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Sogni, graffiti, il richiamo delle radici e della strada: a Forio l’arte urbana di Umberto KOSO Lodigiani

Gianluca Castagna | Forio Osservare, ascoltare, approfondire una cultura, sentire le sue vibrazioni, viverne lo spirito più autentico. Spingersi oltre la propria zona di riferimento per arricchire il proprio sguardo di ogni possibile forma, colore, prospettiva e poi ritornare alle radici della propria arte con una consapevolezza e una maturità diverse.
Sono pochi i writers presenti sulla scena dell’arte urbana che possono vantare più di 20 anni di carriera e, pur rimanendo fedeli a un taglio personale, coltivano ancora una salutare condizione di sperimentazione continua. Umberto KOSO Lodigiani è uno di questi. Le sue tele sono ispirate dai graffiti, dall’arte metropolitana e dall’ambiente che lo circonda e da cui proviene.
Come post-graffittista si pone come obiettivo di trasferire dal muro alla tela i propri elaborati, modificando il concetto da arte pubblica ad arte privata. I soggetti subiscono mutazioni e si adattano ai nuovi spazi, le lettere non spariscono ma si celano dietro forme nuove.

Come quelle finite nella personale “Brush’s Dreams”, in mostra alla Galleria Ischia Street Art di Salvatore Iacono a Forio, in pieno centro storico nell’ambito del festival internazionale ARTECO ambiente & inquinamento vol.1, organizzato e coordinato da Ischia Street Art.
Brush, personaggio variopinto e pittoresco, è al centro di elaborati colorati, dalle geometrie non convenzionali e dalla elevata cura del tratto. Vere e proprie proiezioni di scene del vissuto nel mondo di sogni, dove si mescolano citazioni di personaggi veri e irreali, fantastici e provenienti dal mondo dei cartoon, dei fumetti e del cinema.
I lavori di Umberto KOSO Lodigiani comprendono anche commissioni pubbliche e private con direttive specifiche. Alcuni dei brand coi quali ha collaborato sono: Tim, Ceres, Eastpak, Converse, Camel, Adidas. Inoltre l’artista partenopeo collabora con diverse associazioni locali tenendo corsi e laboratori di graffiti e spray art per minori. Come è avvenuto nei mesi scorsi all’IC “Vincenzo Mennella” di Lacco Ameno.

Come e quando nasce Umberto KOSO Lodigiani?
Umberto nasce nel 1982 a Napoli; KOSO, l’artista, nel 1997. Vent’anni fa Internet non era poi così diffuso, si socializzava in strada, si conoscevano i graffiti perché si tramandavano. Nel mio quartiere c’era un gruppo di ragazzi che cominciava a esprimersi attraverso questa forma di arte urbana. Mi sono unito a loro e, crescendo e confrontandomi, è aumentata la passione. Oggi sono uno dei pochi di quel gruppo che ha continuato.
Di cosa si nutre, o si è nutrito, il suo immaginario?
Da tutto ciò che mi circonda, chiaramente visti in modo particolare. Ogni cosa può essere interessante se osservata in una certa maniera. Mi piace viaggiare, amo i luoghi esotici, i colori della natura che cerco di carpire nella loro purezza, visto che qui li abbiamo “sporcati” con i colori della città. Al di là dell’influenza cromatica, ci vuole un forte spirito di osservazione per catturare anche una sfumatura particolare. Di forma e non solo di colore.
C’è una tecnica che predilige?
Spray e mano libera per i graffiti. Sulle tele sto mixando varie tecniche, dal pennello alla tempera, allo squeeze, ma anche spray.
Il passaggio dalla strada alle gallerie. Com’è cambiato il modo di lavorare?
Agli inizi c’erano poche regole scritte, nemmeno così rigide, quindi ci si divertiva di più. Poi si comincia a capire la differenza tra pubblico e privato, tra legale e clandestinità. Nasco come writer da treno; lavorando con le municipalità del territorio, le associazioni e vari brand, ho avuto la possibilità di disegnare più serenamente, perché è tutto legale. Dopo il 2010, a seguito dell’esperienza americana, ho assimilato un’anima diversa dei graffiti, lettere con un proprio flow, incastri, 3D e sono un po’ tornato a quelle che sono le radici. E le ho valorizzate. Ho ripreso in mane le basi dei graffiti, della pop art, che oggi caratterizzano anche i mie lavori su tela. Back to the style.

E’ ancora importante la componente rapinosa, illegale della Street Art o si tratta di un appeal in qualche modo superato?
La Street Art è un’espressione troppo generica. Certo, il graffito nasce come illegale, c’era (e c’è) l’esigenza di farsi pubblicità, ad esempio, su un treno che passa perché c’è più gente che legge. Anche le multinazionali lo fanno. Ma loro possono pagare, un giovane artista no.
L’America è ancora l’Eldorado della Street Art oppure è una mitologia appannata?
Oggi il mood è molto più underground. Un’esperienza americana è sempre molto formativa per ogni writer. C’è da dire però che certi posti, quando si vedono da vicino, non sono come ti aspettavi. New York è una citta bellissima, mi piace un sacco e a breve ci ritornerò, ma presenta aspetti molto lontani dalla sua mitologia più spettacolare, che non emergono quasi mai da quanto che ci propinano i mass media.
Cosa ha selezionato con Salvatore Iacono per questa Mostra a Forio?
E’ una linea nuova, che si chiama “Brush’s Dreams”, i sogni di Brush. Un personaggio inventato, il manichino di un bambino decorato con questi pattern e collage di immagini che sto usando in questo periodo sulle mie tele. Piccole e grandi dimensioni, forme anche circolari. Nei suoi sogni Brush immagina scene e incontri surreali o improbabili, momenti dell’immaginario e realtà contraddittorie. Esattamente come nei sogni, dove coesistono personaggi immaginari, persone reali o di epoche diverse, tutte riunite in un solo contesto, quasi come un collage di ricordi.
Perché un bambino? Solo ai bambini è rimasta la facoltà di sognare?
Tutti possiamo sognare, ma a farlo è la nostra parte più infantile. Quella meno contaminata.

All’IC V. Mennella ha realizzato un murale figurativo.
Solitamente un intervento urbano risponde a un’esigenza, con delle regole anche diverse. Sono due mondi che cerco di far convivere. Più che i personaggi in sè, Bud Spencer e Terence Hill, mi interessava una coppia, richiesta dal metraggio del muro a disposizione, ne ho valutate diverse e alla fine ho scelto questa per una questione anche estetica, di forme.
E’ un murale che sostituisce un altro che c’era prima, L’araba fenice del suo amico e collega Zeus 40. Il carattere effimero della Street Art è pacificamente accettato dai writers?
Sì e no. Quando si è grandi, si sa bene che nel momento in cui vai a coprire un altro disegno, ci sarà qualcun altro che un giorno coprirà il tuo. Io appartengo alla X Municipalità di Napoli, ho le delibere per dipingere sulle superfici, e a differenza di altri posti in Italia, dove i colleghi hanno dei muri in esclusiva, qui possono dipingere tutti. Fa parte del gioco. Certo una buona regola sarebbe intervenire sui disegni più vecchi. Un criterio cronologico, quindi.
Mai successo di ricevere una reazione negativa a un murale? Come si reagisce?
Dipende. Spesso le reazioni negative sono dettate dall’ignoranza. A volte mi è capitato, durante la lavorazione, che qualcuno mi abbia criticato. Non mi sono scomposto più di tanto. Va detto che, nei confronti dello stesso murale, ci sono critiche negative e altrettante positive, di grande incoraggiamento.
Il luogo più incredibile dove ha dipinto.
New York e Los Angeles, soprattutto per l’energia. Anche Valencia è stata una destinazione interessante. Presto andrò a Lisbona. Come superfici, mi piacerebbe ancora dipingere sui treni: a Tuff city, New York, hanno messo un treno a disposizione degli artisti che vogliono andare a decorarlo.

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Umberto Lodigiani è mai entrato in conflitto con KOSO?
No. Infatti ora mi chiamo Umberto KOSO Lodigiani perché è un tutt’uno, non ci sono più conflitti. Mi espongo in maniera più personale e professionale perché non ho più bisogno di nascondermi dietro uno pseudonimo.
La cosa più bella della Street Art.
La libertà di potersi esprimere, anche se personalmente penso, come per la libertà individuale, termini dove si intacca quella degli altri. Quando vado a fare un’opera come quella realizzata nel campetto della scuola di Lacco Ameno, mi pongo sempre il problema dei fruitori del murale. Posso scegliere se fare un soggetto più divertente o più violento: in questo caso ho scelto un tema leggero, figure anche molto simpatiche e popolari, volevo regalare ai bambini di questa scuola anche qualche sorriso dopo una giornata di studio. Temi o raffigurazioni più violente le riservo per un’altra situazione.
Non è una sorta di autocensura?
No. E’ fare la scelta adatta. La differenza tra opera pubblica e opera privata è questa: sulla tela faccio quello che voglio, se ti piace la compri, la metti a casa tua e te la vivi. Nel momento in cui fai un’opera in strada, si chiama decoro urbano, quindi devi necessariamente fare i conti con i fruitori dell’opera. Altrimenti resta solo un gesto di protesta, una provocazione. Che è un’altra cosa.
Mi dica quando un intervento urbano è un buon intervento.
Quando la gente di quel posto lo sente proprio e se lo vive.

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