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Carmine Barile: «Covid? Ormai dobbiamo conviverci»

Le rassicurazioni del professionista, che però invita a non abbassare la guardia: «Il virus fa meno paura, ma teniamo gli occhi ben aperti. La parola d’ordine? Protezione»

C’è di nuovo un’impennata di casi di covid, basta guardarsi intorno per capire che anche l’isola ne è piena. Quanto c’è a suo avviso davvero da preoccuparsi?

«Chi ha fatto il vaccino o ha già preso il covid e l’ha superato in forma brillante, in linea di massima nel giro di 4-5 giorni riesce ad uscirsene tranquillamente. Stiamo notando un’impennata dei numeri, con interi nuclei familiari contagiati. Dal momento che in Italia e a Ischia abbiamo una grossa percentuale di supervaccinati, sicuramente l’impatto è ridotto a livello ospedaliero, rianimatorio e anche sulla mortalità. Il covid fa meno paura, ma non è che non faccia paura».

Da una parte si dice che il virus va trattato come una normale influenza, dall’altra restano in vigore misure come quarantene e altro: ma dov’è la verità?

«Oggi abbiamo fatto una scelta draconiana all’inverso, cioè “liberi tutti”, tanto il virus circola liberamente. Questa è una scelta non scientifica, ma politico-scientifica. Il politico dice: ho dato la possibilità dei tre vaccini, mantenendo il carro per la discesa nel momento in cui le rianimazioni erano sovraffollate. Attualmente voglio saggiare – in un momento dove le altre malattie infettive sono ridotte – cosa succede in estate. Vogliono togliersi le mascherine? Togliamo le mascherine. Noi le raccomandiamo fortemente, chi non mette la mascherina e si va a vedere il concerto rischia di beccarsi il virus. Se vediamo l’impennata, richiudiamo tutto. Cos’è l’impennata? È l’aggressività del virus, la morbilità che determina nei vari soggetti colpiti e la mortalità. Diventa un problema di sanità pubblica non solo la persona con raffreddore e febbre che non si presenta a lavoro, ma anche e soprattutto la paralisi di tutta una rete territoriale ospedaliera. È una scelta che si doveva assumere prima o poi. In altre nazioni – penso al Regno Unito – l’hanno fatto prima di noi. La politica interagisce con la scienza, ma la scienza non fa politica. È il politico che alla fine decide».

Quanto deve temere una realtà come la nostra isola destinata per i prossimi sessanta giorni a ospitare turisti provenienti da ogni parte del mondo?

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«Dobbiamo vivere tranquillamente la nostra vita. Abbiamo fatto i vaccini, cerchiamo di evitare il contatto diretto con persone che non conosciamo. Se sono i nostri figli e nipoti a dover andare a un evento è un conto; se io a sessantasette anni devo andare a un concerto senza mascherina, dove la gente urla e canta, mi prendo quattro varianti (sorride ironicamente, ndr). Se sto in un momento particolare della mia esistenza, con un sistema un po’ più defedato, sicuramente potrei avere dei problemi».

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Lei pensa che in futuro si parlerà ancora di green pass?

«Secondo me no. Attualmente non ha più ragione di esistere. Il green pass aveva senso quando eravamo in una fase “sperimentale”. I vaccini hanno funzionato. La maggior parte delle persone si è vaccinata o si è presa il covid, quindi perché reintrodurlo? Dopo il terzo anno, la pandemia è diventata endemica e convivrà con noi».

Comuni e associazioni ingegneri hanno interrotto il report settimanale che indicava il numero dei contagi e dava l’idea dello stato dell’arte: è stata una scelta quanto meno discutibile?

«Il 50% delle persone oggi non si denuncia, perché è diffusissimo l’utilizzo dei tamponi fai-da-te. Se tu paziente mi chiami, io medico devo segnalarti all’Asl anche se sei un semplice sospetto covid. Dal momento che non avviene la registrazione in piattaforma, converrà che non è possibile fare una statistica accurata. In molte regioni si fa una cosa bellissima: l’autodenuncia. Dopo aver comprato ed effettuato il tampone, il cittadino – con lo spid – entra nella piattaforma regionale attestando di essere positivo. Qualche giorno dopo, si fa un altro tampone e dichiara di essere negativo. A quel punto mantieni la statistica senza restrizioni, perché lo sappiamo benissimo che devi indossare la mascherina e che devi rimanere a casa se invece stai male».

Lei da medico che consigli darebbe a chi si reca ad eventi come la Festa di Sant’Anna?

«Dico che è giusto che certi eventi si svolgano e che ci si vada. Io personalmente metto la mascherina anche se vado alla spiaggia. Reputo che per la professione che faccio io debba stare bene. Attualmente non ho ancora preso il covid e ho sempre visitato, ovviamente con tutti accorgimenti del caso. La parola d’ordine deve essere la seguente: protezione. Se ad esempio devo andare a Sant’Anna, ci vado. Se però mi sento strano, evito di andarci. Come fai a dire a un giovane di non andare a un evento pubblico? Ormai dobbiamo conviverci con il covid. La prudenza non è mai troppa in tutto, anche e soprattutto nell’infettarci. Cosa mi costa mettermi la mascherina quando vado al supermercato? Evito di contrarre il virus. Cosa mi costa lavarmi le mani? Bisogna seguire le indicazioni che ci hanno sempre fornito: lavarsi le mani più volte, evitare contatti diretti con le persone, specialmente se accatarrati; se vai in ambienti chiusi, indossi la mascherina come fanno da sempre tutte le popolazioni dell’est asiatico (giapponesi, cinesi…) per una questione di rispetto e per non infettarsi. Basterebbero norme chiare per evitare conseguenze dannose. Il nostro agire deve essere regolato da una generosa dose di buonsenso».

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