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Caremar, nuova vittoria in tribunale per i marittimi dell’azienda

ISCHIA. Nuova piccola vittoria per i marittimi della Caremar. O quanto meno, di sicuro almeno per il momento, per Michele Panariello, lavoratore della suddetta compagnia di navigazione e da due anni suo malgrado protagonista di una estenuante battaglia giudiziaria per il ripristino della propria posizione d’impiego all’interno dell’azienda. Come si ricorderà, delle vicende dei marittimi della Caremar  avevamo  parlato lo scorso anno, quando il Tribunale di Napoli aveva accolto  i ricorsi presentati da alcuni marittimi che si erano ritrovati, all’indomani della privatizzazione della compagnia di navigazione avvenuta nell’estate del 2015, in una condizione di esubero. Nello specifico, nel maggio dello scorso anno, proprio Michele Panariello era risultato vincitore nel ricorso presentato contro la Caremar: il giudice del tribunale del lavoro, infatti, aveva condannato gli armatori al risarcimento danni nei confronti del lavoratore in questione, obbligandoli alla sua riassunzione a tempo pieno.

LE ORIGINI DELLA VICENDA

La battaglia giudiziaria  di Panariello difatti era cominciata nel 2016 quando quest’ultimo, che ricopriva anche la carica di vicepresidente del sindacato Orsa Marittimi, era stato licenziato dalla Caremar. O per meglio dire,   quando la compagnia di navigazione aveva tentato di trasformare il  contratto di lavoro del marittimo,  da stabile e a  tempo indeterminato e quindi  sottoposto a regime di turno generale a turno particolare, con il quale, per intenderci Panariello avrebbe continuato a lavorare per la società in questione ma comunque a tempo determinato, ossia per lo più come personale di riserva, con il rischio dunque di andare incontro a lunghi periodi di inattività e senza la possibilità di ricevere, in quel caso, reddito alcuno. Una  condizione lavorativa, insomma, molto precaria, sopraggiunta ingiustamente dopo vent’anni  al servizio della  Caremar. Panariello difatti aveva lavorato in qualità di  mozzo a tempo indeterminato per la suddetta azienda dal 1990. Poi, dal 2015, purtroppo con la privatizzazione della compagnia, per lui e per altri suoi colleghi erano cominciati i problemi. Per questo motivo, Panariello, nel marzo del 2016 era ricorso alle vie legali, contro le decisioni aziendali intraprese dalla Caremar e che, come già sopra esplicitato, lo avevano dunque visto vincere in prima istanza, la causa di lavoro.

Peccato però che i vertici dell’azienda di navigazione non si siano arresi  alle decisioni del giudice del lavoro e  anziché reintegrare il lavoratore come previsto dalla sentenza n.3662/2017, hanno deciso di proseguire a spada tratta  la diatriba giudiziaria. Nell’agosto dello scorso anno dunque, la compagnia di navigazione ha richiesto alla Corte di Appello di Napoli di riesaminare il caso e soprattutto le risultanze della prima sentenza. Anche in questo caso, però,la Corte di Appello napoletana si è espressa a favore di Michele Panariello.

LA SENTENZA DEL 22 MARZO SCORSO

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Difatti, la Corte di Appello  ha ribadito che quanto   deciso  dalla sentenza del Maggio del 2017 era da ritenersi oltremodo valido. Il tribunale ha rigettato quanto sostenuto dalla compagnia di navigazione  ossia che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, significasse che la durata dello stesso coincidesse con quella della convenzione di imbarco e che si risolvesse all’atto di sbarco del marittimo”.  Nello specifico,  la Corte ha asserito che “ il rapporto di lavoro tra le parti, pacificamente stipulato a tempo indeterminato, non potesse intendersi risolto mediante lo sbarco per avvicendamento  di Panariello, non ricorrendo nella caso di specie alcune delle ipotesi(ossia malattia o ordine dell’autorità) cui il codice della navigazione fa conseguire allo sbarco la risoluzione del rapporto di lavoro”.  Detto in poche parole, per i non addetti ai lavori,  la Corte di Appello ha sostenuto  che il nuovo contratto di lavoro imposto a Panariello dalla Caremar sia da considerare illegittimo, in quanto stabilito per pura “rectius volontà dell’armatore”, senza dunque, rispettare le normative vigenti in materia e mettendo così il marittimo ed altri suoi colleghi ingiustamente in una posizione lavorativa precaria.

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La Corte ha così ribadito quanto deciso dalla prima sentenza ossia  che la Caremar dovrà risarcire Panariello dell’importo dovuto a titolo di retribuzione dal 4 Aprile 2016  e  reintegralo in servizio.  La società di navigazione è stato inoltre condannata a pagare 1.200 euro per le spese del giudizio. Panariello dunque si porta a casa per la seconda volta, la vittoria. Una vittoria che lascia spazio ad una possibile evoluzione delle intricate vicende dei lavoratori della compagnia. Sempre sperando, ovviamente, che almeno questa volta, a differenza dello scorso anno, Caremar proceda all’effettiva reintegrazione del marittimo e non lasci dunque cadere nel vuoto, come già accaduto per Panariello e per altri suoi colleghi, la sentenza emessa.

IL COMMENTO DELL’AUTMARE

Sulle risultanze del caso si è espressa, in queste ore, anche l’associazione Autmare. «Questa sentenza – ha commentato  il presidente Nicola Lamonica – è importante perché dà giustizia ad un lavoratore coraggioso della Caremar che ha saputo contrastare a testa alta e con coraggio ed intelligenza l’arroganza aziendale della Caremar dei privati. Essa premia la coerenza e la combattività di un marittimo che non ha rinunciato a quanto si era conquistato anni ed anni fa. Una sentenza questa che dovrebbe mettere fine ad una politica aziendale che per far quadrare i conti mette fuori lavoro vecchi dipendenti, riduce drasticamente le tabelle d’armamento e manda in stress i lavoratori imbarcati ormai zittiti da evidenti esigenze di vita».

C’è da dire che sentenze favorevoli o meno,  le vicende legate alla Caremar restano comunque intricate e di sicuro la battaglia tra lavoratori e armatori  potrebbe non essere ancora finita. Soprattutto, però,  arrivati a questo punto una  doverosa considerazione sorge spontanea: se i nuovi vertici Caremar, in questi due anni, non avessero provveduto a mandare in esubero diversi lavoratori e non si fosse arrivati alle vie lagali, a questo punto tutto il denaro speso tra tribunali e avvocati, avrebbe potuto essere impiegato certamente in modo molto più proficuo per l’ammodernamento del naviglio.

Sara Matters

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Antonio

Sì infatti le navi sono ancora cariche di amianto..

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Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex