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«Caffè Scorretto» «La facciamo una bella impresa?»

Premessa 1. Ciò di cui abbiamo bisogno, adesso più che mai, è unione. Quella che i nostri sindaci hanno dimenticato – pur vivendo in un territorio che è “unicum” nel suo genere- e che troppe volte fanno finta di considerare nei dibattiti, posto che la “classe dirigente” abbia raggiunto la consapevolezza che è necessaria una piattaforma “comune” per aggredire le emergenze e trasformare la crisi in una svolta costruttiva. Il clima è di quelli particolari e dichiarazioni di questo tipo ne senti a fiumi come lo spumante in offerta nei giorni di festa. Ne abbiamo ascoltate di dichiarazioni d’intenti anche alla premiazione della settimana scorsa, al bar Calise di Ischia. Alcuni dipendenti, dopo aver lavorato in un albergo per 30 o 40 anni, in qualche caso pure mezzo secolo, hanno ricevuto una cesta e un papello come ringraziamento. Bellissimo, tutto. Per evitare però quella che è parsa la celebrazione del lavoro dipendente, non sarebbe stato meglio approfittare del momento per festeggiare un cambio di modello? Per esempio avviare il concetto di “impresa sociale” e attribuire a chi nel tempo dimostra particolari meriti nell’impresa, che in alcuni casi è una seconda famiglia, delle quote di partecipazione per onorarne il suo contributo. Perché chi lavora alla costruzione dell’azienda, attraverso il lavoro, benché con quote minimali, possa assumere un ruolo diverso. In certi casi non è più “prestatore” di lavoro ma pilastro di quell’azienda che diventa casa sua. E tra l’essere “ospiti” e “proprietari”, nelle forme e nei limiti previsti, è chiaro, c’è una bella differenza.

Premessa 2. Natale amplifica l’alone di tristezza che è diffuso. Una sua diapositiva sono stati gli appelli a non comprare su Amazon per favorire il commercio isolano o la gestione del post terremoto in cui il problema abbiamo detto che sarebbe diventato delle persone colpite dal sisma, e così è stato. Tutto ciò è diventato normalità, una normalità assordante. Nessun rappresentante delle Istituzioni con un minimo di autorevolezza – lo so, trovarlo è difficile – poi è capace di rompere il silenzio che avvolge lo sfruttamento del lavoro e dei lavoratori, clientele e favori a basso prezzo negli alberghi. In cui spesso con il lavoro “straordinario” dei dipendenti, non retribuito, si tenta di recuperare i costi di gestione e la svendita a 20 euro delle camere nella struttura. A questo proposito Luca D’Ambra, persona capace, insieme al direttivo di Federalberghi, potrebbe far sua una proposta che feci qualche tempo fa. Vale a dire realizzare una policy, un regolamento ispiratore di comportamenti, in grado tra le altre cose di tutelare la persona e prevedere i limiti minimi da rispettare per le strutture, personale compreso, allo scopo di aumentare gli standard degli alberghi parte dell’associazione. Come a voler affermare “noi sotto a questa soglia non scendiamo, perché noi siamo Ischia!”. E dentro il regolamento potrebbe trovar posto anche la forbice di prezzo, minima e massima, sotto alla quale non è possibile andare e fermare la becera svendita delle camere per piazzarle sul mercato a 20 euro. Discorso simile va fatto nei supermercati o in altri luoghi di lavoro e per la tutela delle fasce più deboli. Premessa 3. La politica, intanto assente, invece guarda al mercato rionale e al proprio orto e non al campo enorme da seminare. Tutto ciò somiglia più a uno «Stato onirico» che a uno «Stato di diritto». Prevale lo scollamento dalla realtà e l’immaginazione di ciò che ci piacerebbe fare, invece di farlo, occupa il posto lasciato vacante dalla frattura. Siamo un non luogo dove succede tutto e il contrario di tutto, dove la regola non regola e la politica non politica. In cui buon senso, pudore e competenza, specie nelle amministrazioni, restano appannati da una discutibile fotografia che si nutre dell’idea dell’isola che vorremmo, e non raggiungiamo, e di un criticabile «bene del paese». Trasformare una “croce” in “delizia”, si può. Basta solo un po’ di voglia, desiderio, visione e creatività e nessuno che ti metta i bastoni tra le ruote. Per favore chi non ha tali caratteristiche, e neppure le ruote, può ammetterlo e farsi da parte. Non lo criticherà nessuno. Anzi potrebbe prendersi almeno 92 minuti di applausi per aver ammesso i propri limiti. Questo discorso non esclude gli imprenditori, specie quelli che snobbano la formazione e la necessità di sviluppare nuovi modelli. Non sto dicendo che siamo circondati soltanto da incapaci anzi sono ancora molti gli operatori lungimiranti e nel frattempo a loro dovremmo consegnare un premio. All’opposto nessuno dei sei sindaci (perdoniamo a noi stessi, la colpa è nostra se a prevalere sono sei visioni, e divisioni, diverse) ha modo di confrontarsi con quell’universo rappresentato dalla “cultura”. Quella unitaria del territorio, dell’economia, della società, della comunicazione e del marketing. Non trovi nessuno che sia disposto ad ammettere la propria incapacità e i limiti a capire certi passaggi. Tutti sono più bravi degli altri. Certi statisti nelle amministrazioni poi quando sentono pronunciare la parola “cultura” cominciano a roteare la testa come l’indemoniata de «l’esorcista». Per riprendersi dalla sospensione neuro attiva, vomitano discorsi strani sulla necessità che è arrivato il momento di riprendere a fare politica, insieme, con gli altri comuni. Senza però far niente in concreto. Finora solo dichiarazioni ma, sindaci, quando e che cosa farete nei prossimi 50 giorni o nei prossimi sei mesi? Nessuno lo sa. Nessuno che voglia assumere un impegno. Ci spiegano poi alcuni luminari dell’economia che hanno affittato una stanza nelle case comunali, affiancando gli albergatori che svendono le proprie a 20 euro, a causa di certe congiunture astrali ed economiche che hanno travolto l’isola, oggi è difficile cambiare il modo di fare le cose. D’accordo ma provateci almeno. A Enzo Ferrandino va dato atto che parte della sua azione va in questa direzione ma per il resto valgono i discorsi, sempre gli stessi, sulla possibilità solo pensata di creare lavoro o cambiare marcia o modello. Chiamatelo come volete. Di discorsi se ne fanno pure troppi – e io, perdonate la presunzione, forse sono tra chi contribuisce alla vacuità della forma – ma ciò che manca è l’azione. Nei corsi di formazione aziendali, e non solo in quelli per la verità, ricorre spesso un concetto. «La visione senza l’azione è un sogno. L’azione senza la visione è un incubo», si trova sulle lavagnette luminose per fissarlo bene a mente. E in periodo natalizio, in cui le luminarie per le vie dell’isola assieme ai soldi spesi, sono state lo sport preferito degli addetti al decoro comunale nelle feste (lasciando da parte intrecci e favori ad amici e parenti), di luci ce n’è per far brillare e piantare nei neuroni questo mantra. Anche parecchie.

Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci

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