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ECCO I CARCIOFI COLTIVATI A ISCHIA PER AMORE DELLA TERRA SOLO UN RICORDO LE CARCIOFAIE DELLA SIENA E DEL PONTANO

Si vedono sui banchi dei fruttivendoli i primi carciofi. Segno è che ormai siamo entrati nella stagione dei prodotti buoni della nostra amata terra isolana. Le origini dei carciofi coltivati nelle campagne della nostra isola, si perdono nelle notte dei tempi. La pianta, come si capisce, è secolare, passata di civiltà in civiltà. Nell’antichità, i greci e i romani ne facevano ampio utilizzo e consumo per piatti particolari, improntati ad un certo tipo di cucina con l’ortaggio spesso curato negli orti di casa propria, oltre che nelle distese di terreni delle grandi proprietà private. I carciofi fanno parte a pieno titolo, della tradizione ortofrutticola isolana e fra gli ortaggi più coltivati, ha ricoperto sempre un ruolo da dominatore, mai superato dalla varietà delle tante verdure in coltivazione nei nostri orti privati e terreni a coltivazione generale. Solo  la verza ed il cavolfiore  in parte gli tengono testa. In pratica il carciofo è una pianta perenne, quindi la sua coltivazione avviene nell’arco di più anni, nella stessa aiuola, che viene detta carciofaia. Una carciofaia può produrre carciofi di buone dimensioni per alcuni anni, fino a 5-7, quindi va completamente rinnovata, possibilmente in una nuova posizione dell’orto. Le piante di carciofo producono naturalmente nuovi germogli, che vengono periodicamente rimossi e piantati in altro luogo, per dare origine ad una nuova carciofaia, che con il tempo andrà a sostituire la precedente. I campi di coltivazione sull’isola hanno prodotto carciofi di straordinaria qualità, tenendo conto  del primo germoglio con fiore appariscente e decorativo, del colore, formato e tenuta di tronco. Nessun contadino ischitano, ha mai usato in passato il termine carciofaia per individuare lo spazio nel proprio terreno per segnarvi i solchi entro i quali far fiorire le piante di carciofo a foglie lunghe e larghe, dal loro tipico colore grigiastro. Oggi, nella visione moderna della vita campestre, è stata aggiornata la terminologia e rivedute le pratiche di intervento nella cura dei terreni ed in ciò che in essi si coltiva. Esempi forti di terreni coltivati a viti, pomodori ed in particolare carciofi, sul territorio dell’isola d’Ischia  degli anni ’40, ’50 e ’60, vengono dalla tenuta di Campotese a Panza nel Comune di Forio, dalle “parule” di San Ciro a Porto d’Ischia  nella vecchia spianata dei terreni oggi occupati dagli  edifici delle Nuove Terme Comunali e del Grand Hotel Re Ferdinando (ex Jolly), dal grande orto della Siena a Ischia Ponte, oggi scomparso per far posto al costruendo nuovo parcheggio pubblico, dal grande orto del Pontano nell’omonima strada a Ischia Ponte presso la Mandra, dai terreni a terrazze lungo la Borbonica fra Casamicciola e Forio, dai terreni delle chianole a Barano e dagli orti di Buonopane. Località queste in cui tempo fa, le carciofaie, erano curate e seguite lungo tutto il periodo del loro evolversi, dal fiore di carciofo al carciofo stesso bello, maturo e presentabile, riuscivano da sole a soddisfare le richieste dei consumatori locali. Poi il lento declino per la scomparsa dei terreni di coltivazione e degli stessi coltivatori passati a nuovi mestieri. Però la coltivazione dei carciofi a Ischia non è sparita dal tutto. L’avvento dell’agriturismo in alcune località terriere dell’isola, sia pur in parte,  ha rilanciato l’agricoltura isolana riproponendo una serie di prodotti della natura che sembravano davvero scomparsi. Il carciofo è uno di questi, e laddove lo si coltiva, lo si fa con una

cura, oseremmo dire, addirittura maniacale. Alla esperienza ed alla buona pratica, si aggiunge la passione  che anima alcuni ritrovati lavoratori della terra della nostra isola, un tempo fiorente per ciò che le sue campagne riuscivano a dare. Pertanto, se il carciofo è rimasto ancora uno dei maggiori simboli delle nostre coltivazioni, significa che residui di carciofaie  arricchiscono ancora determinati terreni e orti privati degli ischitani di tutta l’isola insieme alla vicina Procida, dove per la verità, la cultura del carciofo resiste alla tradizione ed alla passione di vederlo fiorire e crescere. Infatti a Procida si coltiva un carciofo del tipo romanesco, che produce capolini primari di grosse dimensioni e di forma globosa, verde chiaro con venature violacee e capolini secondari di dimensioni inferiori e di colore più tendente al viola. La pianta è rustica e molto vigorosa, in grado di produrre capolini anche del terzo, quarto e quinto ordine. Oltre che fresco, il carciofo di Procida viene commercializzato anche confezionato artigianalmente sott’olio secondo un’antica ricetta locale. Le giovani piante vanno annaffiate all’impianto, in modo che radichino bene, quindi si lascia che la pianta vada in riposo vegetativo, durante l’estate. Le annaffiature e le concimazioni riprenderanno in autunno, quando il clima fresco e umido permetterà alle piante di ricominciare a germogliare e produrre foglie. La raccolta dei carciofi si pratica a partire da febbraio-marzo, quando la pianta comincia a produrre i primi boccioli floreali, che sono la parte edibile della pianta. Marzo-aprile è il momento migliore per impiantare la carciofaia per chi la fa ex novo. Le piante hanno un ciclo vegetativo da 8 mesi a 10-15 anni, quindi bisogna predisporre una parte dell’orto che rimarrà dedicata alla carciofaia a lungo. In genere la carciofaia si rinnova continuamente perchè le piante da carciofo negli orti, anche in condizioni climatiche favorevoli, hanno un ciclo di produzione alta sui 4 anni, poi cala. Siccome si riproduce dalle piante stesse, tanto vale sostituirle ogni 4 anni con nuovi esemplari autoprodotti. Alcuni trattano la coltivazione come annuale, soprattutto al sud dove i polloni e le piantine nuove attecchiscono subito e velocemente. cardo.  carciofo che attira, meglio l’attenzione dell’ischitano, è quello che crescendo, si sviluppa a forma di solida palla. Quel tipo di carciofo maggiormente richiesto è chiamato tradizionalmente carciofo della famiglie  delle “mammarelle”.

Antonio Lubrano

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