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Caremar, il legale non ci sta: lavoratori ignorati, è assurdo

a cura dello Studio Legale Barghini

 

Prima di entrare sui profili strettamente giuridici, corre l’obbligo di invocare un principio generale di ragionevolezza – prima ancora della giurisprudenza: non è necessario essere profeti per prevedere che escludendo dall’elaborazione degli accordi aziendali i rappresentanti della maggioranza dei lavoratori non si arriverà mai da nessuna parte, e – peggio ancora – si genererà inevitabilmente la necessità di un ricorso continuo agli strumenti legali che i medesimi hanno a disposizione per far sentire la loro voce, da un lato nelle aule dei Tribunali, dove si moltiplicheranno le cause e, dall’altro, sulle banchine dei porti, dove si moltiplicheranno gli scioperi.

A nostro modesto avviso, si continuano ad ignorare i principi che regolano la materia, ed in primis il dettato della Suprema Corte secondo il quale, ferma restando l’indisponibilità assoluta da parte dei sindacati e del datore di lavoro sui diritti quesiti dei lavoratori, è pacifica la regola secondo la quale, limitatamente alle materie disponibili,  “i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorche´ non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividano l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso” (tra le tante Cass.Lav.n. 6044/2012, n.14944/2014, n.19026/2015).

Ciò significa che un ostinato rifiuto di considerare il dissenso espresso da una rilevante massa di lavoratori, rispetto ad un accordo sindacale elaborato da organizzazioni sindacali – peraltro minoritarie nella fattispecie –  è assolutamente inopportuno, poiché non potrà che provocare ulteriori momenti di lotta per il rispetto dei diritti fondamentali. Al contrario, un equilibrato e consapevole confronto, potrebbe condurre alla risoluzione definitiva dei problemi che ormai da mesi attanagliano il settore del trasporto pubblico marittimo locale.

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A questo servono le consultazioni referendarie (oculatamente previste dal legislatore) che – ovviamente – devono coinvolgere tutti i lavoratori dell’azienda e non certo gruppetti scelti ad hoc: la consultazione deve essere regolarmente proclamata e deve svolgersi in modo da consentire a tutti i lavoratori interessati di partecipare. Le procedure di consultazione sono, infatti, chiaramente delineate dalla legge e, se non rispettate, rendono inefficace qualsiasi determinazione ne consegua.

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Nel caso di specie, invece, si continua ad ignorare che almeno 95 lavoratori, gli iscritti ad un’organizzazione sindacale diversa da quelle che hanno stipulato con l’Azienda l’accordo in questione, sono accalaratamente dissenzienti con l’accordo stipulato in data 23.02 u.s., come già più volte dichiarato persino sulla stampa. E ciò senza considerare che, oltre a questi, ci sono i lavoratori che, pur non essendo iscritti ad alcun sindacato, sono altrettanto contrari.

 

Ad assistere a questa diatriba c’è, ahimè, anche il cittadino incolpevole – lavoratore pendolare, studente, turista, utente a qualsiasi titolo del cabotaggio tra le piccole isole e la terraferma –  il quale,  dopo aver auspicato che la scelta regionale di privatizzare il servizio di trasporto marittimo, recasse sensibili miglioramenti rispetto al passato, inevitabilmente si trova oggi ad  esprimere il proprio giudizio su quanto sta accadendo.

E proprio perchè questo giudizio possa essere espresso consapevolmente, come ogni stato di diritto prevede,  con una cognizione dei fatti a 360 gradi,  pare opportuno spiegare – sotto il profilo più strettamente giuridico –  perché appare condivisibile  la determinazione  di molti lavoratori Caremar ( 95 iscritti Or.s.a. e svariati altri non iscritti ad alcun sindacato )  di non accettare l’accordo stipulato dalla società con altre sigle sindacali minoritarie in data 23.02.2016, spiegando le ragioni in virtù delle quali si può pronosticare – purtroppo con buona percentuale di successo  –  che  questi lavoratori continueranno a protestare in tutte le sedi a ciò preposte e con tutti i mezzi loro consentiti dalla legge,  fino a quando non saranno ascoltate le loro ( legittime ) voci e rispettati i loro diritti.

 

Sulla disapplicazione delle sentenze del Giudice del Lavoro di Napoli, della Corte d’Appello di Napoli e – persino – della Cassazione.

Il primo aspetto critico dell’accordo de quo è la cancellazione – con un colpo di spugna – degli effetti di decine di sentenze pronunciate nelle sopra indicate sedi giudiziarie, sentenze che hanno stabilizzato definitivamente i lavoratori che ne sono usciti vittoriosi ed in virtù delle quali i medesimi e le loro famiglie, alcuni da decenni, hanno conquistato una sicurezza economica, che ha consentito loro di creare – appunto – una famiglia, stipulare il mutuo per acquistare la casa, contrarre rapporti finanziari di qualsiasi genere,  stipulare contratti di locazione, far intraprendere studi ai propri figli, curare malattie, ecc.ecc.

Il colpo di spugna emerge incontestabilmente dal richiamo all’art.18 c.c.n.l. contenuto nell’art.1 dell’accordo del 23 u.s.: (periodo d’imbarco e periodo di riposo dopo lo sbarco), il quale, inequivocabilmente, recita: “…. Gli imbarchi sono effettuati con contratti di arruolamento che vengono ripetuti ad ogni successivo imbarco. Detti imbarchi verranno effettuati con la formula del contratto di arruolamento “a tempo indeterminato” di cui all’art.18 c.c.n.l.”.Orbene, l’art.18 c.c.n.l., altrettanto inequivocabilmente recita: “Per il periodo intercorrente tra un contratto di arruolamento ed un eventuale contratto successivo non sussiste alcun rapporto di lavoro e pertanto il marittimo non è titolare di alcun diritto, né matura alcun trattamento economico e normativo”. Concetto del resto già chiaramente espresso anche all’art.14 c.c.n.l. laddove si legge: “Le parti hanno operato con la consapevolezza che il contratto di arruolamento, anche nella forma  a tempo indeterminato, che prevede l’alternanza tra periodi di impiego e di disponibilità all’impiego, una volta concluso con lo sbarco del marittimo non è fonte di ulteriori obbligazioni di natura economica e normativa”. Come si evince facilmente dal raffronto tra le norme citate,  si continua ad equivocare tra “convenzione (o contratto) di arruolamento a tempo indeterminato” e “contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, fattispecie in realtà radicalmente diverse. Ciò significa che, in base a quanto stabilito nell’accordo,  coloro i quali, pur titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato statuito dal Giudice del Lavoro,  hanno stipulato una convenzione di arruolamento a tempo indeterminato in applicazione dell’accordo sindacale, saranno sbarcati al termine del periodo ivi previsto (4 mesi)  ed il loro rapporto di lavoro si interromperà, in attesa di essere, eventualmente,  richiamati   a stipulare una nuova convenzione analoga alla precedente. E’ evidente che questa non sia affatto la dinamica del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come statuito dal Giudice del Lavoro, il quale, infatti, pronunciandosi, ha correttamente fatto decorrere l’instaurazione del rapporto di lavoro con l’armatore da un epoca lontana, per alcuni risalente anche a decenni prima,  disponendone la ricostruzione da quella data, e ciò senza soluzione di continuità.

E’ altrettanto ovvio che l’armatore, non potrà mai elidere, nemmeno con un accordo di secondo livello, gli effetti cogenti di una sentenza dello Stato, talchè – già sotto tale profilo –  l’efficacia ex se dell’accordo ictu oculi vacilla: per realizzare, infatti, quanto previsto nella contrattazione in esame, la società dovrebbe  – necessariamente – ottenere una rinuncia formale  da parte dell’interessato ai diritti quesiti, cioè ormai acquisiti al suo patrimonio lavorativo, risultato che potrà conseguire solo attraverso la stipula di un  verbale di conciliazione ex art.411 c.p.c. Non basta, infatti, sbarcare “per avvicendamento” o con altre formule inconferenti i marittimi stabilizzati, poiché in difetto di una causa legittima di interruzione del rapporto di lavoro, essi restano – comunque –  stabilmente legati all’armatore e, solo con la loro rinuncia al posto di lavoro conquistato, tale rapporto potrà elidersi. I marittimi stabilizzati con sentenza devono, pertanto, essere consapevoli degli effetti che deriveranno sia dalla sottoscrizione di tale rinuncia, sia dalla conseguente accettazione di quanto stabilito nell’accordo sindacale. Devono anche essere consapevoli che la perdita della stabilità conquistata – perdita facilmente deducibile dalla lettura delle norme sopra fedelmente riportate –  avrà ripercussioni assai rilevanti sulla loro vita sociale e familiare: ad esempio, la perdita della continuità della retribuzione pregiudicherà la stipula di un mutuo  o di un finanziamento (magari per alcuni già in corso) poiché è notorio che qualsiasi banca non concederà mai un  credito a chi non offre garanzie di regolare corresponsione dei ratei, così come metterà a rischio la regolarità del pagamento di un canone di locazione, per arrivare financo a considerazioni più spicciole, quali la spesa quotidiana, le utenze, ecc., poiché un terzo ( nella migliore delle ipotesi ) della retribuzione annua,  rappresenta sicuramente una grossa fetta di sicurezza per una famiglia, soprattutto in questo momento storico, nel quale certamente chi ha un lavoro fisso se lo tiene stretto. Questa è la prima ragione che induce decine di marittimi già stabilizzati a non accettare quell’accordo, e siamo certe che qualsiasi osservatore esterno che operi con un minimo di obiettività, non potrà che essere solidale con loro.

 

Sulla paventata iscrizione dei lavoratori ormai stabilizzati al c.d. Turno particolare.

Altrettanto categoricamente non può essere condivisa, per il lavoratori già stabilizzati, la richiesta avanzata dalla società di una loro iscrizione al Turno Particolare (regime peraltro abrogato da una decina d’anni (crf.L.231/2006) ma che continua ad essere citato persino nel c.c.n.l.) costituente – di fatto –  dichiarazione di disponibilità in attesa di occupazione e, quindi,  anticamera per la stipula delle convenzioni di arruolamento a tempo indeterminato quadrimestrali di cui all’art.1 dell’accordo stesso, come si evince chiaramente dall’art.80 c.c.n.l. “I lavoratori marittimi, compresi gli ufficiali, da iscrivere nel turno particolare, saranno prelevati a libera scelta dalla eventuale lista stagionale o dal turno generale”.

Non vi è dubbio che, per i lavoratori titolari di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’armatore,  iscriversi al Turno Particolare equivale a dichiararsi disoccupati, e quindi ad ammettere implicitamente che non sussiste alcun rapporto di lavoro con l’armatore, ma solo una priorità alla chiamata all’imbarco.

Infatti, una volta iscritti nel Turno Particolare,  dovrà essere sottoscritta la convenzione di arruolamento ex novo, per la durata, appunto di mesi 4,  come previsto nell’accordo in esame ed il  rapporto di lavoro ( precario) inizierà proprio da quel momento, alle condizioni stabilite nell’accordo stesso.

In realtà, invece, non essendo mai intervenuta alcuna causa di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, gli stabilizzati non dovrebbero  “novare”  alcunchè, perché già sono titolari di un valido ed efficace contratto di lavoro, pretendendone, al contrario, il mero rispetto. Riteniamo altrettanto opportuno segnalare che la chiamata all’imbarco per i turni particolari, in base all’art.82 comma 2 c.c.n.l., non necessariamente avviene in ordine cronologico rispetto alla data di iscrizione al turno,  in quanto all’armatore è attribuita la facoltà di scegliere tra i primi 5. In particolare la nota al citato articolo precisa che “e’ comunque garantita la chiamata per l’imbarco del marittimo rientrante tra i primi 5 nel termine massimo delle 4 chiamate successive”, ciò significa che il turno particolare può stare comodamente senza lavoro anche per molti mesi, poi lavorare per 4 mesi e ristopparsi per altri, …. e così via. In tal contesto merita attenzione, altresì, il richiamo – contenuto nell’accordo de quo – ai lavoratori ex sentenza, cioè quelli che, pur titolari di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato statuito dal Giudice del Lavoro, accetteranno di essere iscritti nel turno particolare con l’annotazione specifica “contratto a tempo indeterminato”: l’accordo, in effetti, pare premiarli,  e, infatti,  gli riconosce un canale preferenziale per entrare in CRL, però in presenza di tutte le condizioni ivi indicate, e quindi: 1) deve verificarsi una vacanza in una delle qualifiche alle quali il marittimo possa essere ammesso; 2) deve avere la maggior anzianità di navigazione aziendale (…primo imbarco in T.G. ?); 3) non deve aver subito provvedimenti disciplinari nei due anni precedenti; 4) deve avere avuto note caratteristiche non inferiori a “buono” nei due anni precedenti; 5) soprattutto deve aver firmato il verbale ex art.411 c.p.c. , cioè deve aver rinunciato a tutte le pretese che, come ogni marittimo,  potrebbe, invece, avanzare, ex art. 373 Codice della Navigazione,  addirittura fino a due anni dopo la cessazione definitiva del rapporto.

Ben 5 condizioni coesistenti ( e non alternative ). Insomma, un canale preferenziale un po’ impervio e potremmo dire anche piuttosto aleatorio,  se si pensa a come sarebbe semplice vanificare ogni aspettativa con la banale redazione da parte di un comandante di note caratteristiche appena sufficienti, anche una sola volta.

 

Sulla turnazione 5/2 prevista nell’accordo di secondo livello.

Del medesimo rango, salta all’occhio la problematica della turnazione prevista nell’accordo de quo. Anche qui è bene fare chiarezza: fino al 9.11.2015 gli equipaggi applicavano la turnazione 4/4 come autorizzata dal Ministero competente, in deroga al c.c.n.l. che prevedeva le 8 ore giornaliere. Ciò consentiva senza dubbio – come verificato, appunto dai funzionari ministeriali –  il rispetto delle norme vigenti in materia di salute del lavoratore e di sicurezza della navigazione, oltre a permettere, altresì, ai lavoratori di poter svolgere una normale vita sociale e familiare. Da quella turnazione si passava al 7/1-3/1-3/1, per poi giungere con l’accordo de quo ad un 5/2. Ma, ci chiediamo,  in virtù di quale deroga al c.c.n.l. l’accordo di secondo livello ha potuto prevedere questa  turnistica? Infatti, a nostro modesto avviso, l’unico modo per disapplicare la deroga ministeriale a suo tempo concessa (4/4) e che risulta tuttora vigente,  è quella della rinuncia espressa da parte della società. Ma la rinuncia espressa alla deroga, in difetto di una successiva deroga autorizzata,  porterebbe, immancabilmente, alla diretta applicazione delle 8 ore giornaliere previste nel c.c.n.l. – che è esattamente quanto invoca la stragrande maggioranza dei lavoratori. E quindi, per quale ragione oggi i lavoratori dovrebbero accettare una turnazione 5/2 a 14/15 ore di lavoro giornaliere, che – di fatto – tra trasferimenti casa/nave e viceversa – implica, in alcuni casi un riposo effettivo di 4/5 ore?

Questi i principali punti critici dell’accordo del quale ci è stato sottoposto l’esame, e sui quali soltanto ci siamo soffermati per motivi di spazio, precisando che ci sarebbe molto altro da rilevare.

 

A nostro modesto avviso, la scelta di continuare su questa strada potrà solo essere fuoriera di ulteriori azioni per la  tutela dei diritti dei lavoratori, e quindi – di rimbalzo – trattandosi di un servizio pubblico, anche di disagi e disservizi per gli utenti.  Riterremmo, invece, che sarebbe il caso di mettersi tutti intorno ad un tavolo – istituzioni in primis – ed ascoltare gli equipaggi, compresi ovviamente tutti coloro – ancora in forza all’azienda – per i quali il rapporto di lavoro non si è mai interrotto e che da mesi, tuttavia,  sono stati sbarcati e privati dello stipendio. Dovrebbe essere ormai abbastanza chiaro che i marittimi non intendono più subire tacitamente decisioni che ritengono pregiudizievoli per loro  e per le famiglie, assunte contro la loro espressa volontà contraria, e,  magari, sarebbe anche il momento di comprendere che,  proprio perchè il numero di  questi marittimi cresce giorno per giorno,  fino a superare il centinaio,  continuare ad  ignorarli non indebolirà certo  la loro forza, ma – al contrario – la incrementerà.  Fare il c.d. “conto della serva” sulla partecipazione dei marittimi all’ultimo sciopero, in questo momento appare veramente minimizzante, anche perché se proprio dovesse essere fatto correttamente, si dovrebbe considerare – come parametro di valutazione –  anche il personale stabilizzato che si trovava ( e purtroppo si trova tuttora)  sbarcato, rispetto al personale in turno generale, presente in sostituzione, ed – ovviamente – proprio perché non stabilmente in forza all’azienda, avente più interesse a lavorare che a scioperare. Se poi vogliamo proprio parlare di numeri, forse sarebbe anche il caso di chiedersi quanti sono i dipendenti della società rappresentati dalle sigle sindacali che hanno stipulato l’accordo de quo e tornare, quindi, sulla questione  della rappresentatività delle sigle sindacali che l’hanno sottoscritto. Ma, a prescindere dalla matematica, è incontestabile che lo sciopero sia stato, anche questa volta, come già il 15/16 febbraio,  un efficace momento di  sensibilizzazione verso le gravi problematiche dei lavoratori, anche grazie al contributo del Prof. Lamonica, anche questa volta presente in Calata Porta di Massa. In tale contesto e – se non ci sarà un cambio di rotta – nella prevedibile prospettiva di un acuirsi della situazione, già sufficientemente critica,  pare giusto anche che l’utente sappia che i disservizi dovuti agli scioperi che sono stati proclamati e che continueranno – prevedibilmente – a registrarsi, non possono essere attribuiti sic et simpliciter ai lavoratori che, purtroppo, fino ad oggi sono solo stati costretti a difendere quel che loro appartiene di diritto.

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