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«Caffè Scorretto» «Qualche consiglio per lasciare la gabbia (e il silenzio cui si è costretti per lavorare)»

Abbiamo capito che regalare idee che rientrano nella più ampia gamma delle attività intellettuali, scritte oppure scambiate in dibattiti in forma orale, sull’isola, non serve a granché. A quanto sembra non è utile, e non lo è per niente infatti, suggerire una soluzione – insomma: una tra le possibilità percorribili – che so, del traffico o sui servizi in generale. Tanto la massa partizionata tra amministratori come la gran parte dell’opinione pubblica ischitana continuerà a comportarsi come è abituata da decenni. E per non entrare in ansia di fronte all’occasione di risolvere una o più cose resteranno indifferenti e inermi. Anzi, non è strano che proprio sul promotore di idee “suggerite” e diverse dal solito ci si scagli con accuse di vario tipo. Per esempio, tra i capi d’imputazione potrebbe trovare luogo quello sull’avere troppo tempo inutile a disposizione che l’apportatore di spunti di turno potrebbe usare per mettere in ordine la sua nicchia di neuroni con il fine di tirar fuori dal cilindro qualcosa che non sia il solito coniglio all’ischitana. Posso dire che ci sono persone alle quali proprio a causa dell’uso, val bene rilevare, a volte eccessivo della propria capacità neuronale si può diagnosticare una specie di disturbo congenito, usato nel tentativo quasi mai riuscito di compensare la deficienza individuale o collettiva. Tale patologia di norma si sagoma in un sistema che ha il compito preciso, quasi chirurgico, di rigettare tutto ciò che sia capace di sconvolgere le abitudini costitutive di ognuno e assume perciò un’attività irriconoscibile da espellere da parte di chi non è allenato a ragionare in modo e forma diversi. Questa è la regola grazie alla quale si esprime l’orda di oppositori, contraria a ogni tentativo di modifica dello status quo isolano. Ed ecco che il suggeritore diventa una povera mente in grado solo di sputare sentenze e critiche a questo o a quello. Senza che, questo o quello, siano capaci di spingersi oltre il rimprovero e farsi due domande. O anche una basterebbe. Prendete il lavoro sull’isola, com’è svolto o è trattata una grande fetta di lavoratori dipendenti. Uno dei quesiti, su tutti, potrebbe riguardare se con questo regolamento cui sono sottoposti – ormai ottenere il massimo rendimento al minimo dei costi lo abbiamo assorbito e neanche ci facciamo più caso – l’isola e il suo tessuto economico produttivo possono continuare a sostenere il carico dell’immobilismo e la mancata presa di posizione per la tutela dei diritti dei lavoratori anche da parte di chi è deputato al governo del territorio. Per continuare l’esempio prendiamo gli impiegati nelle strutture ricettive o nel terzo settore. La questione di Villa Mercede, in cui i lavoratori non erano retribuiti da otto mesi, in questi giorni si potrebbe dire risolta. L’effetto e il risultato positivo, mi piace porlo l’accento su quest’aspetto, è stato determinato, oltre i processi e le sentenze, dalle grida di chi ha minacciato lo sciopero della fame e di lasciarsi morire perché da mesi era stata mortificata la sua dignità di persona. Il discorso può ampliarsi ad altre categorie e ad altre dimensioni. Spesso le persone ricorrono alla giustizia per vedere tutelati i propri diritti. Non sono pochi quelli che si rivolgono al tribunale del lavoro, anche se detto fra i denti nessuno ci crede poi tanto, e solo dopo aver percorso le strade praticabili senza successo. Quanti restano invece in silenzio per non perdere l’occupazione in albergo o in ristorante o per evitare di farsi nemici tra la gente (sappiamo perché: chi fa causa al datore di lavoro rischia la gogna in pubblica piazza) o per non perdere l’unica fonte di sostentamento? Quanti sull’isola vedono come irraggiungibile la retribuzione del proprio lavoro straordinario – superando il monte ore giornaliero e settimanale – e con quello, intanto, l’albergatore Tizio recupera i costi di gestione e si permette, perciò, di sostenere la vendita di camere nella sua struttura a venti euro? E che dire poi di quei sindacati, o dei loro rappresentanti, che da un lato tutelano – si fa per dire – i lavoratori mentre dall’altro strizzano l’occhio al proprietario della struttura balneo termale (così, per dire) che trattiene una parte della liquidazione a fine stagione quale “credito” per dare modo al dipendente di potervi ritornare l’anno successivo, perché se la ritirasse rischierebbe di non lavorare? Oppure che cosa si può dire di quelli che inviano la retribuzione mediante bonifico al dipendente, salvo poi chiedergli la restituzione di una parte – in contanti – per evitare di far saltare la regola che, intanto, tutto deve restare scritto e tracciato? Quest’isola è l’emblema di una categoria umana salottiera e velleitaria. Capace di inorgoglirsi per una foto di un tramonto dal Soccorso a Forio e di restare totalmente indifferente di fronte alle macerie sociali che nessuno si è mai sognato di rimuovere. Ischia, alla fine, è bella anche per questo. Non credete?

Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci

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