«Caffè Scorretto» «Creatività, lavoro e politica non sono tutti uguali»
Premessa 1. Parliamo di lavoro. Di quello manuale o intellettuale in particolare e riguarda l’attività del pensiero, a volte creativa, che ne è alla base. La cui distinzione molto probabilmente rischia di non essere più attuale riferendosi a una categoria “di pensiero” che risale all’800. E poiché oggi il mondo è sempre più un sistema complesso, in cui i “cuochi” diventano “chef” a volte stellati, in piena trasformazione digitale, in una fase di transizione veloce che si riflette in modo altrettanto rapido sia nella vita delle persone sia in quella delle organizzazioni economiche, la distinzione nei due universi – manuale e intellettuale, appunto – oltre che superata è anche superflua.
Parliamo di lavoro. Di quello manuale o intellettuale in particolare e riguarda l’attività del pensiero, a volte creativa, che ne è alla base. La cui distinzione molto probabilmente rischia di non essere più attuale riferendosi a una categoria “di pensiero” che risale all’800. E poiché oggi il mondo è sempre più un sistema complesso, in cui i “cuochi” diventano “chef” a volte stellati, in piena trasformazione digitale, in una fase di transizione veloce che si riflette in modo altrettanto rapido sia nella vita delle persone sia in quella delle organizzazioni economiche, la distinzione nei due universi – manuale e intellettuale, appunto – oltre che superata è anche superflua. Per converso si richiama la capacità di attingere, attraverso il pensiero e all’attività intellettuale, alla conoscenza (che si ha di un certo argomento), ampia o ridotta che sia, funzione delle proprie esperienze
Per converso si richiama la capacità di attingere, attraverso il pensiero e all’attività intellettuale, alla conoscenza (che si ha di un certo argomento), ampia o ridotta che sia, funzione delle proprie esperienze. Insomma, parliamo di quell’esistente barlume di gloria che è rimasto a chi ancora crede fermamente che attraverso il (proprio) lavoro, in altre parole dall’im-piegarsi (piegarsi dentro) in qualcosa, ritorna l’immagine della dignità personale in un mix di riconoscimento e utilità sociale da parte degli altri. È chiaro che nella società odierna la prima differenza, che fanno tutti, è basata sul prodotto finale e passa per la domanda: che cosa fai esattamente? Immaginate di rivolgere il quesito (sbagliato, sempre) a un architetto. Il quale potrebbe rispondere “disegnare un progetto, per poi realizzarlo”. Il risultato – del suo lavoro – sarà “semplicemente” un disegno. All’inizio. Infatti, per arrivare a “quella composizione” di fattori ha dovuto immergersi in un processo di elaborazione del pensiero e della conoscenza che sarà molto difficile da inquadrare e calcolare tranne che, parzialmente, in un disegno.
Un contesto finale che è un risultato e risponde a quattro domande, o questioni, fondamentali: definizione del problema; generare alternative; valutarle e infine implementare la soluzione per portarla a esecuzione, una volta preferita quella migliore e aver scartato le altre. Se chiamiamo un idraulico perché abbiamo notato una perdita alle tubature di casa, la percezione del risultato (vale a dire che la perdita una volta individuata è stata risolta, a prescindere dal tempo impiegato), sarà la leva principale per riconoscere che il problema è scomparso. Non c’è più acqua sul pavimento, quindi problema risolto. La sua eliminazione corrisponde al prodotto (del lavoro). Più difficile, o forse si dovrebbe dire” diversamente difficile”, invece, nel lavoro intellettuale – che spesso è anche manuale – nel caso di uno scrittore, o di un artista, di un architetto o di chi si occupa di comunicazione fosse anche scrivere un articolo. Una piccola storia può servire da introduzione. Un ingegnere fu chiamato a riparare un computer molto grande ed estremamente complesso del valore di 12 milioni di euro. Sedutosi davanti allo schermo e dopo aver premuto alcuni tasti, annuì. Borbottò qualcosa tra sé e lo spense. Prese un piccolo cacciavite dalla tasca e girò a metà una piccola vite. Poi accese nuovamente il computer e scoprì che funzionava perfettamente.
È chiaro che nella società odierna la prima differenza, che fanno tutti, è basata sul prodotto finale e passa per la domanda: che cosa fai esattamente? Immaginate di rivolgere il quesito (sbagliato, sempre) a un architetto. Il quale potrebbe rispondere “disegnare un progetto, per poi realizzarlo”. Il risultato – del suo lavoro – sarà “semplicemente” un disegno. All’inizio. Infatti, per arrivare a “quella composizione” di fattori ha dovuto immergersi in un processo di elaborazione del pensiero e della conoscenza che sarà molto difficile da inquadrare e calcolare tranne che, parzialmente, in un disegno. Un contesto finale che è un risultato e risponde a quattro domande, o questioni, fondamentali: definizione del problema; generare alternative; valutarle e infine implementare la soluzione per portarla a esecuzione, una volta preferita quella migliore e aver scartato le altre
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Il presidente della società fu felice e si offrì di pagare il conto sul posto. “Quanto le devo?” – gli chiese. “In totale 1000 euro”, rispose l’ingegnere. “Come 1000 euro? Mille euro, per un paio di minuti di lavoro, semplicemente per aver girato una piccola vite? Io so che questo super computer costa 12 milioni ma 1000 euro sono un prezzo pazzesco! Facciamo in questo modo – continuò il presidente. Sono disponibile a pagarla ma soltanto se mi invia la fattura dettagliata che giustifichi questa cifra!”. Il tecnico disse “va bene” e se ne andò.La mattina seguente, il presidente ricevette la fattura. Dopo averla letta accuratamente, scosse la testa e procedette al pagamento. La fattura riportava i servizi offerti: «Serrare una vite: € 1- Sapere quale vite serrare: € 999». Anche se apparentemente la storia si presta al malinteso facile, si richiama il cosiddetto “valore aggiunto”. Qualcosa che non si misura con il costo delle materie prime e del tempo impiegato ma con la competenza e il problem solving (letteralmente, ‘risoluzione di problemi’, ovvero la migliore risposta possibile a una determinata situazione critica e solitamente nuova). In Italia, e a Ischia in particolare, il concetto di “valore aggiunto” è difficilmente percepito, forse quasi per niente. Tutti possono essere bravi per svolgere un certo lavoro ma non tutti sono bravi allo stesso modo. Uno non vale l’altro, e in qualche caso non vale neppure “uno”. Questo sconosciuto, il “valore aggiunto” precisamente, non è mai preso in considerazione col fine di livellare in tal modo tutti e mettendo sullo stesso piano il lavoro di una stessa categoria. La semplificazione che un architetto è simile a un altro, un avvocato è uguale a un altro, un medico è uguale a un suo collega e via discorrendo è una delle peggiori ma reali che esista e il miglior modo per ridurre qualcosa di estremamente complesso: la diversità del modo, insieme al modo di svolgere e comporre un lavoro e il processo di elaborazione che ne è alla base. In certi casi avviene, forse si tratta della maggior parte, che al tempo occorrente a risolvere un problema può coincidere una paga oraria. La frase che si sente ripetere è: “Bravo, ci ha lavorato tanto ma in fondo che sarà mai? Non era poi così difficile!”. Con ciò significando che si è fatto un buon lavoro, percependone magari il risultato, ma che alla fine non era faticoso da raggiungere. A ciò però corrisponde un messaggio subliminale: tutti sarebbero stati in grado di farlo, per cui è inutile che ti sbatti. Forse sarebbe stato più utile risolvere quel problema (ossia eseguire il lavoro) in meno tempo? Neppure ciò avrebbe garantito il riconoscimento da parte del committente. Che cosa avrebbe assicurato invece il risultato di quel lavoro, mettendo in secondo piano il tempo impiegato? La sua qualità. Che senza dubbio corrisponde al risultato, anche se non sono la stessa cosa. A volte se il risultato è ciò che si vede (il disegno, nel caso dell’architetto) c’è qualcosa di astratto, non perfettamente afferrabile e potrebbe produrre effetti soltanto sul medio o lungo periodo.
Qualcosa che non si misura con il costo delle materie prime e del tempo impiegato ma con la competenza e il problem solving (letteralmente, ‘risoluzione di problemi’, ovvero la migliore risposta possibile a una determinata situazione critica e solitamente nuova). In Italia, e a Ischia in particolare, il concetto di “valore aggiunto” è difficilmente percepito, forse quasi per niente. Tutti possono essere bravi per svolgere un certo lavoro ma non tutti sono bravi allo stesso modo. Uno non vale l’altro, e in qualche caso non vale neppure “uno”. Questo sconosciuto, il “valore aggiunto” precisamente, non è mai preso in considerazione col fine di livellare in tal modo tutti e mettendo sullo stesso piano il lavoro di una stessa categoria. La semplificazione che un architetto è simile a un altro, un avvocato è uguale a un altro, un medico è uguale a un suo collega e via discorrendo è una delle peggiori ma reali che esista e il miglior modo per ridurre qualcosa di estremamente complesso: la diversità del modo, insieme al modo di svolgere e comporre un lavoro e il processo di elaborazione che ne è alla base
Se ci rivolgiamo a un progettista per la sua attività professionale – che è anche intellettuale -, o a un avvocato per un parere o un atto di citazione perché ne abbiamo bisogno, spesso in molti scordano che per giungere a realizzare un disegno o scrivere un atto in un certo modo, dietro c’è un percorso di studio, certamente, ma anche uno alternativo e contemporaneo che ha riguardato lo sviluppo di certe capacità e certe competenze. Albert Einstein, disse: ”Se avessi solamente un’ora per salvare il mondo, passerei 55 minuti a definire bene il problema e 5 a trovare la soluzione”. Anche Picasso fece riferimento al suo bagaglio di conoscenza. Un giorno gli fu chiesto, ormai famosissimo, cosa pensasse delle quotazioni astronomiche dei suoi quadri, anche quando per realizzarli fossero bastati cinque minuti. Pablo, rispose «Di numeri non m’intendo, ma devo correggerla: io ci ho impiegato una vita e cinque minuti». Questo episodio rappresenta l’essenza di Picasso: la vita è un percorso, fatto di persone, esperienze, dolori e gioie di cui è riuscito a fare tesoro. Si tratta di una ricerca lunga, difficile e creativa che si riassume in quadro compiuto in cinque minuti. Gli ultimi “cinque minuti” sono solo la punta dell’iceberg. Sotto la superficie, si muove il desiderio di cambiare e crescere imparando dalle proprie esperienze con l’altrettanta enorme capacità di metterle a frutto. Premessa 2. La possibilità di creare soluzioni efficaci, di relazionarsi con gli altri e di prender decisioni è qualcosa che dovrebbe riguardare tutti, in qualsiasi campo si svolga la propria azione. Dall’uso manifesto, a volte sommario e superfluo, della propria opinione fino all’attività politica da parte degli amministratori. Ciò che fa la differenza, anche nelle attività e nell’uso della parola come della “politica”, è la composizione delle esperienze che a sua volta deriva dall’approfondimento e dalla conoscenza, diretta o indiretta, di un certo argomento. Nel caso degli amministratori c’è l’estrinsecazione di un’opera che, adesso, per quanto dignitosa non risponde alla qualità di cui in un mondo complesso abbiamo bisogno sull’isola. Delano Roosevelt confermava:“Non succede nulla per caso, in politica. Se accade, potete scommettere che è stato progettato per accadere in quel modo”.
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci