni, prendono il sopravvento continuando ad annichilire e sopprimere Ischia, esiliandola nel torpore assieme ai suoi inestimabili tesori. Insomma signori, c’è bisogno di tutto questo e molto altro. C’è bisogno di un momento decisivo, di un passaggio, di forzare in maniera costruttiva lo schema di un passato che rischia di ripetersi. E nessuno potrà dire che non ne avevamo bisogno, perché il bisogno è adesso.
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci