LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «(Fare) Turismo, sistema culturale da cambiare»

Come esistono i buoni imprenditori – sì, perché qualcuno esiste a Ischia sebbene siano ancora pochi gli esempi virtuosi, oscurati per lo più dalle brutte pratiche diffuse – e buoni lavoratori, così per questi ultimi, come necessariamente per i primi, si possono suggerire una serie di critiche facendo chiaramente i dovuti distinguo e attribuendo la responsabilità delle condizioni in cui è stato ridotto il sistema turistico di quest’isola al 50%, tanto ai primi quanto ai secondi. E per non scontentare chi delle attività alberghiere, che ha fondato o ereditato, come per i bar e i ristoranti, etc., ha fatto il proprio cavallo di battaglia nel turismo investendo grosse somme o accendendo mutui per tenerne in piedi il sogno focalizzato alla ricerca della qualità e nel migliorare il modo di intercettarne i flussi, è bene ricordare – e ripetere – una cosa.

Accanto alla deficienza mostrata forse più negli anni passati, da parte di quei lavoratori stagionali che pur di non perdere la disoccupazione dopo i sei mesi canonici di lavoro, si facevano assumere in nero nel periodo invernale, a volte nella stessa attività per contribuire alla sua manutenzione – oggi forse si tratta di un fenomeno sporadicamente presente – c’è da fare una considerazione che si fonda sulla (voluta) ricerca di una qualità – del turismo – mediocre. Sapevamo da mesi che il “flusso di prossimità” avrebbe vinto su quello internazionale, presente anche sull’isola certo, ma in tono minore rispetto a Capri o alla Costiera Amalfitana o quella Sorrentina e ciò avrebbe dovuto farci drizzare i peli sotto le ascelle. In questi due mesi di ripartenza della stagione turistica compromessa non sono mancate le lamentele, a ragione, sulla carovana di orchi sbarcata sulle coste ischitane. Alcuni, armati di reti e materassi prêt-à-porter, solo per assediare il periodo di liberazione dopo l’ibernazione provocata dal Covid, oggi tengono in ostaggio persone e strade fino al mattino dopo la lauta ricompensa dello svago notturno in cui non è raro vederli cimentarsi in gare per rompere vasi e piante, posti a ornamento sulle strade, o ululare alla Luna nella più completa assenza di pattuglie di vigili. L’invisibile linea rossa di “vasci” è stata l’obiettivo principale dell’esercito di Mordor, simbolo di un turismo che non avremmo voluto più vedere ma che invece parrebbe intensificato dopo il periodo di lockdown. Con i turni già pronti per impossessarsi degli sparuti posti letto nelle casupole messe a disposizione da consapevoli residenti, e concedersi una buona dormita durante il giorno dopo le scorribande notturne, l’orda ha invaso questo posto, la sua tranquillità (sempre se ne ha avuta una), i panorami, l’ambiente terrestre e quello marino che nella sua totalità è ancora definito “paradisiaco” da chi sostiene di coglierne i suoi lati nascosti.

Quando scopriremo che i matrimoni tra residenti, che offrono caverne per un tozzo di migliaia di euro, e le truppe di Sauron rappresentano la regola da anni e se avviene lo sposalizio a spirale discendente, la ragione è da indagare nel fatto che non abbiamo ancora sviluppato il senso più profondo della parola “turismo”. E fino a quando non saremo disposti al piccolo sforzo richiesto per alzare l’asticella alla ricerca di una qualità migliore – e dei prezzi – per trasformarci da fognatura a cielo aperto, luogo notoriamente accogliente per ratti e scarafaggi, a località turistica di livello, come si dice in gergo, per smetterla di soffocare deliziosamente nei nostri stessi rifiuti come nelle peggiori favelas, di certo non usciremo dal sistema fognario che abbiamo creato ed elevato a norma pur di accontentarci di qualsiasi cosa. Il risveglio da questa moda, che poi in fin dei conti – anche quelli che contano euro – è frutto di un egoismo che fa dell’erosione dell’interesse collettivo la sua attività principale pure per l’assenza di regole, forse all’inizio avrà un sapore amarissimo ma reale. E scopriremo, paradossalmente, che più saremo in grado di diventare un paese «civile» tanto più saremo capaci di pretendere un flusso di élite al posto della massa di barbari. Quella stessa massa che è perfettamente rappresentata nei fine settimana da quel turismo inutile, composto di barche, gommoni e piccoli yacht ormeggiati nelle baie dei Maronti e Cartaromana, di fronte alla spiaggia delle monache a Lacco Ameno fino a quella di San Montano, mentre centauri in sella a moto d’acqua s’impegnano a fare lo slalom tra i condomini del mare a pochi metri dalla costa che non portano nulla al territorio. Complice l’assenza di regole certe di un’Area Marina protetta invisibile e la mancanza di un parco boe da disporre e vendere sul mercato anche solo per usufruire dello specchio d’acqua per farsi un bagno. Che non si può negare a nessuno, è chiaro, ma neppure si può lasciare alle truppe d’assalto della domenica la completa libertà di deturpare il territorio senza un eventuale contenimento che solo la selezione all’origine ci può garantire. Comprenderemo una verità innominabile: che più tenderemo all’evoluzione turistica per migliorare il (nostro) prodotto, più sarà normale la ricerca di una qualità superiore con servizi dello stesso livello e conseguente diminuzione dello sbarco di persone che fanno di qualsiasi comportamento civile l’acqua santa da cui allontanarsi per evitare ogni contaminazione da parte del buon senso, pure quello civico. Circa due anni fa l’ing. Giuseppe Arturo lanciò una piattaforma (lavoroischia.it),utilizzata anche per incrociare domanda e offerta di lavoro, per promuovere corsi di formazione sia per dipendenti sia per gli imprenditori, specie quelli alberghieri. Le lezioni sarebbero state tenute da docenti riconosciuti a livello internazionale. Una notiziola, è d’obbligo: sembrerà strano ma la formazione si paga e se si vuole migliorare il servizio, per aumentarne la qualità, qualche investimento bisogna metterlo in conto. Pur presentando pacchetti formativi dal basso costo e con sconti per entrambe le categorie, l’ing. Arturo pensando che fosse quello il modo migliore per integrare le competenze oltre che ampliarle e contribuire così a coltivare il seme di una cultura del turismo differente, è stato completamente snobbato dal corpus imprenditoriale. Alcuni albergatori, sentito il costo dei corsi, notevolmente sotto soglia rispetto ad altri simili adottati in altri Paesi, si scoprivano convinti che della formazione non solo non avevano bisogno ma di quella in cui c’era da sborsare dei soldi ancora meno. Nel tempo addirittura si erano scoperti chi esperti di marketing, chi social media manager grazie alle conoscenze basiche per accendere un computer e sponsorizzare la struttura sul social, chi perfettamente convinto di utilizzare le potenzialità dei propri dipendenti. I quali, ormai, con l’esperienza, secondo loro, erano arrivati a conoscere tutto lo scibile dell’ospitalità e dell’accoglienza, in particolare di quella low cost. Inutile dire che se i corsi di formazione fossero stati gratis, gli avrebbero fatto la gentilezza di parteciparvi. Anche perché in quel caso sarebbe stata una scortesia lasciargli i posti vuoti.

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