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Vigilini, per il Comune di Ischia si profila una stangata

ISCHIA – Un altro pesante macigno sta per abbattersi sul palazzo municipale di via Iasolino, e più precisamente sulle casse del Comune di Ischia, che già non versano in condizioni “di salute” delle migliori. E’ la triste sfogliatella che potrebbe presto arrivare in via definitiva e sarebbe una mazzata di quella dalle ripercussioni pesantissime: pendono infatti oltre cinquanta ricorsi presentati dai vigili stagionali – i cosiddetti vigilini – a ciascuno dei quali potrebbe essere riconosciuto un indennizzo pari a dodici mensilità oltre accessori per un totale di circa 25.000 euro a testa (o a divisa, se preferite). E’ l’effetto di una recente, recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione a sezioni unite che stabilisce un principio chiaro ed inoppugnabile: i lavoratori della pubblica amministrazione illegittimamente assunti a termine hanno diritto al risarcimento danno nella misura di un massimo di un minimo di due mesi e mezzo fino a un massimo di dodici mensilità, calcoli che vengono effettuati in base alla durata del rapporto di lavoro. La predetta sentenza non promette assolutamente nulla di buono per l’ente attualmente guidato dal sindaco Giosi Ferrandino, dal momento che proprio contro il Comune di Ischia hanno effettuato ricorso un “esercito” di persone che hanno ricoperto il ruolo di vigilini e che adesso hanno il loro contenzioso pendente dinanzi alla Corte di Appello (Sezione del Lavoro), assistiti dall’avv. Sergio Galleano, dopo una sentenza sfavorevole in primo grado. Anche perché in questo caso ci troveremmo dinanzi ad un ipotetico “salasso” che potrebbe anche, conti alla mano, raggiungere la stratosferica somma di un milione e mezzo di euro: il che vorrebbe dire mettere definitivamente k.o. l’ente locale, che si ritroverebbe un fardello sulle spalle che allo stato dell’arte sarebbe impossibile da sostenere e sopportare.

ECCO IL PRINCIPIO CHIARISSIMO SANCITO DALLA CASSAZIONE

La sentenza che rischia di turbare i sonni di Giosi & Co. è la n. 4914 dello scorso 14 marzo, che definisce i criteri per il risarcimento dei danni a favore del lavoratore a causa dell’abuso dei contratti a termine da parte delle pubbliche amministrazioni. Le Sezioni Unite hanno indicato i criteri da adottare per il risarcimento dei danni conseguenti all’abuso dei contratti a termine da parte della P.A. su cui si era creato un contrasto giurisprudenziale, affermando il seguente principio di diritto: “Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art.36, comma 5, d.lgs 30 marzo 2001 n.165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all’art.32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n.183, e quindi nella misura pari ad un’indennità omnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art.8 legge 15 luglio 1966,n.604.” Le Sezioni Unite quindi, chiariscono i dubbi interpretativi che ruotano intorno all’art. 36 del Testo unico pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001) secondo il quale in materia di pubblico impiego, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della PA non determina mai la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ma fonda il diritto del lavoratore al risarcimento del danno. Le Sezioni Unite definiscono l’applicabilità anche nel settore pubblico dell’art. 32 della Legge n. 183 del 2010, proprio in virtù dei principi comunitari secondo i quali il rimedio deve essere effettivo ed equivalente a quello della conversione.

La Corte di Giustizia Europea, difatti, pur affermando che il citato art. 36 – il quale esclude per i dipendenti pubblici la trasformazione del contratto a tempo indeterminato – non contrasta con la direttiva comunitaria 1999/70, chiarisce tuttavia che la diversa tutela apprestata al dipendente pubblico precario rispetto al lavoro privato – settore in cui è invece consentita la conversione a tempo indeterminato – deve essere colmato con misure adeguate e garanzie equivalenti. In particolare, il danno risarcito al lavoratore pubblico deve avere: un’efficacia dissuasiva, non produrre conseguenze di minor favore di quelle previste per i privati e non rendere troppo difficile la tutela contro il ricorso eccessivo ai rinnovi. di Giustizia Europea la quale chiarisce che la diversa tutela. Pertanto, in virtù della sentenza della Cassazione, risolti i dubbi interpretativi in materia, nelle ipotesi di abuso di contratti a termine da parte della P.A, il lavoratore avrà diritto ad un risarcimento del danno da quantificare nella misura e nei limiti di cui all’art.32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n.183, e quindi nella misura pari ad un’indennità omnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art.8 legge 15 luglio 1966,n.604,  senza dover fornire alcuna prova in merito al danno subito. Provate un po’ a metterla in pratica su quella che è la situazione ischitana ed avrete un quadro esaustivo della situazione.

COSI’ I VIGILINI SI ERANO APPELLATI ALLA PRIMA SENTENZA

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Dicevamo del ricorso in Appello, che adesso proprio alla luce di questa sentenza della Cassazione potrebbe decisamente mutare lo stato dell’arte. Un ricorso nel quale il legale dei vigilini in forza in varie fasi presso il Comune di Ischia chiedono nell’ordine “accertare e dichiarare la nullità del termine apposto ai contratti successivi di cui è causa in quanto non conforme alle norme imperative di legge italiana e/o normativa comunitaria disciplinanti la materia e segnatamente alla clausola n. 5 della direttiva UE 1999/70; accertare e dichiarare per i motivi tutti che si sono esposti nel superiore ricorso, che tra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dalla stipulazione del secondo contratto, ovvero dal raggiungimento del 36° messe di servizio  o di quell’altra data che sarà ritenuta di giustizia; ordinare all’Amministrazione convenuta a riammettere – reintegrare, o comunque mantenere in servizio la parte ricorrente, nell’ultimo posto di lavoro occupato, con contratto a tempo indeterminato ed alle condizioni di tutti gli altri dipendenti attualmente in ruolo; nell’ipotesi di cessazione del contratto nelle more del presente giudizio, condannare l’Amministrazione convenuta, a pagare alla ricorrente tutte le mensilità maturate e maturande dalla data di cessazione dell’ultimo contratto” o in via subordinata di “ accertare e dichiarare la nullità del contratto a termine e/o la inefficacia del termine, in quanto non conforme a norme imperative di legge italiana e/o normativa comunitaria disciplinanti la materia; accertare e dichiarare il diritto della parte ricorrente al risarcimento del danno, pari a tutte le retribuzioni, anche maturate, ed a tutti gli istituti contrattuali economici, anche di fine rapporto, che avrebbe percepito in costanza di rapporto, sino al raggiungimento dei limiti pensionistici e quindi tutte le contribuzioni valide ai fini del trattamento di pensione e/o quiescenza; condannare l’Amministrazione convenuta a pagare a favore della ricorrente il risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni, anche maturate,  ed a tutti gli istituti contrattuali economici, anche di fine rapporto, che avrebbe percepito in costanza di rapporto, sino al raggiungimento dei limiti pensionistici e quindi tutte le contribuzioni valide ai fini del trattamento di pensione e/o quiescenza, ovvero quell’altra somma che sarà ritenuta di giustizia; in estremo e denegato subordine e con espressa riserva di gravame, voglia condannare l’Amministrazione convenuta convenuto al risarcimento del danno ex art. 36 D.Lgs. 165/2001 nella misura che sarà ritenuta congrua; in ogni caso condannarsi la convenuta Amministrazione a corrispondere sulle somme risultanti dovute la rivalutazione e/o gli interessi legali dalla data di maturazione dei singoli crediti al saldo ex art. 429 cpc ovvero a titolo di maggior danno ex art. 1224 c.c., tenuto conto del fatto notorio della svalutazione monetaria e dell’appartenenza della parte ricorrente alla categoria dei piccoli consumatori.

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