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Davide batte Golia, Poste Italiane paga 27.000 euro

Una signora si era visto negare il diritto ad incassare un buono, che dall’ufficio di Ischia Porto era stato dichiarato prescritto. Ma il timbro apposto tempo fa ha consentito agli avvocati della contraente di riuscire a vedersi riconoscere la cospicua somma

Quella che raccontiamo è una storia da libro cuore. O meglio, se preferite, una favola a lieto fine. Una di quelle favole in cui Davide batte Golia e capirete che una cosa del genere non capita certo tutti i giorni. Se poi un contendente è un’onesta cittadina e dall’altra parte della barricata ti trovi a fare i conti con un colosso come Poste Italiane, capirete che l’impresa diventa ancor più ardua. E in talune circostanze può rivelarsi addirittura “titanica”. C’è una sintesi da fare prima di scendere sotto l’aspetto tecnico e soprattutto giudiziario della questione, e consiste nel raccontare velocemente i fatti. Tanto e tanto tempo fa una signora ischitana stipulò con Poste Italiane un buono ventennale. La procedura prevedeva che alla scadenza dello stesso la contraente avesse dieci anni di tempo per poter procedere all’incasso, ovviamente comprensivo degli interessi del caso. Se non si ottempera a questo adempimento, scatta la cosiddetta prescrizione e non si ha più alcun diritto ad incassare le somme nel frattempo maturate.

L’avvocato Aniello Palomba

La signora stipulò un buono a termine proprio della durata di vent’anni ma nel momento in cui l’operazione fu portata a compimento dall’impiegato dell’ufficio postale fu commesso un errore materiale significativo, che ha poi innescato il contenzioso dopo oltre un quarto di secolo: dietro al cedolino, infatti, venne apposto un timbro definito in gergo tecnico di serie Q, che di fatto lasciava intendere che quel buono fosse ordinario. Il che significa, tradotto in parole povere, che la scadenza era trentennale e poi c’erano altri dieci anni di tempo per passare a incassarlo. A questo punto della storia anche il lettore più distratto avrà capito che a una “vita” di distanza il problema si è posto nel momento in cui la contraente del buono si è ripresentata allo sportello per poter incassare quanto dovuto. Ma qui si è sentita rispondere dal personale di Poste Italiane che il buono aveva la durata di venti anni più altri dieci per l’incasso e che dunque i termini erano ormai scaduti. La signora spiegò ai suoi interlocutori di aver fatto affidamento sul timbro apposto a tergo che effettivamente creava confusione e traeva in inganno, ma senza ottenere alcun risultato.

L’avvocato
Gianluca Palomba

A questo punto non restava che adire le vie legali per ottenere giustizia ed è proprio quello che la donna ha fatto, rivolgendosi agli avvocati Aniello Palomba e Gianluca Palomba. Da qui l’atto di citazione attraverso il quale i due legali citavano Poste Italiane a comparire dinanzi al giudice per “accertare e dichiarare che il buono fruttifero postale n. (omissis) con clausola C.P.F.R. sottoscritto dall’esponente in data 9.12.1988 rientra tra quelli ordinari serie Q cosi come riportato dal timbro apposto a tergo dello stesso; per l’effetto; accertare e dichiarare che l’esponente ha diritto al rimborso del buono fruttifero postale n. (omissis) della serie Q con clausola C.P.F.R. sottoscritto in data 9.12.1988; condannare Poste Italiane Spa alla corresponsione in favore dell’istante a titolo di rimborso del cennato titolo dell’importo di euro 27.730,45 per i motivi di cui in epigrafe o nella diversa somma che sarà accertata in corso di causa, il tutto oltre interessi legali dalla domanda e sino all’effettivo soddisfo; in via gradata accertare e dichiarare che la convenuta ha indebitamente percepito la cennata somma di euro 27.730,45 ovvero in via più gradata si è arricchita senza causa in danno dell’esponente nella misura di euro 27.730,45, il tutto oltre interessi legali dalla domanda giudiziale e sino all’effettivo soddisfo”.

Non c’è stato nemmeno bisogno, però, di intraprendere la battaglia giudiziaria perché Poste Italiane ha riconosciuto il proprio errore. E non a caso nella sua comparsa di costituzione e risposta scriveva per il tramite dei suoi legali: “Si evidenzia tale aspetto in quanto per il caso esposto oggi innanzi a Codesto Ill. mo Tribunale la Società si dichiara disponibile a riconoscere il relativo rimborso al titolare del buono, pari alla somma risultante dal calcolo dei rendimenti riportati nella tabella a tergo del B.P.F. stesso e quindi proprio la somma richiamata ex adverso pari ad € 27.730,45. Parte avversa dunque a seguito del diniego ricevuto da parte dell’operatore postale avrebbe potuto e dovuto, attraverso il previsto reclamo, risolvere la questione in via amministrativa, evitando così di iscrivere a ruolo il giudizio che oggi ci occupa, potendo raggiungere comunque in tempi brevi e senza alcun aggravio di spese lo stesso risultato che oggi invece richiede in via giudiziale. Tale condotta ha dunque impedito alla Società convenuta di poter applicare la prevista Policy Aziendale e dunque risolvere la vicenda in tempi brevi”. Insomma, tutto è bene quel che finisce bene con la signora che ottenendo una somma superiore ai 27.000 euro grazie al lavoro dei suoi avvocati si è vista riconoscere anche una somma pari al doppio delle spettanze originarie, che si sarebbero attestate attorno ai 13.000 euro. Nel momento in cui si svolgerà la prossima udienza sarà dichiarata la cessazione della materia del contendere considerato che la signora si è nel frattempo già recata presso l’ufficio postale di Ischia Porto e ha incassato la somma. Insomma, il tappo di spumante è già saltato. Un brindisi, alla salute di Poste Italiane e magari anche di Aniello e Gianluca Palomba.

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