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Fermate in extremis le ruspe alla Scannella

La Corte d’Appello ha sospeso la demolizione di un’abitazione a Forio, inizialmente fissata al 7 giugno. Accolta l’istanza dell’avvocato Sabrina Miragliuolo

Sventata in extremis una nuova demolizione a Forio. Nella giornata di ieri la Prima Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’istanza dell’avvocato Sabrina Miragliuolo, la quale aveva presentato un incidente di esecuzione per chiedere la sospensione dell’abbattimento di una casa a Forio nei pressi della località Scannella, prevista per il 7 giugno.

Si tratta di un’abitazione per la quale era stata presentata istanza di sanatoria ai sensi della legge 724 del 1994, con un iter ormai prossimo alla conclusione, eppure la Procura non intendeva aspettare la fine della procedura che con tutta probabilità potrebbe essere coronata dal rilascio del titolo in sanatoria: l’ingiunzione aveva fissato infatti a lunedì prossimo l’inizio delle operazioni di abbattimento, con un copione ormai ben noto, che nelle scorse settimane si è ripetuto nella stessa Forio ai danni della famiglia di Domenico De Siano e a Procida contro l’abitazione della famiglia Ambrosino. Un copione drammatico, se si considera che la famiglia che abita nella casa gravata dall’ordine di demolizione vive una famiglia che tuttora non ha alcuna alternativa abitativa, nel bel mezzo di un periodo critico sia sotto il profilo socio-economico che sotto il profilo sanitario. Tuttavia stavolta i picconi e le ruspe sono state bloccate. Con un articolato incidente di esecuzione l’avvocato Sabrina Miragliuolo, legale di fiducia della famiglia foriana, è riuscita a ottenere la sospensione dell’ingiunzione per alcuni mesi: un arco di tempo che potrebbe consentire all’iter dell’istanza di sanatoria di essere completata, fino a ottenere il sospirato titolo abilitativo.

Nel provvedimento della Corte d’Appello si legge che l’istanza di sospensione va accolta, tenuto conto che «sussiste la concreta possibilità che il procedimento amministrativo di sanatoria vada a buon fine e, di conseguenza, appare opportuno in ossequio alla istanza della difesa, sospendere l’ordine di demolizione conseguente all’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi derivante dalla sentenza di condanna per i reati paesaggistici» e tenuto conto anche della «circostanza che l’opera abusiva oggetto dell’istanza di condono – ossia quella relativa al modesto volume complessivo di mc 220 – costituisce l’abituale abitazione del numeroso nucleo familiare dell’istante, godente di un modestissimo reddito ed avente cagionevoli condizioni di salute che, in ogni caso, si attivava tempestivamente per ottenere la sanatoria delle opere, non potendosi allo stesso imputare i ritardi dell’autorità amministrativa».

Secondo i giudici «sussiste la concreta possibilità che il procedimento amministrativo di sanatoria vada a buon fine e, di conseguenza, appare opportuno in ossequio alla istanza della difesa, sospendere l’ordine di demolizione»

Dunque, la Corte ha mostrato di tenere nel debito conto sia l’aspetto amministrativo della procedura sia quello più squisitamente umano. Fra l’altro nella propria istanza l’avvocato Miragliuolo aveva anche evidenziato che la demolizione dell’immobile si sarebbe tradotta in una “repressione della dignità del più debole e in un pregiudizio irreparabile, sia per lo stato di salute dell’esecutato, sia per le condizioni economiche e familiari oggettivamente ostative al reperimento di un alloggio diverso da quello colpito dall’ordine di ripristino dello stato dei luoghi”.

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La professionista non aveva mancato di sottolineare che il tutto va inquadrato nell’attuale periodo caratterizzato dall’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia da covid-19, ma anche alla luce delle misure restrittive che ricorrentemente incoraggiano l’isolamento domiciliare: circostanze in cui la propria abitazione, seppure edificata sine titulo, costituisce un vero e proprio presidio sanitario. Non solo: l’avvocato Miragliuolo ha richiamato un principio che va progressivamente affermandosi: le autorità italiane e l’autorità giudiziaria, astenendosi per oltre ventitré anni dal prendere le misure necessarie per eseguire la decisione giudiziaria divenuta definitiva ed esecutiva, senza dubbio hanno privato di ogni effetto il contenuto dell’articolo 6, primo comma, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui “ogni persona ha diritto a che la sua causa venga esaminata.. entro un termine ragionevole”. Non c’è dubbio – ha argomentato l’avvocato – che l’inerzia mostrata per decenni abbia creato nel condannato la legittima aspettativa di vedersi riconosciuto il diritto di rimanere nella sua unica abitazione. Adesso le speranze della famiglia foriana poggiano sull’auspicata celerità burocratica, per riuscire a giungere alla prossima udienza in cui sarà riesaminato il caso con il sospirato permesso in sanatoria, e cercare così di uscire dall’incubo delle ruspe, che stavolta sono rimaste silenti.

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